Non chiamatela cultura gay

27 ottobre 2005, "Pride", n.65, novembre 2004

Il "supplemento cultura", pubblicato ogni domenica da "Il sole 24 ore", ha usato il termine "omosessualità" una volta in un titolo e "ben" quattro volte in diversi sottotitoli.
Tutto questo spazio nei titoli non è stato offerto la scorsa domenica, bensì in vent'anni, dal 1983 al 2003. Su un totale di sessantunmilanovecentoquarantatré articoli, non vi sembra un po' troppo? No?
Vediamo allora nei dettagli di cosa si tratta.


"Omosessualità
, parola della Bibbia", è il titolo del solo articolo, del 26 settembre 2000, che contiene la parola "incriminata". E' una risposta del celebre teologo Gianfranco Ravasi, a un lettore, sulla presenza della condanna all'omosessualità nella Bibbia. Nulla di nuovo...
Il termine "omosessualità" è poi nel sottotitolo di una stroncatura fumosa e apocalittica, dell'1 ottobre 1989, a firma Umberto Galimberti (professore di filosofia all'università di Venezia) al testo di John Boswell Cristianesimo, tolleranza, omosessualità.
Secondo Galimberti,

John Boswell, essendo uno storico, non fa alcuna considerazione. Gli storici, infatti, ossessionati dall'oggettività con cui si propongono di raccontare i fatti finiscono il più delle volte con l'esonerarsi dal pensare.

Peccato che limitandosi a stroncare la recensione si esima dal dire alcunché del testo in questione...
Ancora, contengono "omosessualità" nel sottotitolo: un articolo dell'agosto 1986 che parla dell'attacco agli omosessuali (colpevoli dello "spodestamento della virilità maschile") di Norman Podhoretz, uno fra gli intellettuali ebrei più influenti d'America; una recensione a due testi americani sottotitolata "E Saul Bellow fa discutere con il suo romanzo-biografia in cui rivela l'omosessualità dell'amico Allan Bloom", e una interessante presa di posizione dello scrittore Giuseppe Pontiggia, del 3 maggio 1998, contro Gianfranco Fini: "Affermare l'incompatibilità tra la condizione omosessuale e la condizione di insegnante, come ho sentito ieri sera in televisione, è qualcosa di più che una discriminazione: è la scelta politica di una abdicazione intellettuale".

E' tutto.
Ma vent'anni di cultura gay dove sono finiti? Proviamo allora a cercare nel supplemento il termine "gay". Saremo più fortunati?

Sì e no. Sono in tutto 17 i titoli che contengono la parola "gay".
C'è, insieme ad altre recensioni, l'articolo Copi, una buffa apocalisse gay su un'opera teatrale del celebre autore di Il ballo delle checche, messa in scena a Roma nel 1995, che sostiene: "Si può ben dire che nel teatro di Copi sia impresso il segno di un'omosessualità al quadrato, al cubo, all'ennesima potenza".
La letteratura omosessuale trova spazio, nel 1996, in Gay, venite fuori! di Andrea Casalegno che parla del testo "intelligente e rinfrescante" di Angelo Pezzana, Dentro & fuori. Una autobiografia omosessuale.
Troviamo poi un articolo sulla morte di Manuel Puig, celeberrimo per il romanzo Il bacio della donna ragno, del 1 ottobre 2000 (che dice: "Puig riusciva ad affrontare liberamente i due grandi temi che gli stavano a cuore: l' omosessualità e il bovarismo").
Un libro giallo, poco conosciuto, con un personaggio gay ("Un giovanotto peraltro coinvolto in un intreccio omosessuale con un ricco quanto losco uomo d' affari che porrà fine ai suoi giorni squarciandosi la gola") è recensito il 14 maggio 2000.
Infine scoviamo (2 luglio 2000) una breve nota ironica di Edmondo Berselli, un editorialista politico, sul World Pride, in linea con il Pontiggia-pensiero: "La manifestazione gay a Roma era l'occasione per ripassare in bella copia i vizi italiani classici: il cinismo, lo scetticismo, il menefreghismo. Arrivano gli omosessuali? Anvedi. Embè.
Invece, giù pesanti con le questioni di principio. Una guerra: anche se sappiamo già che trascorso il giorno fatale, anche sui colli di Roma arriverà riposante il Gay After".

In vent'anni siamo a un bottino di "ben" 18 articoli sull'omosessualità.
Per non rischiare di parlare a sproposito cerco nella pubblicazione quante volte è stata usata la parola "omosessualità" all'interno degli articoli. Sono 174 in tutto.
Togliendo quegli articoli che citano solo incidentalmente l'omosessualità, rimane una buona recensione del romanzo Maurice (18 ottobre 1987), qualche breve accenno all'omosessualità di Proust, Cjaikowsky, Wittgenstein e di Alan Turing, più qualche altra recensione di opere teatrali, danza e cinema.
Degno di menzione anche l'articolo Garcia Lorca e l'amore messo a nudo, pubblicato nell'aprile 1993 da Andrea Bisicchia, che discute senza patemi d'animo l'omosessualità del poeta e scrittore spagnolo: "L'azione è a strappi, non segue una vera e propria consequenzialità anche se, alla fine, viene in evidenza il martirio di Gonzalo, in nome di un amore diverso, di quella omosessualità sempre occultata dallo scrittore andaluso e che, in questo testo, viene esibita, come era accaduto in Verbò di Giovanni Testori".
Questo è tutto ciò di cui si è discusso in ambito culturale nel supplemento cultura del Sole 24 negli ultimi vent'anni.

Il primo dato che salta agli occhi è la scarsità dei contributi sull'argomento. Rispetto a ciò che è stato prodotto e pubblicato sull'omosessualità in Italia e nel mondo (nel supplemento trovano spazio numerose recensioni di opere straniere) ci viene proposto poco o nulla.
Molti testi, celebri per la comunità gay italiana, non sono neppure menzionati. è assente Mario Mieli e il suo Elementi di critica omosessuale recentemente riedito da Feltrinelli, manca L'Eroe negato di Francesco Gnerre, trattazione accademica del rapporto tra letteratura ed omosessualità. Non c'è l'ottima storia Il movimento gay in Italia di Gianni Rossi Barilli (Feltrinelli) e nemmeno la ricerca sociologica di Marzio Barbagli e Asher Colombo Omosessuali moderni; non esiste Triangolo rosa di Jean Le Bitoux (uno tra i pochissimi testi italiani su omosessualità e nazismo). Manca tra la manualistica Figli diversi di Giovanni Dall'Orto che, giunto alla quinta edizione in un Paese che non legge, è un successo editoriale.
Dove sono poi, i romanzi di scrittori gay che hanno avuto un notevole successo di pubblico come Generations of love di Matteo B. Bianchi e Il mondo senza di me dell'esordiente Marco Mancassola?

Oltre all'estrema carenza di spazio ai nostri libri, esempi di illustri censurati potrei farne ancora molti, cosa che porta ad una semplice conclusione: la cultura italiana (quella almeno che si riconosce nell'area del "Sole 24 ore") per vent'anni ha continuato a negare e nascondere l'omosessualità.
Per esempio, Marco Carminati, critico d'arte, il 10 marzo 2002 lancia la succosa notizia che Caravaggio non sarebbe un sodomita. Un documento storico lo attesterebbe. Carminati dice: "Cosa mai combinò Caravaggio [a Malta, ndr.]? Nessuno sinora ha mai saputo dare una risposta precisa. Anzi, in mancanza di dati certi, su questo alterco col cavaliere nobilissimo si sono montate cataste di ipotesi: ad esempio, s'è pensato che [...] l'affronto fosse stato generato da losche vicende di sodomia e da altre inconfessabili avventure sessuali, tema quest'ultimo su cui s'è molto insistito di recente. In realtà, non accadde nulla di tutto ciò". In realtà molti documenti, che Carminati evidentemente non si preoccupa di considerare, dicono il contrario.
Qualche anno prima, nel 1987, Fernando Mazzocca, dell'Università statale di Milano, parlando di Winckelmann, teorico del Neoclassicismo, e recensendo la biografia Una vita per Apollo sosteneva: "Le sue predilezioni sentimentali lo portarono a vivere un'omosessualità, da un lato sublimata come esperienza culturale, il modello dell'Ellade, e dall'altro resa assai difficile dai tempi. Fortunatamente tale ambiguità non si riversa poi nel libro, dove la questione di vita viene raramente sfiorata, con mano leggera, e, per lo più, giustamente elusa.
Leppmann sa bene che sono sempre miseramente falliti i tentativi di far discendere l'"ossessione" di Winckelmann per il mondo classico dalla sua "perversione sessuale".
Ora, che una buona biografia debba eludere le questioni di vita pare "un poco" azzardato...
Il 15 settembre 1991, poi, Armando Torno, giornalista, se la prende con coloro che osano adombrare l'omosessualità di Shakespeare: "Si è dedotto troppo dal corpus di questi versi: l'omosessualità, le frequentazioni letterarie, gli arrotondamenti biografici eccetera.
Meglio restare fedeli al monito di Praz: "Occorre resistere alla tentazione di voler costruire una precisa storia sui dati forniti da un'opera di fantasia".
Ma è fantasioso leggere i sonetti d'amore scritti da un uomo a un giovane come sonetti d'amore omosessuale?

E oltre al danno dell'omosessualità negata, c'è anche la beffa.
Qualcuno ha mai sentito parlare di Luigi Settembrini, patriota e scrittore?
Un suo romanzo postumo, I neoplatonici, parla con estrema delicatezza di due giovani maschi greci che si amano teneramente. Se da molti tale romanzo è stato interpretato come un coming out postumo, Salvatore Nigro, uno dei più autorevoli italianisti viventi, lo liquida con un Minchionerie alla Settembrini: "[Settembrini] decideva di lasciare il racconto inedito, perché venisse scoperto e pubblicato postumo; e buttato (ora con imbarazzo, ora con compiacimento) come pietra di scandalo nella sua vita austera di padre della patria, di professore universitario, di rettore e di senatore (e di presunto ipocrita, colto dietro il cespuglio con le mutande in mano). Fu l'ultimo scherzo del 'minchionato' che 'minchionava' ".
Per Nigro l'omosessualità di Settembrini è solo uno scherzo... Ma perché non prendere seriamente in considerazione l'ipotesi che il testo riveli le fantasie intime dell'autore?

Perché l'omosessualità in ambito culturale sia così bistrattata ce lo spiega lo stesso supplemento culturale.
Un articolo su Yukio Mishima del 19 novembre 2000, La maschera del samurai, di Gian Carlo Calza (docente di storia dell'arte dell'Asia orientale a Venezia) non dedica nemmeno una riga all'omosessualità dello scrittore. Un lettore attento, Franco Ceravolo, scrive indignato una lettera il 17 dicembre 2000: "Credo che tacere (o minimizzare ed edulcorare come 'estetismo' o 'decadentismo') l'omosessualità di Yukio Mishima sia un'operazione politica".
"Non le nascondo", gli risponde Calza, "che provo una certa riluttanza a trattare la questione della vera o presunta omosessualità di Mishima. E per gli stessi motivi che l'avrei a trattare della sua eterosessualità, se fatto, cioè, per avvalorarne l' opera o la vita. [...] Lei mira a rimuovere da lui una etichetta politica di destra che gli è stata appiccicata e concordo che Mishima non possa essere etichettato politicamente. Ma non si rischia in questo modo di togliere una connotazione per imporne un'altra? Perché l'omosessualità, se così strumentalizzata, anche a fin di bene, diventa un'etichetta come ogni altra cosa parimenti impiegata [...] Non potrei essere più d'accordo con Lei sulla necessità di non etichettare politicamente Mishima ma, vorrei aggiungere, non etichettarlo in assoluto, e perciò nemmeno come 'gay'. Per questo ho cercato di trasmettere un'immagine di Mishima che fosse priva di definizioni, ma potesse offrire interrogativi su lui come scrittore e come uomo".

Ecco la risposta "Il sole 24 ore": è riluttante a parlare di omosessualità perché non vuole "appiccicare etichette".
Mi sembra di averla già sentita, questa... Dire che un autore è omosessuale è "etichettarlo" mentre dire che era giapponese non lo sarebbe. L'omosessualità impoverisce, agli occhi di Calza e di quelli come lui, l'immagine dello scrittore. Nasconderla e censurarla però non è "fare cultura": è propagandare ignoranza.

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