Doppio ritratto

30 aprile 2006, Pride, marzo 2006

E' solo del mese scorso l'allarmante appello degli storici dell'arte antica egizia, preoccupati che la tomba nella necropoli di Saqquara, in cui sono palesemente sepolti due amanti gay, possa diventare obiettivo d'attentati integralisti islamici. I tour operator egiziani, assai preoccupati anche dalle severe leggi in vigore, non la segnalano tra le antichità consigliate. E' la prima testimonianza assoluta, datata 4.000 mila anni fa, d'un amore tra due uomini, cortigiani del faraone, benvoluto dalla società del tempo. Prova che i PACS fossero cosa del tutto normale, molto prima che Elton John pigliasse marito. Alla faccia dei fascio-cattolici papalini e in barba agli squallidi storici dell'arte che sostengono non esista un'arte gay. Per fortuna che il bassorilievo (FOTO 1) che ritrae il faraone Ramses II baciato dal Dio Amon (1290-24 A.C.), proveniente dal tempio di Karnack, se ne sta bello esposto al Louvre di Parigi, altrimenti sarebbe stato sbattuto in cantina per sempre. Forse, anche perché qui si tratta di due divinità che si baciano e la cosa diventa scusabile col super partes. Perché è così che l'arte "ufficiale" ha preferito, da sempre, censurare cose scomode alla morale dando letture parziali sui fatti del mondo.

Persino in Italia, circa 15 anni fa, si scoprì a Metaponto (Matera) la tomba di due amanti-guerrieri della Magna Grecia uniti per sempre nell'eternità. Lo dissero anche i telegiornali, poi un silenzio di loculo come non mai. Urgesi indagine ad-hoc: ridateci le salme!


Ci sono stati troppi studiosi tapini, impegnati a distruggere o fare sparire vasi antichi con scene di sesso tra uomini, oppure sviare in maniera rassicurante letture d'opere troppo omosessuali di Michelangelo o Caravaggio. Com'è accaduto da sempre per il divin-pittore Raffaello Sanzio (1483-1520), il cui successo strepitoso in vita ha gettato troppo fumo intorno alla sua memoria. In dispetto alle biografie dei suoi colleghi contemporanei, su cui si sa tutto e di più, già dall'epoca della precoce scomparsa proliferavano leggende contrastanti sulla sua sessualità. Così qualcuno preferì cancellare ogni traccia concreta dell'esistenza terrena del pittore. Di lui resta un autoritratto ambiguo al Louvre di Parigi, Doppio ritratto del 1518 circa, (FOTO 2) con mano poggiata teneramente sulla spalla di un bel maschio barbuto. Secondo alcuni si trattava del suo insegnante di scherma perché s'intravede l'elsa della spada del giovanotto. Ma a che pro? Raffaello lascia un unico autoritratto "ufficiale" e perché mai si sarebbe dipinto con un semplice amico? No, la cosa mi puzza assai, troppa intimità tra i due. Ed, in effetti, molti ritengono che l'uomo con lui nel quadro altri non sia che il suo impetuoso amante, pittore e architetto manierista, Giulio Romano (1499-1546), che Raffaello nominò come suo unico erede universale nel testamento. Sguardi e gesti (la mano alzata che mima l'uso di una spada sembra indicare: "Ti proteggerò io, ove tu voglia andare ti seguirò fedele!") sono da giuramento di nozze. Una "disinvoltura" troppo osé per l'epoca che io non noto in quasi nessun altro dei ritratti, idealizzati e ufficiali, che Raffaello dipinse ai suoi contemporanei. C'è già una spontaneità erotica, un movimento torto e una luce realista che porta dritti al Caravaggio di sett'antanni più tardi. Specie se si considera che con l'altra mano, nascosta dal braccio alzato, Raffaello sta cingendo il fianco del bel Giulietto e quindi il suo gesto si chiude in un avviluppante abbraccio.


Lo stesso effetto l'ho ottenuto per l'Autoritratto con Sir Endimion Porter del 1630, di Anton Van Dyck (1599-1641), fiammingo ma di formazione italiana. (FOTO 3) A mio parere sfacciatamente rivelatore e che all'epoca, lungi dall'essere stato secretato in qualche camera da letto privata, fu famosissimo e caposaldo della pittura inglese moderna per tutto il '700. Oggi è appeso in bella vista al museo del Prado a Madrid. Tale inglese Sir Porter (1587-1649), immensamente ricco, collezionista, pittore dilettante, poeta e politico diplomatico, conobbe Van Dyck quando arrivò in Spagna da ambasciatore, nel 1628, per combinare un matrimonio tra il re d'Inghilterra e l'infanta Donna Maria. Lo sposalizio regale non andò in porto ma in compenso lui trovò ciò che cercava in quel giovin pittore dai baffetti rossicci da sparviero. Divennero inseparabili e tornarono, nel 1632, per sempre in Inghilterra insieme. Gli studi ufficiali, assai imbarazzati, tirano sempre fuori la storiella che il mecenate stimava talmente il lavoro del suo protetto tanto da volerne un ritratto, insieme, che potesse eternare nei secoli dei secoli la sua lungimiranza artistico-intellettuale, secondo un'allegoria simbolica di "genere". Palle! A me sembra un'altra foto di nozze "ufficiale". Il nobile inglese, più alto di statura anche per il rango sociale che gli si riconosce (iconograficamente cosa già usata dai tempi degli egizi, mantenuta anche nei rituali delle corti, dove si doveva in ogni caso avere il capo più basso di quello del monarca...o del marito cui si doveva assoluto rispetto), in abiti candidi da cerimonia, posa vicino al pittore che con afflato femmineo alza il lembo del suo mantello di raso nero. Gesto che serve per mostrare la sua mano da damina, inguantata di camoscio, posata su una specie di "cuscino nuziale", per lo scambio delle fedi, vicino alla mano nuda dell'inglese. In effetti, si tratta proprio di due mani sinistre sulle quali tradizionalmente s'infilerebbe solo l'anello di nozze. D'origini antichissime, le fedi nuziali rappresentano il simbolo e la promessa di amore eterno. L'usanza d'infilarne una all'anulare della mano sinistra è fatta risalire agli antichi romani, i quali credevano che in quel dito vi passasse la vena collegata al cuore. La posa di tre quarti di Van Dyke, dalla troppo disinvolta torsione, è puro stratagemma compositivo finalizzato a questo scopo. La cosa più sconcertante è il ditino indice del pittore che teneramente è separato, solo pochi millimetri, dal mignolo di Sir Porter. Simili intimità erano assolutamente impensabili, all'epoca, non solo tra due uomini ma oltremodo tra subalterni di casta. Perché nessun libro d'arte ne ha mai parlato? Ogni particolare nelle opere d'arte non è mai casuale. Assolutamente mai, figuriamoci per artisti di questo calibro.


Ma con l'andare del tempo la cosa si fece molto più chiara e senza simbolismi. Non ce n'era più culturalmente bisogno. Per esempio nel doppio ritratto che il francese Jacques-Emile Blanche (1861-1942), intimo di Proust, fece agli amici inglesi Charles Ricketts (1866-1931) e Charles Shannon (1863-1937) nel 1904, oggi alla Tate Gallery di Londra. (FOTO 4) Dei due Charles il primo era editore d'avanguardia, fine illustratore e tipografo, l'altro invece pittore. S'incontrarono nel 1882 e non si lasciarono mai più. Vissero inizialmente come due "zitelloni" bisbetici in campagna, ospiti del sublime pittore gay James Whistler (1834-1944). Verso il 1897, in tutta calma, Shannon dipinse il suo autoritratto e quello dell'amico che oggi si trovano, l'uno di fronte all'altro, esposti alla National Portrait Gallery di Londra. Ma fu solo Blanche che ebbe l'audacia e la pazienza di ritrarli "in coppia" e di profilo. Già il fatto stesso di ritrarli insieme era pubblica ammissione, di "certe cose", nella pudibonda epoca vittoriana. Nelle sue memorie il pittore li ha descritti come l'uno assomigliante a San Francesco, l'altro invece ad un delicato cavaliere della Tavola Rotonda preraffaellita. I due condividevano una sorta di stanzetta-cella, spoglia all'inverosimile, con due soli lettini gemelli. In compenso il loro salotto assai pretenzioso, bianco e oro, era pieno zeppo di disegni di grandi artisti dei quali erano assidui collezionisti e mercanti. Shannon dipingeva poco, a causa della salute cagionevole, preparava un tè speciale o serviva gastronomie fin troppo caserecce, cucinate da una vicina di casa, ma presentate in splendidi vasellami. In casa loro ricevevano i poeti irlandesi Bernard Shaw, Yeats e soprattutto Oscar Wilde. Amici maligni, però, giudicavano tutte le raffinatezze dei due Charles molto soffocanti, definendole solo "un passatempo buono per persone anziane". Blanche eseguì un altro ritratto a Shannon poco dopo la morte di Ricketts. Vi figura con il suo sguardo azzurro bagnato di lacrime, il modello era di nuovo solo dopo cinquant'anni di convivenza.


Altra pietra miliare del genere è l'autoritratto che la pittrice lesbica inglese Gluck (Hannah Gluckstein, 1895-1978) si fece nel 1937 con l'amata Nesta Obermer. Il quadro è intitolato Medallion (FOTO 5) per via dei profili classici, con l'aggiunta YouWe, cioè "Tu-noi" per sottolineare la fusione assoluta delle due amanti. Non solo fisicamente, compenetrate nei profili e con i capelli biondi di Nesta che aureolano di luce la testa mora in primo piano, ma anche spiritualmente. Infatti, le due s'erano innamorate l'anno precedente assistendo ad una performance galeotta del Don Giovanni di Mozart, cui ne erano uscite strette-strette nell'estasi d'amor, amalgamate anema e core. Il quadro fu fatto per celebrare il 25 maggio 1936, giorno in cui si giurarono fedeltà e si scambiarono gli anelli come in un vero matrimonio. La cosa fece assai scandalo, perché tutti quelli che visitavano lo studio dell'artista e vedevano la tela appesa alla parete capivano la tresca. Gluck si vestiva da uomo e non era ritenuta da molti il massimo della simpatia, malgrado fosse accettata come una grande artista nel suo giro d'amicizie. Nesta s'era vista costretta, dopo i trent'anni, a sposare per convenienza un ricchissimo anzianotto americano che gli permetteva di fare la bella vita in tutta indipendenza: guidare automobili, fare yoga, vincere medaglie d'oro nello sci e girare il mondo. Com'è ben rappresentato nel dipinto, Gluck era completamente succube di Nesta e ne viveva all'ombra. La idealizzò forse troppo. Nel quadro, è Nesta che guarda verso il cielo per esserne illuminata spiritualmente e farne da tramite all'amata. Mentre Gluck s'è rappresentata più terrena e concreta, sguardo dritto e duro verso il futuro. Ecco un altro perché del titolo: la medaglia ha due facciate completamente diverse. L'ideale di fusione in un solo essere s'infranse nel 1944, quando Nesta distrusse ogni prova della compromettente relazione, salvo questo quadro e altre lettere custodite da Gluck, dandosela a gambe. Cose che capitano anche ai migliori spiriti eletti.


Differente, invece, per modi e tempi, fu il legame tra lo scrittore anglo-americano e pioniere del movimento gay Christopher Isherwood (1904-1986) e il pittore Don Bachardy (nato nel 1934). Rapporto così ben descritto nel celebre dipinto, del 1968, eseguito dall'inglese David Hockney (nato nel 1937). (FOTO 6) Malgrado che nel quadro, a sinistra, Don Bachardy abbia già i capelli bianchi, in realtà all'epoca aveva solo 34 anni. Trenta meno dell'amato Isherwood. L'incontro tra i due era avvenuto nel 1952, quando Don aveva solo 18 anni, restandogli compagno inseparabile per tutta la vita. Lo studio sui rapporti intimi tra le persone indusse Hockney, alla fine dei '60, ad eseguire doppi ritratti di suoi amici stretti, emotivamente legati tra loro come amanti o sposi. Ogni immagine della serie misurava tre metri per due, quasi le dimensioni di una piccola stanza. La cosa faceva stabilire, fisicamente, un contatto immediato tra lo spettatore e le persone ritratte. Il prolungarsi dello spazio reale nel quadro invitava l'osservatore ad essere partecipe e testimone ad un misterioso evento privato. Ogni scena è ambientata in casa dei modelli veri, gli oggetti e l'ambiente che li circondano fanno parte del "ritratto" quanto la somiglianza alle persone reali. Anche nel caso di Isherwood e Bachardy c'è la rappresentazione d'una, apparentemente banale, scena domestica. Un momento d'intimità cui si è invitati ad essere partecipi all'infinito. Tutto è calcolato al millimetro seguendo le regole della prospettiva tradizionale e della simmetria. Come nelle opere del XV secolo di Piero della Francesca, le figure sono presentate in pose formali, ieratiche, con preferenza per la frontalità e i profili. Isherwood lancia un'occhiata penetrante all'amato, che a sua volta sta guardando dritto verso l'osservatore stabilendone un contatto diretto e coinvolgente. L'orchestrazione delle pose e la perfetta divisione in due della tela, rispetto ad un asse centrale, permette ad Hockney d'alludere ai legami simmetrici che uniscono i due uomini ma allo stesso tempo anche alla loro separatezza e bisogno d'indipendenza. Ognuno è conscio dell'altro ma è preso dai propri pensieri. Nel 1976 Isherwood descrisse Bachardy come: "L'ideale compagno cui tu puoi rivelare totalmente te stesso ed essere amato per quello che sei, non per quello che tu pretendi d'essere". Hockney ha rappresentato la "scena da un matrimonio" nel momento in cui la tranquillità meditativa di un personaggio sta per essere, improvvisamente, interrotta dall'irrompere dell'altro. E' l'attimo di sospensione che precede forse una domanda di Isherwood al suo long time companion. Come se dovesse chiedergli: "Sei ancora qui? Allora è proprio vero che mi ami?". O magari niente di tutto questo, vuole solo sapere se è già passato il postino o se non è ancora pronta la lista della spesa. Non lo sapremo mai.


Misteriosi, all'inverosimile, sono anche i celebri artisti concettuali d'avanguardia Gilbert Proesch (nato nel 1943) e George Passmore (nato nel 1942). Meglio noti come la "ditta" Gilbert & George, insieme per l'amore e l'arte da ben 38 anni. L'uno italiano, l'altro inglese, fanno un matrimonio perfetto. Hanno dato vita alle più sorprendenti ed inquietanti performance fingendosi delle statue viventi, nudi o in doppiopetto, oppure creando enormi pannelli con collages d'immagini scioccanti miste ad autoritratti: organi sessuali, HIV, violenza, escrementi d'ogni sorta e religione cattolica. Ieratici, quanto i profili egizi antichi, si raffigurano sempre in coppia in maniera molto distaccata quanto ironica. Quasi tutte le loro opere hanno temi gay. L'immagine, solo apparentemente tranquilla e giocosa qui a lato, del 1980, col titolo The Scream of Reason (L'urlo della Ragione), (FOTO 7) frammentata in sedici pannelli distinti, cita Magritte e Warhol. Ma la "ragione" cui s'appellano i due artisti è quella verso l'insensatezza dei pregiudizi del mondo nei riguardi dei fragili esseri umani ed in particolare delle discriminazioni verso gli omosessuali. Allora il tratto quasi infantile ed ingenuo, con cui è rappresentata la coppia dei due amanti che amoreggiano teneramente sotto un ramo, diventa denuncia universale. Il diritto ad essere se stessi sempre e di poter vivere tranquillamente il proprio amore.

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