Apologia del granchio: finzione e morte di Baron Corvo a Venezia

19 dicembre 2006

E' stato dimenticato per tanto tempo, ma adesso sta giustamente riconquistando una sempre maggiore notorietà. Parlo dello scrittore inglese Frederick Rolfe, detto il Baron Corvo (soprannome dovuto, sembra, ad un'investitura di una baronia regalatagli da una nobile romana, la duchessa Sforza).

Dopo la sua morte, avvenuta a Venezia il 25 ottobre del 1913, su Rolfe era caduta una coltre di silenzio, ravvivata solo di tanto in tanto da qualche sparuto studioso, come lo scrittore A.J.A. Symons. Questi nel 1934 scrisse Alla ricerca del Baron Corvo, un'interessante, appassionata biografia di questo artista così polivalente, visto che fu anche pittore, fotografo, musicista nonché tante altre cose ancora.


Adesso però le cose stanno cambiando ed il Baron Corvo strappa sempre più interesse, in particolare in Francia dove è nato in certi ambienti un vero e proprio culto su di lui, soprattutto dopo Baron Corvo, l'exilé de Venice, un libro di Michel Bulteau.

In Italia invece è toccato a Apologia del granchio: finzione e morte di Baron Corvo a Venezia ravvivare l'attenzione sullo scrittore inglese. Si tratta di uno spettacolo teatrale diretto da Luigi Scaringella, il quale ha curato anche l'adattamento. La pièce, mostrata al pubblico nella città lagunare il 19 e il 20 maggio presso il teatro Groggia, ha avuto notevoli consensi tanto che, con ogni probabilità, verrà replicata all'inizio del prossimo anno.


L'adattamento di Scaringella punta più al personaggio che allo scrittore. D'altra parte quest'ultimo - anche se a suo modo esemplare di uno stile tipico di quell'epoca, nello stesso tempo forbito, ampolloso e vulcanico (Rolfe inventava moltissimi neologismi per esprimere appieno le sue idee) - non ha inciso più di tanto. Solo due libri appaiono aver resistito bene al tempo: Adriano VII (Hadrian the Seventh) e soprattutto Il desiderio e la ricerca del tutto (The Deside and Pursuit of the Whole) mentre grande interesse rivestono le sue lettere (o meglio quelle poche di cui siamo riusciti a entrare in possesso).

Tutt'altra cosa il personaggio, veramente intrigante. Magari non accattivante, anzi per molti versi sgradevole, ma estremamente originale nella sua eccentricità. Nato a Londra il 22 luglio del 1860 in una famiglia anglicana, Rolfe diventò cattolico; sognando di diventare prete, andò poi a Roma ma venne ingloriosamente espulso dal seminario. Per sua fortuna fu poi assoldato dalla famiglia Sforza-Cesarini com precettore. I successivi anni inglesi, pur vantando i primi successi letterari (come le novelle pubblicate sulla rivista Yellow Book) furono tremendi, "gli anni del purgatorio".

Nel 1908 sbarcò a Venezia, dove sarebbe dovuto rimanere solo per alcuni mesi, ospite di un professore archeologo inglese. Quando questi se ne andò, spaventato dalle immani spese di Rolfe, per quest'ultimo iniziarono i problemi. Fino alla morte, visse infatti in condizioni miserrime. Senza lavoro (ma cercò anche di diventare gondoliere...), ben presto fu in perenne bolletta, anche perché gli vennero a mancare i soldi che normalmente gli arrivavano dall'Inghilterra. Così cronicamente non ebbe niente da mangiare e si arrangiò a dormire per tanto tempo nel suo pupparin, un'imbarcazione, avvolto in una coperta. Ogni tanto riuscì a riguadagnare un hotel, per poi però essere regolarmente buttato fuori di lì a qualche giorno, col relativo pignoramento di tutte le sue cose, manoscritti compresi. Emarginato dalla colonia inglese a causa dei suoi atteggiamenti provocatori e dell'ostentata omosessualità, visse dunque solitario e aspro, poco socievole. Ma non gli venne mai in mente di spostarsi da Venezia, di cui era innamorato, e lì morirà.


L'adattamento di Scaringella, decisamente indovinato, racconta l'ultimo periodo veneziano di Rolfe, ma le sue vicende sono volutamente mischiate con quelle di Nicolas Crabbe, il protagonista de Il desiderio e la ricerca del tutto. D'altra parte quest'ultimo è un romanzo palesemente autobiografico, che di per sé invita invita ad identificare Crabbe con Rolfe (interpretati ovviamente dallo stesso attore, Alessandro Pizzolitto).

In particolare, vediamo Crabbe legarsi a Ermenegilda (Marzia Polo), una trovatella sedicenne del terremoto di Messina del 1908, che porta poi con sé a Venezia. Lì, travestita con abiti maschili e chiamata con il nome di Zildo, gli fa da servitore.

Assieme alla loro storia, che ben presto si colora di sentimenti e si conclude con un felice epilogo, viene ricordata quella decisamente più aspra del Baron Corvo.

Tre voci, estremamente differenti ma a loro modo complementari, ricostruiscono la personalità dello scrittore e i fatti a lui legati. C'è il console inglese Gerald Campbell (Giuliano Bison), al quale la Questura chiede di compiere un sopralluogo nella stanza del barone dopo la sua morte e per questo scopre nelle carte e nelle lettere trovate i suoi lati più scandalosi (ma certo non sconosciuti ai veneziani dell'epoca). A fare da contraltare c'è il giornalista scozzese Charles Kains-Jackson, editorialista dell'Aberdeen Free Press (Roberto de Langes), che censura e attacca ferocemente i comportamenti trasgressivi dello scrittore. A rappresentare, infine, la realtà veneziana ci pensa un personaggio sornione e dalla filosofia spicciola quanto calzante: un ganzer (ossia colui che aggancia le gondole per fare scendere le persone), interpretato da Giuliano Morasco. Grazie a questi si vengono a conoscere alcuni fatti della Venezia dell'inizio del secolo, come la diffusione dell'omosessualità e la presenza di un bordello in città, in fondamenta dell'Osmarin, dove sono a disposizione ragazzi "anca de dissete, sedese anni" che hanno "imparà dei bei truchi"...


La pièce gioca dunque su questi due piani, che spesso si intersecano o si danno fluidamente il cambio. Così facendo, Scaringella - un regista veneziano che conta al suo attivo molte regie teatrali e cinematografiche - è riuscito a creare un ritratto vivido e convincente di questo scrittore esteta e dandy. Se ha portato avanti convincentemente la storia del rapporto fra Crabbe e Zildo, venato ovviamente da fortissime ambiguità, non si è però tirato indietro nel sottolineare il coté omosessuale dello scrittore, d'altra parte sicuramente ciò che più di ogni altra cosa lo ha consegnato alla storia il Baron Corvo.

Rolfe non nascose mai la sua omosessualità, sbandierata anzi con esagerata ostentazione, dopo che fu cacciato in gioventù dal seminario ("la più grande delusione della mia vita", disse) poiché era, come fu detto, "inesorabile nell'iniquità come nella virtù".

Sia in Inghilterra che in Italia, rimase cattolico, fortemente credente ma anche peccatore recidivo e senza alibi. Tutto ciò peraltro in anni difficili, quelli per intenderci della condanna a Oscar Wilde. A Venezia poi visse la sua omosessualità senza remore, cercando in continuazione gondolieri e ragazzotti, che poi cercava di offrire ad altre persone, come l'inglese Charles M. Fox, in cambio di qualche favore. Ragazzi che lo abbacinavano con la loro bellezza, come ricorda anche il testo di Scaringella: "i giovani maschi veneziani hanno un fisico superbo: in una città in cui tutti nuotano sin dalla culla e in cui quasi tutti remano da venti a trenta generazioni, capita di vedere dappertutto spalle opulente, braccia gagliarde, petti assolutamente magnifici, corpi flessuosamente muscolosi, di quella stessa gioventù immortale alla quale l'Ellade distribuiva un tempo diademi". Così viene ricordata, con lirismo e trasporto, l'infuocata notte d'amore che Rolfe ebbe col giovane Piero, pervasa da godimenti ineguagliabili.


Apologia del granchio: finzione e morte di Baron Corvo a Venezia sa dunque unire efficacemente le vicende di Rolfe con il ritratto di una città incantata e brulicante che stava consumando a pieno ritmo gli ultimi fulgori come tappa, evidentemente anche erotica, del Grand Tour.

Ambientata in un teatro, illuminato sapientemente da Nicola Perelda, in cui è stato ricavato suggestivamente un canale ed una barca, la pièce deve molto anche alla buona recitazione degli attori, in particolare Marzia Polo e Giuliano Morasco.

Alcuni punti un po' cerebrali del copione sono stati stemperati dall'ironia e da alcuni momenti di densa intensità, come quello che dà lo spunto al titolo. Qui Rolfe rilegge amaramente la sua vita, raccontando di quale realtà appaia a chi dissezioni un granchio, duro esteriormente e mollo dentro, ma con "una massa labirintica di nervi sensibilissimi". Ragion per cui bisogna essere misericordiosi con coloro che sono nati sotto la costellazione del Cancro, la cui natura è come quella del granchio: "i più intelligenti, i più teneri, i più infelici, i più spaventosi degli uomini".
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