Il giullare e l'amor nascosto

Desideri fra donne nel "Contrasto di Cielo d'Alcamo"

di Nadia Agustoni. Edito in origine in "Donne in viaggio", anno 7, n. 75, ottobre 2008.

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Una proposta di lettura censurata

Nel 1999 per i Quaderni della Gazebo [1] (collana che raccoglie saggi di vario interesse e testimonianze, curata da Gabriella Maleti e Mariella Bettarini) uscì un saggio di Giovanni R. Ricci sull'interpretazione rimossa dei primi due versi del Contrasto di Cielo D'Alcamo, poeta del Duecento e offrì, ma non per la prima volta, un'interpretazione che i più hanno preferito tacere perché imbarazzante:

Rosa fresca aulentis[s]ima ch'apari inver' la state,

le donne ti disiano, pulzell'e e maritate.

Ricci avanza in questo suo saggio sul Contrasto la tesi che i primi due versi del poema giullaresco parlino del desiderio di donne maritate e fanciulle per la bella amata cantata dal poeta.

Questa tesi, pur presente agli studiosi del testo duecentesco, è stata sempre rimossa, mai vagliata fino in fondo pur essendo più che plausibile e infine consegnata al silenzio.

Nel 1997 esce L'Antologia della poesia italiana diretta da Cesare Segre e Carlo Ossola [2] e in questa un'attenta studiosa, Luigina Morini, ripropone una tesi ai più "negletta", ma che non è mai stato possibile scartare e che Ricci, dopo averla accuratamente vagliata, ritiene vera.

Il confronto con le altre due più correnti interpretazioni [3] è serrato e Ricci, pur dicendo chiaramente che una delle due ipotesi rimane sempre aperta, propende per questa terza interpretazione, che a suo parere è stata mal valutata per ragioni moralistiche.

Il testo di Giovanni R. Ricci apporta delucidazioni sull'epoca e i costumi, ed è corredato da citazioni da testi ecclesiastici e da studi di importanti storici, che aiutano anche i profani a contestualizzare il poema in questione.

Un confronto ulteriore è con un altro poema del Duecento, una ballata di Bonagiunta Orbicciani (che Dante confina al Purgatorio), che della bellezza dell'amata dice che è tale da far innamorare (anche) le donne.

Lo stesso Dario Fo in Mistero buffo nel lontano 1969 proponeva, in chiave di farsa, la tesi che Ricci sostiene. Una tesi non nuova, insomma.

Riguardo ai testi ecclesiastici citati dallo storico Duby, in cui si parla esplicitamente di lesbismo propongo un estratto dello stesso Duby inserito nel saggio del Ricci e che si riferisce al Decretum (raccolta di canoni ecclesiastici) e riguarda la pena da infliggere ai peccati contro natura:


da 3 a 5 anni di lamentazioni pubbliche, di digiuni, di penosissime astinenze per riscattare il peccato delle lesbiche o di quelle scervellate che sognano di cavalcare di notte in compagnia del diavolo. [4]

Anche il vescovo Stefano di Fougères parla di un "gioco che hanno trovato le dame" e che nomina scherzandoci, come per non darvi peso. [5]

Tuttavia è un'indiretta conferma che all'epoca e in particolare nell'amor cortese vi era un fiorire di amori saffici.

Sulla rimozione dell'interpretazione riproposta da Giovanni R. Ricci, è lo studioso stesso ad avanzare il sospetto che:

l'ipotesi in questione [...] è finita per apparire [...] agli storici della nostra letteratura [...] non nominabile non solo perché indecente, ma più radicalmente perché inconcepibile, non pensabile, al di fuori di quanto può esservi sul piano sia del reale che dell'immaginario. [6]

Non sorprende comunque che anche intorno a pochi versi possa scatenarsi l'ansia da rimozione, avendo presenti le continue polemiche che accompagnano l'argomento omosessualità.

Una domanda agli storici dovremmo però pur farla e si dovrebbe chiedere a cosa servono e a chi tanti occultamenti quando l'alterità lesbica, omosessuale e transgender non solo non è scomparsa, ma ha per così dire occupato la scena del moderno e del post moderno.

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