Caparezza, machista contro l'omofobia

10 gennaio 2012, "Liberazione", 21/6/2006, p. 3.

Lo avevamo lasciato qualche stagione fa in cima alle classifiche con un motivetto facile e con l'immagine di un energumeno saltellante ornato da una capigliatura da urlo. E difatti urlava, dimenandosi con occhi spiritati, capelli e pizzetto folti e neri, ripetendo di venire dalla Luna.

Diceva di chiamarsi CapaRezza ed era appena uscito "fuori dal tunnel del divertimento", altro pezzo di mezza estate, buono per la suoneria del cellulare. Ma che bisogna fare per emergere, avevamo commentato.

Le interviste captate di sfuggita cominciavano invece ad offrirci un ragazzo decisamente al di sopra dell'utenza cui pensavamo destinate le sue canzonette.

E allora avevamo deciso di riascoltare le sue canzoni e ci eravamo accorti che "Fuori dal tunnel" e "Vengo dalla Luna" criticavano il perbenismo galoppante e quel vacuo mondo giovanile che lo scimmiottava:

"torna al tuo paese, sei diverso!

Impossibile, vengo dall'Universo!"

o

"trovo inopportuna la paura per una cultura diversa

chi su di me riversa

la sua follia perversa

arriva al punto che quando mi vede sterza".

Eh sì, ci eravamo sbagliati.

Nel frattempo Michele Salvemini - questo il nome del proprietario della capa rezza, la "testa riccia" - è tornato.

Da Molfetta ha prima guidato la "primavera pugliese" dello scorso anno, trascinando carovane di giovani a sostenere fino alla clamorosa vittoria l'altro sovversivo, Nichi Vendola, diventando l'emblema della rinascita culturale di una terra finora relegata ai margini.

E il suo ritorno, Habemus Capa, rime e ritmo scatenati, parole in libertà poco vigilata, contiene pezzi che raccontano storie della nostra epoca furba e arrogante. C'è un entomologo che osserva la vita di politici-insetti che divorano le nostre vite ("Gli insetti del podere"), un baby sitter che tiene sveglio un bimbo per non farlo addormentare nelle fauci del potente ("Ninna nanna di Mazzarò"), un meridionale che veste di verde e urla slogan razzisti contro se stesso ("Inno verdano"), il conduttore di un tg che fa notizia senza darne ("Ti giri") o il sacerdote che celebra un matrimonio tra celebri ("Felici ma trimoni").

La storia più interessante però è la più famosa, "La mia parte intollerante", che vede CapaRezza nelle vesti di un "adolescente strano".

Primo verso e appare la scena:

"3° B di un ITC

una classe di classici figli di.

Ho dubbi amletici

tipici dei 16

essere o non patetici".

Secondo verso ed ecco il problema:

"Non vivo di pallone

non parlo di figone

non indosso vesti buone

quindi sono fuori da ogni discussione".

Ancora un indizio:

"Eh, sì ho gli occhiali spessi

vedessi

amici che spesso mi chiamano Nessy

repressi

con grossi limiti

ma imbottiti di bicipiti

che per fare i fighi lasciano lividi".

E' chiaro: bullismo omofobico. Ed ecco la reazione:

"A 16 anni le opzioni sono 2,

visto che o diventi pugile,

o diventi come me,

che sono debole

che non ho regole

che ho roba demodé

che detesto il cliché
dell'uomo che non deve chiedere mai,

dato che se non chiedi non sai,

dato che adoro Warhol e Wilde

dato che se mi cerchi mi troverai,

nel via vai di un Gay Pride,

ma sappi che se mi provocherai sono guai

dottor Jeckill diventa mr Hide

e ti ammazza stecchito col Raid".

Un vero manifesto dell'orgoglio. Poi un appello:

"Cari professori miei

io vorrei

che in giro ci fossero meno bulli del cazzo e più gay",

con finale rainbow:

"Alle bestie regalerò i miei sorrisi

come Pippi Calzelunghe e Francesco D'Assisi".

Fa dunque ingresso nella musica italiana l'omofobia che infesta le aule delle nostre scuole, ma finalmente affiancata dal suo antidoto, il catartico Gay Pride. Da oggi c'è un brano in più nella colonna sonora dei cortei glbt, che rischia pure di aprire qualche pigro cervello dagli i-pod infilati negli zaini di scuola.

Tutto bene, dunque? Non proprio. Perché un neo c'è, e riguarda l'atavico stereotipo machista che attribuisce alla stessa funzione sessuale una doppia valenza: una spregiativa, l'altra formidabile.


È il binomio fottere-essere fottuti, ripetuto in tutte le lingue e le varianti con lo stesso sprezzante tono. Anche il nostro eroe ci cade ripetutamente:

"Vieni a vedere

i meravigliosi insetti del podere

e se ti chini ma non riesci a vedere

tutto normale ti sono entrati nel sedere",

oppure:

"tg tg tigiri e t'incula

noti notizie ma non noti nulla".

E poi un susseguirsi incalzante di "tu resta sveglio / perché lui fotte il dormiente", "che si inculino un cipresso!", per finire con l'ammissione esplicita: "Nei confronti della vita ho un approccio sodomita / ma mo' basta, terrò le spalle al muro". Peccato. Come convincere il nostro amico?


Bisognerebbe davvero provare a rompere un tabù che condiziona pesantemente menti e linguaggio quando si attribuisce dolore, sventura o "fregatura" alla naturalissima penetrazione anale.

Perché allora non imitare il disegnatore Altan, che ha smesso da qualche tempo, dietro pubblico suggerimento, di rappresentare le inculate, pardòn, le fregature dell'italiano medio attraverso vignette con ombrelli o banane infilate nel culo dei suoi personaggi?

Perché non continuare questa rivoluzione culturale, caro Capa?


[Articolo riedito per gentile concessione dell'autore]

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