30 anni dopo

Riflessione sulla morte di Pasolini

18 dicembre 2005, "Pride", dicembre 2005

Cosa significa oggi Pier Paolo Pasolini, a 30 anni dalla morte, soprattutto per chi non ha vissuto i suoi anni e non ha conosciuto l'Italia di allora?

Pasolini era nato a Bologna il 5 marzo 1922 ed è stato ucciso ad Ostia (Roma) il 2 novembre 1975.
In questi giorni si sono moltiplicate le iniziative per ricordarlo: convegni, interventi artistici, proiezioni dei suoi film o mostre praticamente in ogni città del paese, organizzate da associazioni culturali e più spesso da istituzioni pubbliche.
Per ricordare che è stato un grande poeta e romanziere (ha pubblicato a partire dal 1943), un regista innovatore e molto conosciuto (il suo ultimo film, Salò, è uscito postumo due mesi dopo la morte), un giornalista instancabile, un intellettuale impegnato e lucidissimo nell'interpretare la società italiana.

Sembrerebbe il profilo di un uomo di successo e di potere, amato e riconosciuto come un grande dai suoi contemporanei ma Pasolini, sebbene toccato dalla fama, era soprattutto un personaggio scomodo.
Il doppio binario della sua esistenza, di omosessuale che dichiarava la sua omosessualità e la viveva pubblicamente quanto l'epoca permetteva, e la sua fortissima presenza artistica e intellettuale mai accondiscendente e scontata, facevano di lui un personaggio odiato e continuamente attaccato.
A Pasolini la società italiana non piaceva per molte ragioni, complesse e motivate, e soprattutto non amava il potere (politico, economico) che stava spingendo, secondo lui, l'Italia verso il baratro culturale e umano. L'Italia dell'italiano medio, piccolo borghese, che lui respingeva con tutte le sue forze, e che stava distruggendo la poesia, la bellezza, l'ingenuità, la sensualità delle classi popolari, imponendo attraverso il consumismo nuovi valori ("Un edonismo... ciecamente dimentico di ogni valore umanistico").
E il suo dolore era anche quello di un omosessuale che vedeva, giorno dopo giorno, notte dopo notte, con l'avanzare dello sviluppo capitalistico, svanire o cambiare in peggio quel dolce mondo omoerotico dell'Italia post bellica, fatto di incontri furtivi, ma puri e onesti, lontani dalla violenza, dal cinismo, dalla nevrosi. E Pasolini queste cose le diceva nelle interviste, le scriveva nei suoi libri e sui quotidiani.

Oggi, in questa commemorazione del poeta, la scomodità e la complessità del suo pensiero e della sua azione vengono molto spesso edulcorate e sembra quasi dimenticato che Pasolini è stato perseguitato, umiliato, insultato, aggredito per il suo modo di pensare controcorrente e per la sua omosessualità.
Oggi uno come Pasolini difficilmente siederebbe nell'assurdo salotto di Vespa o scriverebbe, come faceva allora, sulla prima pagina del "Corriere".
Oggi l'Italia è diventata più perbenista, più superficiale, più omologata, più ossequiosa nei confronti del potere. Proprio come Pasolini temeva e denunciava, profeta allora spesso deriso.
Ora che non c'è più, un po' tutti provano ad accaparrarsi la sua monumentale eredità artistica e intellettuale, ma offuscando o omettendo il suo coté gay e le persecuzioni che ha subito, oppure facendo finta di scoprirli ora per primi.

Ma non è così, perché il giorno stesso della morte il movimento gay dichiarò "è morto uno di noi". E Angelo Pezzana (del Fuori) scrisse sull'"Espresso" del 9 novembre 1975 che Pasolini era stato ammazzato in quanto gay, come decine e decine di altri poveri omosessuali assassinati. E come purtroppo succede ancora oggi.
E ancora oggi autorevoli personaggi della politica e della cultura fanno fatica ad accettare la tremenda e semplice verità: che i gay vengono ammazzati proprio perché gay, ed è questo che è accaduto anche a Pasolini, anche se non sapremo mai i dettagli, essendo unico testimone ed assassino reo confesso quel balordo di Pino Pelosi.

Anche per questo trovo importante avere presente che Pasolini tuttora "è uno di noi", e mi sembra che l'abbia detto molto bene Massimo Consoli, con più ottimismo di me, proprio in questa ultima ricorrenza:


Ci piace ricordare che questo nostro impegno non è passato inosservato, e non sono stati pochi quelli che si sono accorti che il ricordo costante di Pier Paolo Pasolini nell'anniversario della sua morte è qualcosa che appartiene di diritto alla nostra comunità, prima ancora che a chiunque altro.

Prima di chiunque altro rivendichiamo il diritto di appartenenza del ricordo di Pasolini, perché lui ha vissuto sulla sua pelle le ingiustizie, le ipocrisie, le offese che tutti noi gay di quelle generazioni (e in forme diverse anche della generazione dei nuovi ventenni) abbiamo vissuto o temuto.

Prima di chiunque altro Pasolini ha rappresentato con la sua esistenza irrequieta e "scandalosa" le contraddizioni di un omosessuale nuovo e indomito, che non si è piegato, non si è cosparso il capo di cenere, non si è vergognato della sua omosessualità.

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