Canti per una musa canuta di Sofija Parnok (1885-1933)

20 marzo 2005

Sofija Parnok
1933

(da "Vite")

Nella folla


Entrasti, come entravano migliaia,

Ma scaturì il fuoco dalla porta,

E mi si rivelò lo stesso segno

Profetico inciso sulla tua mano.


Sì, lo so,- l'anello di Venere

Suggella anche la tua mano:

Troppo cadenzato il tuo incedere,

Troppo fievole il fuoco dello sguardo,


E sotto la cipria il volto è lacrimoso,

Sulle labbra, sotto il belletto, il sangue,-

Sì, sorella mia, sì, ecco come

Bacia - l'amore!



***


Arrossire per un verso dedicato

Ed esigere la restituzione delle lettere,-

È sacro il dono e non dipende

Dalle tue mani sacrileghe!


Che cosa restituire? Su, prendi

Il quaderno scritto rigo su rigo[1],

Ma non restituirò il fuoco, l'acqua

E il vento dei mormorii d'amore!


Non per loro è nera la mia notte,

Vuoto lo sguardo e soave la voce,

Ma so forse quale spiga

Del tuo grano è germogliata?



***



Vedere d'un tratto in un altro animo

Lo stesso terrore, la stessa notte,-

Ah, no! No, non ti rattristerai

Della mia malinconia ebbra.

Com'è bello vederti tubare,

Come un colombo, sotto la mia mano!


Ti riscaldi le piume, come al sole...

E non ti brucerà il mio fremito,

Il mio spirito oscuro voli accanto

Al tuo animo e non lo sfiori,

E nella mia ora mortale l'orecchio

Colga il tuo mormorio quale ultimo suono.


***

Dall'almanacco "Kovceg" [Scrigno] di Teodosia

Ogni sera prego Dio

Perché tu mi appaia in sogno:

Ti ho amata tanto,

Che ormai non ti amo più.


Ogni sera mi porto

Accanto a camere deserte,-

Sveglio la memoria assonnata,

Ma di te non serba ricordo...


Ostinatamente, ancora e ancora,

Con le labbra empie ripeto

Piano il tuo nome

Per destare l'amore...


1919


***

(da "Musica")
a L.V. Erarskaja[2]

Si chinerà un fiore sull'esile stelo...

Oh, mia amata, lascerò

Su questa terra quanto ho amato,

Amalo per me, mia cara,


Questi petali leggiadri,

Questa fiamma, disseminata nel cielo,

Queste lacrime (che il non poeta

Non capirebbe!) - estasi della malinconia,


Il solitario tumulo nella steppa,

E il grandioso canto del verso,

Ma in questa vita non amar meno

Lo scatenato tamburello degli zingari...


Sono rosee le cupole al tramonto,

Su Mosca volano i colombi.

Oh, amata, più di tutto ama

Le campane della sera!


1917

***



Quando mormorerai nel sonno,

E la tua voce sarà stizzita,

Ti prenderò piano per un dito

E sussurrerò: "Racconta di me,-

Quanto mi ami, amore mio?

Come mi vezzeggi, colombo mio?"


E si apriranno i battenti spaventosi

Di una porta, sino ad allora serrata.

Con folle sveltezza

Sgorgherà un dolore celato,-

E il tuo animo, piangendo, vedrà

Quanto odia pazzamente.


24 dicembre 1919

***

a Maaen'ka[3]

Perché mi è dato questo, Dio mio?

Una luce nel mio cuore opaco!

Sei come un piccolo stelo, dal vento

Baciato e agitato.


Disperazione più beata

Non serberò nel mio cuore.

Perché io, rea di tutto,

Sono sconfortata per l'affetto?


26 febbraio 1916


***

a Marina Baranovic[4]

Tu giovane, dalle gambe lunghe!

Col corpo alato così mirabile!

Con quale stento trascini goffamente

Lo spirito, turbato per la malinconia!


Oh, conosco questo incedere dello spirito

Tra vortici della notte e frane nei ghiacci,

E questa voce, che sorda scaturisce

Da vive profondità, note a Dio.


Ricordo le tenebre degli stessi occhi chiari.

Come davanti a te, tacevano tutte le voci,

Quando lei, folleggiando coi versi,

Ci avvampava con la sua sbadatezza.


Come stranamente me la ricordi!

Gli stessi riverberi rosei, dorati,

Madreperlacei sul viso, la pelle di seta,

Lo stesso battito del tepore...


Lo stesso gelo dell'astuzia perfida

E l'ambiguità!... Ma l'ho perdonata!

Ti amo e, attraverso te, Marina,

La visione della tua omonima!


autunno 1929


***

a Marija Petrovna Maksakova

V'è forse la tormenta in inverno

E il cielo azzurro, come il turchinetto?

Mi sono grati i tuoi occhi strabici,

E il tuo animo di sbieco.


E mi piacciono i tremori di queste spalle,

L'irruenza dell'incedere vigoroso,

La tua favella vuota e avara,

I tuoi turgidi fianchi di rusalka[5].


Mi piace struggermi nel tuo gelo

Come in un'alta fiamma,

Mi piace - posso forse ammetterlo! -

Mi piace non piacerti.


6 ottobre 1931


***

Dedica su un libretto d'opera a M. P. Maksakova

Tu vieni e io vado.

Ma sulla soglia, partendo,

Voglio salutarti,

Piccolo portento terreno.


Accetta questo dono amoroso.

Possa ravvivare i tuoi sensi

Il racconto vivo e sanguigno

Delle insidie di un amore vendicativo.


Sinora il tuo fresco mezzogiorno

Non ne conosceva lo splendore...

Sospira e fiorisci, Gjul'nara[6],

Oh, sussulta, usignolo mio! Canta!


14 novembre 1931


***

Canzone zigana alla Maksakova[7]

So per chi vagheggi, caro,

E per chi sospiri:

Ti ho avvampato

Con questo freddo afoso.


Non celarti, non prodigarti,

Comunque verrai di nuovo,

Ci ha punti nel cuore

L'amore zigano.


Sono allegra questa sera,

Sono come una tempesta di maggio...

Ricorderai queste spalle

E gli occhi strabici!


22 gennaio 1932


(versi inediti, non inclusi in raccolte)

***

(da "Orsa Maggiore")

Ti sogno, sogno il deliquio...

Baratynskij



Gli occhi spalancati e la bocca serrata.

E ho voglia di gridare rozzamente:

Oh, dissennata! Chiudi, al contrario,

Chiudi gli occhi, apri per me le labbra!


Ecco, tiranna... Finalmente!...

Non ci affretteremo invano.

Che corra il giovane inesperto,-

Amo il quinquennio nel bacio!


febbraio 1932


***


La testa canuta. E il sembiante giovane.

Il profilo di Dante. E lo sguardo alato,-

E nel cuore la tristezza sfiora le corde:

Ah, ora il mio amore è inopportuno!


Ma tu incuriosisciti, ascolta come sorge

Repentina la follia al tramonto della vita...

Sì, vorrei essere più forte e più secca,

Come vino vecchio,- io stessa sono vecchia!


Che il tempo disperda questa soavità,

Ne ho abbastanza. Non voglio volere!...

Felici coloro che riescono in gioventù

A scintillare, a spumeggiare, a cantare...


Io ho tardato. È calato il sipario.

La sala è vuota. Non è l'intervallo, ma la fine.

Solo là, tanto più disperatamente,

Nel paradiso ancora imperversa lo stolto.


10 marzo

***



Non sei buona, non sei malvagia,

Sei secca come un albero secco,

Non so perché ti porto

La costellazione del verso.


A chi darò in mano

La mia Orsa Maggiore!

Né a destra, né a sinistra

Non sarai mai in Paradiso.


Non sei gelida, ma fredda,

Non sei ardente, ma tiepida.

Perché come un'onda enorme

Sei passata nell'immaginazione!...


Ma non fraintendermi:

Senza suppliche, senza rancore,

Non prendo indietro i doni,-

Che fare! Ti amo.


13 marzo 1932


***


(da "Bene Inutile")

Tu e io, mi pare, proveremmo

Una dolcezza acuta e intollerabile.

Non per questo forse mi passi accanto

Senza rispondere, con ottusa caparbietà?


Meglio così! Sgorghi pure l'oscurità,

E profonda si spalanchi la notte,-

Comunque non potrei morire:

Berrei la vita dalle tue mani!


Che sogneremmo a occhi aperti,

Da quale musica saremmo cullati,

Come una vacillante barchetta al molo!...

Ma basta. Vieni. Non chiamo.


Marzo


***


Ti vedo scendere dal tram -

tutta amata,

Spira il vento, pervadendo il cuore -

tutta amata!

Non stacco lo sguardo da te -

tutta amata!

Da dove sei apparsa così -

tutta amata?

Tu, aquila dei ghiacciai del Caucaso,

riarso in inverno,

Recando un dolcissimo contagio -

non sei malata,

Offuscando il senno dell'amante -

non impazzirai,

Inebri i cinque sensi subito -

tutta amata!


aprile


***


Attraverso quanto faccio, penso, ricordo,

Fra tutte le voci attorno a me e in me,

Come l'attimo di quiete, più forte di tutti i rumori,

Come il suono, come il sapore, come un lampo nel buio,

Come l'alito che muove le stelle,

Ecco così sei entrata nella mia vita,

Oh, gioia mia! Oh, mia ispirazione!

Oh, amaro dolore mio!


giugno


***

Rosa canuta

È notte. Nevica.

Mosca dorme... E io...

Oh, come non dormo,

Amore mio!


Oh, come canta riarso

Il sangue di notte...

Ascolta, ascolta, ascolta!

Amore mio:


V'è nei tuoi petali

L'argento del gelo.

Oh, rosa canuta,

A te il mio verso!


Respiri sotto la neve,

Rosa di dicembre,

Elargendomi

Sconsolato languore.


Canto e piango,

Piango e canto,

Piango ché perderò

La mia rosa!


16-17 giugno


***


Ricordi l'angusto corridoio

Tra i cespugli di ribes?...

Da allora sei diventata musica

E stupenda patria per il sogno.


Sei diventata vita e morte per me,

Tu, così fragile,

Ti sei consumata, esausta,

Mia colombella!...


Perdona se non ti allieto,

Come un ospite indesiderato,

Se cado sotto questo

Fardello di passioni.


Oh, questa mestizia implacata!

Non ha nome...

Perdona se ti amo, amata,

Perdonami, perdonami!


5 febbraio 1933

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nomeprofessioneautoreanni
Sofija Jakovlevna ParnokpoetessaPaolo Galvagni1885 - 1933