Il Principe Coccodè

10 settembre 2006, "Pride", settembre 2006

Nessuno ha ancora studiato l'importanza del personaggio "effeminato" nel cinema italiano. Persino il barese Lino Banfi debuttò, negli anni '60, con piccoli ruoli da "ricchione" in sgangherate commedie all'italiana, approdando poi a vasti consensi televisivi con ben differente comicità.

Ma tali ruoli erano affidati, per lo più, esclusivamente a un ristretto numero di caratteristi, realmente gay, perché nessuno voleva interpretarli.

Così alcuni di loro, sputtanatissimi quanto dichiaratissimi anche nella realtà quotidiana, si ritrovarono, quasi per caso, in capolavori diretti da celebri registi.

Nessuno riuscì ad ottenere grande celebrità, né ad uscire dai ristretti cliché da barzelletta che vedevano i gay di volta in volta come ambigui viziosi, sfacciate "pazze" o zimbelli codardi di tutta la caserma.

Eppure dietro alcuni di questi ruoli, spessissimo comici ma comunque sempre fugaci e di contorno, s'avvertiva una qualità attoriale sensibile, quanto tenace, capace di farne figure umanamente indimenticabili.

Regine per un attimo della risata o del disgusto della platea, assolvendo fino in fondo e con dignità la loro funzione.

Quasi tutti questi attori sissy s'erano fatti le ossa nell'avanspettacolo o erano stati bohemien della gaia Roma del dopoguerra. Oltre alla leggendaria Giò Stajano, il più in vista fu il romano Vinicio Diamanti che recitò pure ne "Il conformista"(1970) di Bertolucci e in "La pelle" (1981) della Cavani.

Poi ci furono anche Dominot ( "La Dolce Vita" di Fellini) e Tito LeDuc (la bionda delle "Sorelle Bandiera", lanciate da Arbore nel 1978). Specialmente quest'ultimo, tanta importanza ebbe nella visibilità del gay a livello popolare.

Quello però che divenne mitico, nella sua cerchia di amici romani, più per le sue folli gesta che per gli inconsistenti ruoli cinematografici fu il principe Francesco Caracciolo. Veramente nobile d'origine napoletana, tra le famiglie più titolate di tutta Europa. Realmente principe di Avellino, di Torchiarolo e Ripa. Dall'albero genealogico risalente all'anno Mille con santi, navigatori ed eroi in ogni suo ramo.

Nacque il 6 marzo 1944 nella casa dei nonni materni, non nobili, a San Martino in Pensilis, nel Molise. Il 22 gennaio gli americani erano sbarcati ad Anzio e la famiglia, prevedendo il peggio, era sfollata dalla bella casa di Roma nel quartiere Flaminio, in Via Pannini 11.

Il padre Don Marcello Caracciolo (nato nel 1903) era in un certo qual modo legato al fascismo.

Dottore in legge, lettere e filosofia era capo sezione al Ministero dell'Educazione Nazionale, quell'organo statale che sotto la direzione di Bottai, nel 1938, sostenne l'emanazione delle leggi razziali in difesa dell'italianità e della famiglia, cioè il cosiddetto "Manifesto degli scienziati razzisti" dettato da Mussolini ma firmato, in pratica, da dieci quotati patologi, fisiologi e antropologi sedicenti "studiosi razzisti".

A questi s'aggiungevano altri 140 firmatari, personaggi pubblici cattolici, i cui nomi letti oggi fanno accapponare la pelle: Amintore Fanfani (poi D.C.), Padre Agostino Gemelli (psicologo e fondatore dell'Università Cattolica), Giorgio Almirante (fondatore M.S.I.), Giorgio Bocca (giornalista), Mario Missiroli (regista), Festa Campanile (regista), Ardengo Soffici (pittore), Walter Molino (disegnatore), Giovanni Papini (scrittore), Luigi Chiarini (critico, direttore del Festival di Venezia dal 1963 al '68), Giovanni Guareschi (autore di "Don Peppone e Don Camillo"), ecc.

Ma il più famoso tra tutti fu il rettore dell'Università Adriatica Benito Mussolini di Bari (così si chiamava all'epoca) dal 1925, fondatore della Eugenetica (biotipologia umana) e senatore fascista, dal 1933, dottor Nicola Pende (1880-1970).

In qualità di membro della "Commissione per l'Educazione e Cultura Popolare", dal 1939 alla caduta di Mussolini l'8 settembre 1943, fu molto vicino al principe Marcello Caracciolo. Il quale non è un caso che ne avesse tanta stima da rivolgersi a lui per risolvere un "problemino" di famiglia qualche anno più tardi.

Infatti il suo figliolo, il principino Franco, aveva cominciato a manifestare precocemente mimiche e posture indubbiamente "strane", oltre ad una propensione esagerata al gioco delle bambole (apriti cielo!) con la sorellina maggiore Maria Carmela.

Nel dopoguerra, grazie alla D.C., il luminare Nicola Pende s'era immediatamente riciclato e conservò la sua cattedra di Patologia all'Università di Roma fino all'età di 75 anni, nel 1955. Aveva, da sempre, approfondito gli studi del famigerato criminologo Cesare Lombroso (1835-1909) sostenendo l'importanza degli ormoni nella determinazione delle costituzioni umane, ponendo così le basi per la moderna endocrinologia.

Impossibilitato a firmare tesi sulla "diversità" biologica della razza ebraica, ora s'era incaponito negli esperimenti per correggere, come una vera e propria "malattia", la presunta "diversità" biologica degli omosessuali. Promettendo, addirittura, miracoli con rara e tenace convinzione.

La "cura" miracolosa prevedeva lunghi mesi di trattamento intensivo, con alzatacce da caserma all'alba, dura ginnastica per rafforzare la muscolatura, maschio uso di docce fredde, supporto psicologico per lavare il cervello da ogni pensiero inadatto, sia con lezioni d'educazione sessuale, religiosa e morale.

Soprattutto, il vero toccasana, consisteva nelle iniezioni di forti dosi d'ormoni.

All'epoca, come terapia d'urto erano indicate le endovene di Testovena, per l'effetto ad azione prolungata invece il Testogen via endomuscolare ( in una dose di 5mg. vi era contenuto tutto l'ormone estraibile da 50Kg. di testicolo!)[1].

Nicola Pende, inoltre, era stato anche lo sperimentatore di pillole di ormoni maschili di scimmia inserite tra l'ombelico e il pube.

Alla fine del ciclo fu annunciato il "miracolo" e Pende espose pubblicamente il caso della guarigione dell'adolescente Franco Caracciolo in convegni e libri.

Forse troppo frettolosamente. "Franco, un giorno tu mi incontrerai per la strada e mi dirai: Professore Pende, grazie! Lei ha fatto di me un vero uomo! Ma io ti risponderò: "Franco, io ho fatto solo il mio dovere". Anni dopo a tale riguardo Caracciolo avrebbe allegramente confessato al suo amico Massimo Consoli: Nì, vorrei proprio incontrala adesso, la Pende, e dirle: "Professooore! Grazie, lei ha fatto di me...una vera donna!" [2].

La cura era stata inutile, anzi, aveva accelerato il processo di rivolta del paziente verso la famiglia e le istituzioni, con la piena consapevole e gioiosa fierezza della propria omosessualità.

Non certo ricco, fin da bambino col culto delle celebri dive dello schermo, volle intraprendere una carriera d'attore in un momento in cui a Cinecittà si giravano anche più di cento film all'anno.

Nel 1962, in una breve intervista apparsa su "Paese Sera" [3] ebbe a dichiarare con senso pratico: "Per favore, non dite che sono principe, ma che faccio il commesso in un negozio di vini".

Federico Fellini lo aveva voluto in "Otto e ½"(1963), ironia della sorte, per il ruolo fugace d'un prete vistosamente effeminato che impartiva uno scapaccione al protagonista-bambino del film, vittima della sessuofobia del collegio religioso. Per Fellini figurò in altri tre film: "Toby Dammit"(1968), "Satyricon"(1969) e "Roma"(1972).

Altro ruolo non accreditato nei titoli di testa, lo ebbe in abiti da frate in "I Mostri"(1963) di Dino Risi.

Bisognerà aspettare molti anni per trovarlo, col proprio nome, tra gli interpreti di "Splendori e miserie di Madame Royale"(1970) di Vittorio Caprioli, con il ruolino in ombra d'un gay che prende a botte un "rivale" durante il battuage notturno al Colosseo. Fu l'amico Caprioli a volergli fare un simile omaggio.

Ormai Franco Caracciolo era diventato un'istituzione vivente nella tipica Roma omosessuale di quell'epoca. Dai bar di Piazza Navona fino ai luoghi più desolati di periferia, tra i ruderi di Monte Caprino o nei cinema di quart'ordine, sempre in caccia di maschi veraci e ben disposti.

Famoso ovunque per i suo lazzi comici, surreali quanto graffianti, era ritenuto da tutti una persona estremamente generosa e dall'incredibile candore.

Fu lui a rendere famoso l'intercalare "Nì" (dall'inglese "honey", tanto usato dai militari USA a Roma nel 1945 per corteggiare le ragazze), tipico di Anna Magnani, e che poi gli copiò pure Renato Zero.

Il militante gay Anselmo Cadelli (1950-2001) ebbe a dire a proposito: Era impossibile odiare Franco Caracciolo, qualsiasi cosa facesse, anche la più truce, anche la più diabolica, tutti sapevano che non ci metteva né malizia né cattiveria. Si faceva amare essendo semplicemente se stesso [4].

Fin dal 1966 frequentava Massimo Consoli e il poeta Dario Bellezza (1944-1996). Anche se quest'ultimo in maniera acida ed irriconoscente li avrebbe poi raffigurati entrambi come dei mostri nel suo pessimo romanzo di successo "Lettere da Sodoma" del 1972, edito da Rizzoli. Definì aspramente Caracciolo: Una checca sfranta chiamata "la princessita" di non so dove.

Intanto continuava a collezionare piccoli ruoli in film di Serie B, almeno una quarantina fino al 1990.

Fu il prete confessore di Anita Ekberg in "Suor Omicidi"(1978) di Giulio Berruti, una racchia vogliosa in "La soldatessa alle grandi manovre"(1978) di Nando Cicero con Alvaro Vitali, un gay amante di Mario Carotenuto in "Dove vai se il vizietto non ce l'hai?"(1979) di Marino Girolami, un nobile frocissimo in "Il Conte Tacchia"(1982) di Sergio Corbucci con Montesano, il preistorico Capo Omosex in "Grunt"(1983) di Andy Luotto, un travestito in "Delitto al Blue Gay" (1985) di Bruno Corrucci con Thomas Milian, e via di seguito.

Dal 1976 aveva fatto coppia en-travesti in molti cabaret romani con Alberto Tarallo, la Doralice del film "Mimì Bluette"(1977) di Carlo Di Palma e che fu anche sceneggiatore di "Suor Omicidi". Oggi è molto più conosciuto come lo scopritore-agente tuttofare del bell'attore Gabriel Garko.

Le esibizioni caricaturali di Franco Caracciolo non finivano di stupire i clienti dei primi locali gay di Roma come il "Club Ompo's" (di Consoli) e "L'Alibi", specialmente con la sua versione impazzita e sgangherata, in tutù classico, del "Lago dei cigni".

Collaborò molto anche con il comico Oreste Lionello per "Il Bagaglino", fondato da Pier Francesco Pingitore e Mario Castellacci con cui, tra l'altro, fece anche molte comparsate cinematografiche in lavori dal gusto non sempre eccelso e dai forti tratti omofobici.

Per sbarcare il lunario, nei primi anni '70, scriveva con lo pseudonimo di Gianni Darelli per la rivista pornografica "OS-Settimanale dei quattro sessi" articoli sconclusionati ma orgogliosamente militanti per la "causa" gay.

Addirittura, nel 1972, ne divenne pure direttore. Anche se il direttore responsabile era in realtà l'etero Marcello Baraghini [5], radicale e amico di Marco Pannella, che in qualità d'iscritto all'albo dei giornalisti assunse anche la direzione del notiziario gay "Ompo" di Massimo Consoli, pur di poterlo far uscire in edicole specializzate.

Il volgarotto e sinistreggiante "OS" fu il primo a pubblicare anche materiale esplicitamente e fieramente omosessuale, quando ancora i gay si vergognavano ad andare a comprare "certe cose" in edicola. Per questo subì innumerevoli sequestri per oscenità.

Franco Caracciolo vi comparve più volte in fotografia, addirittura nudo (con peccetta cache-sex). Da una costola di "OS" nacque il primo giornale gay, semi-porno, "Homo".

In quei tempi poteva accadere veramente di tutto, tant'è vero che Caracciolo rimase invischiato, come attore, nelle riprese degenerate in puro hard-core sul set del "Caligola"(1976), film poi semi-rinnegato dal suo autore Tinto Brass.

Il poeta-regista Mario Sigfrido Metalli, che conobbe bene Franco Caracciolo, mi ha così raccontato il boccaccesco episodio: La scena prevedeva che due servi, spiando da un buco nel muro il padrone che faceva l'amore, si dovessero poi sfogare tra loro. Insieme a Franco avevano scelto un bellissimo ragazzo, li fanno vestire con delle tunichette bianche e corte con niente sotto. Il ragazzo è disposto a "fingere" la scena, tanto - pensa - dopo me lo faccio fare veramente un pompino. Franco gongola, anche se per "finta" la faccia su quel ben di dio ce la deve mettere veramente... I due si mettono in posizione ma nello sbigottimento generale il regista Bob Gruccione strepitò che non hanno capito niente: Franco doveva stare in piedi ed il ragazzo in ginocchio...ma era anche necessario vedere l'atto. Il ragazzo protestò vivacemente che lui è il maschio e che Caracciolo è la frocia. Il regista replicò che per esigenza della macchina da presa quello di Franco Caracciolo è più grosso e quindi s'inquadra meglio... Discussioni, trattative, qualche soldo in più e si è pronti per girare. Al ragazzo fu fatto un mascherone di trucco talmente pesante da renderlo irriconoscibile. Quando però il regista urlò "Guarda che te lo devi infilare in bocca!" si creò il panico, con Caracciolo che diceva di volerlo fare lui, ché proprio non si vergognava delle cineprese. Nulla da fare. Alla fine il ragazzo si rassegna: non vuole perdere la giornata di lavoro e gli daranno anche più del pattuito. Ed iniziarono le riprese. Scene di giubilo da una parte (il set era pieno di checchine che facevano da aiuti, assistenti e chissà che altro) e panico dall'altra...La cosa si dovette rifare per intero due volte! Poi al montaggio si vide appena un movimento di tunichette nell'ombra...Caracciolo era veramente scandalizzato: "Nì, a me questo affronto!" e chi gli replicava che in fondo se l'era fatto succhiare da un bel maschio, rispondeva che lui preferiva il contrario. E comunque, confessò agli intimi, d'aver poi consolato, in privato, il maschio della disavventura, e mentre glielo succhiava gli diceva: "Nì, 'sti stronzi non capiscono niente, non te devi preoccupà che il maschio sei tu!".

Fu poi nel dicembre 1987, mentre scarseggiavano sempre più i ruoli a causa della crisi del cinema, che Renzo Arbore volle a tutti i costi Franco Caracciolo nel suo programma su Raidue "Indietro tutta" (trasmesso per più di 3 mesi, cinque serate alla settimana). Qui Caracciolo, con la sua devastante autoironia, travestito da spiumettante quanto traballante gallina, faceva parte grottesca ed integrante del corpo di ballo delle bellissime e sexy-vallette "Ragazze Coccodè".

Ne scrissero tutti i giornali e fu ospite anche da Maurizio Costanzo.

Purtroppo non ci furono ulteriori sviluppi.

Dopo altri piccoli cammei "caraccioliani" al cinema, si spense all'Ospedale Spallanzani di Roma, a causa di complicazioni dovute all'Aids.

Era il 3 novembre 1992.

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nomeprofessioneautoreanni
Franco CaraccioloattoreMassimo Consoli1944 - 1992