In quei tempi il nepotismo era una prassi consolidata, quasi istituzionalizzata, e papa Sisto non si venne meno alla regola: nello stesso anno della sua elezione nominò Giuliano Cardinale e, avendo notato nel giovane doti di sagacia non comuni e di intelligenza politica, lo delegò in importanti e delicate missioni di carattere diplomatico.
Nel 1484 morì lo zio Sisto e gli successe, quasi per volontà di Giuliano, il cardinal Cybo, che prese il nome di Innocenzo VIII. In quel periodo crebbe di molto la potenza del cardinale della Rovere, ma nel 1492 si autocostrinse all’esilio a causa della sua dichiarata inimicizia verso il nuovo pontefice, Alessandro VI (Rodrigo Borgia); tornò a Roma solo alla sua morte, avvenuta nel 1503. A papa Borgia successe Pio III (Francesco Piccolomini Todeschini), scelto indubbiamente perché persona buona e rispettata da tutti, ma più probabilmente perché anziano e mezzo malandato. Dopo solo un mese di pontificato morì e, col più breve conclave della storia (24 ore), venne eletto all’unanimità Giuliano della Rovere, che assunse il nome di Giulio II.
Fu un papa davvero energico: guidava di persona gli eserciti portandosi tutto il seguito di cardinali e di ufficiali pontifici; fu severo e collerico al punto da bastonare chi lo contraddiceva; aveva una figlia riconosciuta, Felice; fu un grande mecenate, forse il più grande che la storia ricordi: nonostante che la sua parsimonia e la sua avarizia fossero risapute (ridusse all’osso le spese di corte), assoldò i più importanti architetti ed artisti dell’epoca, da Michelangelo a Raffaello, dal Pollaiolo, al Bramante ecc.
Si hanno notizie anche dell’omosessualità di Giuliano della Rovere, già da quando era cardinale: Stefano Infessura, ufficiale dell’amministrazione capitolina, riporta nel suo Diario che Virginio Orsini, capo di una delle fazioni baronali di Roma, aveva cosparso la capitale di fogli in cui accusava Giuliano della Rovere di sodomia e che, se Dio gli avesse concesso la vittoria contro i Colonna, avrebbe portato la sua testa in processione infilzata su una lancia.
Francesco Alidosi da Castel del Rio era indubbiamente un ottimo politico ed uno dei più grandi amici del della Rovere, il quale, una volta eletto papa, si premurò subito di nominarlo cardinale (1505). Vi furono molte dicerie sulla relazione omosessuale fra i due, ma bisogna dire che il pettegolezzo, a volte spinto, era diffuso nella corte papale con lo scopo di screditare gli avversari politici.
Certamente fu la gelosia per le attenzioni del papa verso di lui a spingere il diciottenne Francesco Maria della Rovere (che, adottato divenne un Montefeltro), nominato "capitano generale della Chiesa", ad accoltellare a Ravenna l’Alidosi. Di lui si sa che godeva di un particolare affetto da parte del papa, il quale passava ore ad osservarlo, specie nell’arte dell’equitazione.
Alessandro Luzio scriveva in quel tempo, nel suo “La reggenza di Isabella d’Este”, che papa Giulio insistette con decisione per avere come ostaggio a Roma il giovane Federico Gonzaga e che sia Massimiliano d’Asburgo, che Luigi XII espressero forti dubbi sulle reali intenzioni del pontefice.
Calunnie o meno che fossero, le tendenze omosessuali di Giulio II erano dominio di mezza Europa.
Lo scrittore e storico Giovanni Dall’Orto riporta nel suo sito interessanti testimonianze, che però necessitano di prudenza, in quanto Giulio II era nemico della Serenissima al punto di volerne la scomunica:
Il diarista veneziano Girolamo Priuli, contemporaneo del papa, scrisse che   "Conduzeva cum[con] lui li sui ganimedi, id est [cioè] alchuni bellissimi giovani, cum li quali se diceva publice[pubblicamente] che l'havea acto carnale cum loro, ymmo che lui hera patiente [passivo] et se dilectava molto di questo vitio sogomoreo, cossa veramente abhorenda in chadauno".
Marino Sanudo, diplomatico veneziano, stese addirittura un sonetto sulla vita omoerotica del papa e sul suo amore per la bottiglia:
"Ritorna o padre santo al tuo San Pietro,
e stringi el freno al tuo caldo dexire [desiderio],
che, [muoversi] per dar in segno [far centro] e poi fallire,
recha altrui più disonor che starsi adietro [rimanere fermo].
Per strali e lanze di carne e di vetro,
el Bentivojo non vorà partire,
possa che intenda, che non poi fornire [finire, arrivare],
benche sia [ci sia] chi te spinge ognhor da rietro [dietro]. (...)
Bastiti [ti basti] esser provisto
de Corsso, de Tribiam, de Malvasia,
e de' bei modi assai de sodomia;
et meno biasmo te fia
col Squarzia e Curzio nel sacro palazo
tenir a bocha il fiasco, e in <culo il cazo>"
Dall’Orto riporta anche una “pasquinata” del 1534,
"I ruffiani guidarono Sisto, i sodomiti passivi Giulio;
e tu, buffone, reggi <ora> l'impero del fatuo Leone"
e quanto scrisse il capo degli ugonotti Philippe de Mornay:
"ometterei volentieri quegli altri [epigrammi] dello stesso autore [anonimo!, NdR], se non fosse che cadono a proposito:
Venne in Italia stimato di indole rara
un tedesco; ne ritornò, da ragazzo, donna fatta.
Questo orrore è attribuito al questo buon Giulio.
E del pari si leggi in un libro dei nostri teologi di Parigi, di due giovani gentiluomini da lui stuprati, che la regina Anna, moglie di re Luigi XII, aveva raccomandato al cardinale di Nantes, per accompagnarli in Italia"