Charles Laughton

14 agosto 2006

Diceva di avere la faccia come il culo di un elefante. I suoi sessanta film stanno a dimostrare quante emozioni sapesse modulare con la parte meno nobile del pachiderma: grazia, sottigliezza, violenza, sadismo, calore, perfidia, umanità. Chi lo ha conosciuto racconta di quanto Charles Laughton soffrisse nel partorire le sue interpretazioni, e di come la tensione procuratagli dal lavoro lo rendesse estremamente burbero e intrattabile, anche se era capace di occasionali accessi di estrema dolcezza. Sapeva alienarsi come pochi altri le simpatie dei colleghi, ma forse proprio per questo enorme investimento personale nella recitazione, Laughton ci ha lasciato interpretazioni memorabili ed era capace di rubare la scena a chiunque con una sola occhiata («possono censurare tutto, ma non il mio sguardo», diceva), o con una pernacchia, come quella, celeberrima, di Se avessi un milione (If I had a Million, 1932). E i cinefili di buon gusto non ricordano Laughton solo per le sue interpretazioni sopraffine, ma anche per la regia di La morte corre sul fiume (The Night of the Hunter, 1955), per la quale si potrebbero sprecare i superlativi.

La sua vita privata non era più facile di quella professionale, visto che non seppe mai accettare la propria omosessualità e la visse sempre con grande disagio, temendo che divenisse cosa pubblica.


Charles Laughton viene al mondo nel 1899 a Scarborough, nello Yorkshire, nell'hotel di proprietà dei suoi genitori. Durante gli studi in un collegio di gesuiti perde la fede nel cattolicesimo ma guadagna quella nel teatro. Finite le scuole inizia a lavorare nell'hotel dei genitori, e vi rimane fino al 1925 (con una pausa di quattro anni durante la guerra, trascorsi sotto le armi), quando finalmente il padre gli permette di iscriversi alla Royal Academy of Dramatic Arts. L'anno successivo debutta a teatro in un dramma di Gogol, L'ispettore generale. Nel '27 partecipa già a sette allestimenti, in uno dei quali recita al fianco di Elsa Lanchester, una giovane attrice che un paio di anni dopo sposerà.

Entrambi esordiscono al cinema negli stessi anni, gli ultimi del muto, ma i primi ruoli significativi li ottengono a Hollywood in due diversi film sonori firmati dallo stesso regista (gay), James Whale: Laughton interpreta Il castello maledetto (The Old Dark House, 1932), mentre la Lanchester si guadagna la parte della sua vita interpretando La moglie di Frankenstein (Bride of Frankenstein, 1935).

A teatro Laughton si mostra alquanto versatile, spaziando dai classici ai moderni, senza disdegnare il teatro "leggero" (nel '28 è il primo attore a interpretare Hercule Poirot, l'ispettore snob di Agatha Christie, che sembra in effetti tagliato apposta per lui; tra l'altro non avrà avuto difficoltà a ricrearne l'accento belga, visto che parlava un francese perfetto, appreso sotto le armi).


Stando alle memorie della Lanchester [1], Laughton le confessa di essere omosessuale già l'anno successivo alle nozze: ciò non impedirà loro di rimanere insieme fino alla morte di Laughton. Elsa Lanchester racconta di aver posto come unica condizione quella di non avere figli, e Laughton avrebbe accettato (pare per altro che odiasse i bambini), ma l'attore racconterà poi alla sua protetta Maureen O'Hara una versione diversa (secondo la quale la Lanchester non poteva avere figli, per via di un aborto).


Dal punto di vista della carriera, gli anni '30 sono i più felici per Laughton. Molti dei suoi ruoli più riusciti lo vedono vestire i panni dell'antagonista, a partire dal Nerone di Il segno della croce (Sign of the Cross, 1932) di De Mille, tanto effeminato da lasciare poche speranze alla povera Claudette Colbert, per quanti bagni nel latte si faccia. E poi sono seguiti, tra gli altri, il dr. Moreau di Island of Lost Souls (1933), il sadico capitano Bligh di Gli ammutinati del Bounty (Mutiny on the Bounty, 1935), il Quasimodo di Notre Dame (The Hunchback of Notre Dame, 1939).

Il culmine della popolarità, sia di pubblico che di critica, lo raggiunge però con un ruolo diverso, quello che lo vede protagonista di Le sei mogli di Enrico VIII (The Private Life of Henry VIII, 1933). Proprio per sottrarsi agli eccessi della popolarità guadagnata con questo film, Laughton lascia il cinema per un anno e si dedica al teatro, lavorando per un'intera stagione (a base soprattutto di Shakespeare) all'Old Vic di Londra (non va nemmeno a ritirare l'Oscar assegnatogli per la sua interpretazione di Henrico VIII, l'unico che abbia vinto).


Negli anni successivi le maggiori soddisfazioni professionali le ottiene in teatro che, un po' snobisticamente, ha sempre detto di preferire al cinema. Laughton organizza tra l'altro lodati spettacoli di lettura di poesie e testi letterari, si impegna nell'attività didattica (tra i suoi allievi c'è Albert Finney) e torna periodicamente a Shakespeare, sebbene non siano molti i personaggi del bardo che rientrano nelle sue corde (anche perché la sua corporatura robusta lo rende privo del physique du rôle necessario per la maggior parte degli eroi shakesperiani), e infatti prende anche qualche cantonata (già nel '34 un suo MacBeth non aveva riscosso grandi consensi, come non li avrà il suo Re Lear del 1959).


Invece la sua popolarità al cinema cala, come la qualità e spesso il peso dei ruoli che gli vengono offerti. Anche i registi lo amano poco: Laughton si fa presto fama di attore problematico e scorbutico, indocile e refrattario a lasciarsi dirigere, e le storielle sulle sue idiosincrasie fanno presto il giro dell'ambiente. Non sorprende sapere che Hitchcock, che notoriamente esibiva disprezzo per gli attori, non ne sopportasse i metodi di lavoro e il protagonismo. E nonostante questo lavorò con lui due volte, per La taverna della Giamaica (Jamaica Inn, 1939) e per Il caso Paradine (The Paradine Case, 1947). Garson Kanin, che lo ha diretto in uno dei suoi ruoli più curiosi, quello dell'italoamericano di Non desiderare la donna d'altri (They Knew What They Wanted, 1940), lo ha definito «attore riservato», il tipo che «quando va a casa la sera, ci si chiude dentro e calcola esattamente come reciterà la parte prevista per il giorno successivo. Dopodiché recita secondo programma, noncurante delle parole del regista e delle azioni degli altri attori» [2]. Probabilmente anche per questo il teatro gli riusciva più congeniale, mentre il cinema, con la sua prassi di modificare spesso le battute all'ultimo momento, gli riusciva tormentoso, poiché Laughton lavorava su ogni singola battuta fino allo sfinimento e faticava a memorizzare le nuove aggiunte.


C'è anche chi ha attribuito il carattere burbero di Laughton, facile all'esaltazione come alla depressione, proprio al disprezzo di se stesso che provava per via della sua omosessualità, che comunque non gli impediva di intrattenere relazioni anche durevoli con i suoi partner (di norma giovani assistenti). Pur non avendo mai parlato pubblicamente della sua omosessualità, non teneva i suoi compagni nascosti ai colleghi e spesso li portava sul set perché arrecassero un po' di sollievo allo stress che gli procurava il lavoro.

La sua omosessualità era perciò ben nota nell'ambiente, e in qualche caso poteva anche creare problemi, ad esempio con colleghi conservatori e omofobi come Clark Gable (sul set di Gli ammutinati del Bounty non mancarono le tensioni) o Henry Fonda (che durante le prove di uno spettacolo teatrale lo insultò dandogli del «fat faggot»). Poteva capitare però anche che lo stesso Laughton ci scherzasse sopra, come quando, durante le riprese di Il maggiordomo (Ruggles of Red Gap, 1935), il regista Leo McCarey, che non riusciva a chiudere una scena e trattenne tutti sul set oltre il normale orario, sbottò: «Gesù, Charles, devi proprio essere così checca?», al che Laughton rispose: «Ma, caro, dopo le otto di sera è normale che un po' traspaia!» [3].


Dopo che la scelta di prendere la cittadinanza statunitense, nel 1950, gli ha alienato ulteriori simpatie in patria (la stampa lo attacca violentemente), la cronica insicurezza di Laughton peggiora in seguito all'insuccesso di La morte corre sul fiume, proprio per questo rimasta purtroppo la sua ultima regia cinematografica (a teatro firmò invece diverse regie). II film dovrà attendere anni per essere rivalutato come meritava, soprattutto proprio per la brillante direzione di Laughton, ricca di idee acute e di trovate ardite.


Solo negli ultimi anni le sorti sembrano ribaltarsi e all'attore vengono finalmente offerte alcune parti degne delle sue capacità, in ruoli questa volta di senili campioni di umana giustizia, anche quando non privi di ambiguità: il virtuoso giudice Robarts in Testimone d'accusa (Witness for the Prosecution, 1957) di Wilder, il dignitoso console Gracco in Spartacus (Id., 1960) di Kubrick e lo scaltro ma onesto senatore Cooley in Tempesta su Washington (Advise and Consent, 1962) di Preminger, rimasto il suo ultimo film.


Dal 1960 Laughton si ritrova vicino di casa di Christopher Isherwood e del suo compagno Don Bachardy, la cui amicizia pare abbia portato un po' di sollievo alla sua incapacità di accettare la propria omosessualità. Un po' tardi, visto che Laughton muore a Hollywood nel 1962, di cancro: il suo ruolo successivo avrebbe dovuto essere comico, quello del barista di Irma la dolce (Irma la Douce, 1963) di Wilder.

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