Amerigo Marras

3 settembre 2004

Era un personaggio straordinario. Difficile attribuirgli un'origine o un'appartenenza, anche se era nato in Sardegna, aveva la doppia cittadinanza italiana e canadese, gli ultimi vent'anni li aveva vissuti a New York ed era morto in Francia, mentre faceva piani per trasferirsi nello Sri Lanka.

A Toronto, dove si era laureato in architettura, aveva 'inventato' un centro culturale polifunzionale e multimediale insieme a vari attivisti che si incontravano a casa sua. Li', aveva cominciato una raccolta di materiali che poi trasferì a New York. Il Glad Day Bookstore, il primo Gay Pride canadese, il prestigioso "The Body Politic" (negli anni '70 una delle più importanti pubblicazioni gay)... tutto nacque a casa sua e i disegni dei primi sette numeri del giornale sono quasi tutti suoi.

A New York, questo archivio straordinario faceva capo alla libreria WW3, che aprì insieme a Don Suber Corley, a Bruce Eves e John Hammond. Poi, nel 1989 veniva donato parte al "Lesbian & Gay Community Services Center," e parte alla "New York Public Library", costituendo il nucleo fondamentale di una delle più grosse collezioni al mondo nel suo genere, sotto l'egida del Dipartimento Libri Rari e Manoscritti, curato da Mimi Bowling.

Ma stranamente, da questo lavoro di dedizione il Marras, residente in maniera precaria negli Stati Uniti, non ha mai ricevuto nemmeno un grazie. Non solo! Per essere stato "coinvolto" nella nascita del rivoluzionario movimento gay canadese degli anni '70 e per aver tradotto (nel 1981) in inglese un libretto intitolato "Omosessualità e Comunismi", si è trovato coinvolto in una situazione kafkiana dalla quale non riuscì più a venir fuori.

Omosessualità e Comunismo: erano le due parole più proibite nell'America maccarthiana e reaganiana. Averle messe insieme, per Marras, è stato fatale... Subì un'inchiesta, la sua libreria e abitazione furono perquisite due volte, illegalmente e sotto la minaccia delle armi, e lui soggetto ad una straziante procedura giudiziaria che lo costrinse ad abbandonare il paese...

Tutto questo mentre decine di studiosi di tutto il mondo, ogni giorno, e grazie a lui, si recano alla "New York Public Library" per fare ricerche su quello che è divenuto il tema più fashionable del momento: la comunità gay».

Aveva collaborato a "Ompo" e "Rome Gay News", e gli universitari milanesi avevano trovato interessantissima la sua rubrica «Per una teoria libidinale dell'Architettura». Poco prima di morire aveva pubblicato presso la Princeton Architectural Press di New York, "Eco-Tec, Architecture of the In-Between", dove aveva espresso il suo pensiero sull'ecologia e la tecnologia nei loro rapporti con l'architettura.

Aveva un carattere riservato. Per anni non aveva voluto che si parlasse di lui, mantenendo un profilo molto basso. Ciononostante, fu molto felice quando, su una rivista specializzata, apparve un articolo lungo molte pagine sulla sua storia e le sue iniziative nel quale si ricordava come il primo movimento artistico-culturale canadese autoctono (cioe' non influenzato dai modelli USA o europei fino ad allora imperanti) era stato creato proprio da lui, nella sua famosa casa di Toronto.

Sul nostro movimento gay aveva un atteggimento un po' paternalistico ed un po' insofferente: sembrava che gli italiani ancora non avessero capito quali fossero i loro reali obiettivi e si perdessero in chiacchiere inutili. Non capiva quanto fosse difficile, nel nostro paese, liberarsi da una tradizione culturale (soprattutto politico-religiosa) oppressiva e ossessiva.

La riproduzione di questo testo è vietata senza la previa approvazione dell'autore.