A ritmo di musica

L'omosessualità nei videoclip

17 novembre 2004, Pride, n. 56, febbraio 2004

Da supporti promozionali delle canzoni, i videoclip sono diventati una forma d'arte a se stante. Che però ha faticato molto ad accettare l'omosessualità. All'estero c'è voluto circa un decennio, mentre in Italia il muro d'omertà è stato rotto solo nel 2003. Vi raccontiamo vent'anni di visibilità gay attraverso i videoclip.


Video killed the radio stars
("il video ha ucciso le star della radio")...
Così cantavano i Buggles nel 1979. Allora i cosiddetti "videoclip" erano perlopiù destinati per la promozione dei 45 giri e venivano trasmessi in piccoli circuiti televisivi, o durante le conferenze stampa tenute dalle case discografiche.
Finche, nell'agosto del 1981, una piccola stazione televisiva del New Jersey, conosciuta come MTV, iniziò a trasmettere video musicali, scegliendo come primo "pezzo" proprio quello del britannico duo. Nel giro di pochi anniil titolo si dimostrò profetico.

Fu il 1984 l'anno in cui per la prima volta vennero trasmessi videoclip di artisti che non celavano la propria omosessualità ma che ovviamente (stiamo parlando di vent'anni fa!), non potevano essere così espliciti come verso la fine del millennio.

Jimmy Somerville era alla testa del trio elettronico Bronski Beat; per l'epoca il loro LP The age of consent (con un bel triangolo rosa al centro della copertina) fu decisamente coraggioso. Il primo video tratto da quell'album, Smalltown boy ("Ragazzo di paese"), riprende un timido Jimmy alle prese con una banda di "ragazzacci provinciali" che gliene danno di santa ragione. Il video non spiega il perché del pestaggio, ma il fatto che tutto avvenga all'uscita della piscina, dove il giovane stava puntando uno dei bei nuotatori, la dice lunga sui suoi gusti sessuali e soprattutto sul significato del film. Non resterà al povero Jimmy che fuggire in città, dove assieme agli amici riuscirà a vivere più serenamente la propria diversità.

Nello stesso anno un video particolarmente "forte" fu censurato dalla maggior parte delle Tv conservatrici: Relax dei Frankie goes to hollywood.
Il video, un vero flash per quegli anni, riprende il cantante Holly Johnson mentre s'introduce in un locale leather in cui troneggia una... "matrona" dal fisico prosperoso. In quel turbinio di muscoli e uomini ambigui, Holly incontrerà l'altro membro della band dichiaratamente gay, Paul Rutherford, con cui si farà legare per assaporare le prelibatezze del sesso sadomaso. Probabilmente il video fu censurato, più che per gli attori e per il loro look, per l'esibizione della padrona del locale, un energumeno flaccido e obeso ricoperto da un semplice minitanga di pelle.

Prima di questo solo il video di un ricercato Joe Jackson, Real men ("all the gays are macho, can't you see the leather shine": "tutti i gay sono macho, non vedi brillare il cuoio?"), due anni prima, ci aveva regalato una scena d'intimità fra due bei ragazzi appoggiati a un muro... ma nulla di scandaloso, ben inteso!

Gli anni Ottanta vedono la nascita di gruppi pop/rock che firmeranno molti motivi leggeri che ancora oggi ci fanno sognare. In un certo senso viene ribaltato il concetto del brano che non è più "da ascoltare", ma soprattutto "da vedere". Ecco allora che l'ostentazione (da parte di alcuni artisti) d'un look volutamente ambiguo diventa un must per molti clip. Nascono i Duran Duran, i Dead or alive, i Depeche mode, i Culture club con un truccatissimo Boy George, gli Wham con il bel George Michael che illuderà per anni milioni di ragazzine ecc.

Tra le popstar che attirano più attenzione vi è un certo Morrisey (Stephen Patrick per l'anagrafe), che con i suoi Smiths presenta un rock'n'roll dai toni provocanti e intelligenti. Nei loro testi, spesso politicamente impegnati (al contrario della maggior parte delle canzonette allora in voga), è facile imbattersi in alcune locuzioni tipiche dell'immaginario gay. Tuttavia i loro video risultano per la maggior parte solo esibizioni live, ad eccezione dei clip realizzati dal regista Tim Broad e dei quattro realizzati dal regista Derek Jarman: Panic, Ask, The Queen is dead e There's a light that never goes out.
Se in The Queen is dead troviamo alcune tracce dello Jarman psichedelico e irruentemente provocatorio di The last of England (film del 1987), in There's a light that never goes out (grazie anche al testo di Morrisey) la telecamera propone continui flash del corpo (semi) nudo d'un ragazzo statuario.

Jarman presterà la sua regia ad altri artisti pop, come i Lords of the new Church, ma soprattutto ai Pet shop boys, di cui firmerà i clip per Rent e per il "manifesto di comin'out" di It's a sin. Il regista lascia sempre allo spettatore la possibilità di "scoprire" determinate sfumature, come i delicati baci che si scambiano due ragazzi sul set di un altro It's a sin, realizzato appositamente per il tour del duo pop del 1989.
I Pet shop boys hanno sempre dedicato una certa cura e attenzione a quello che si può definire l'immaginario collettivo gay, inserendo spesso nei propri video modelli che sembrano usciti dalle copertine patinate di "Uomo Vogue" (si noti solo la coppia maschile seminuda che un po' fa a pugni e un po' fa all'amore in Paninaro O95).
In Domino dancing (1988) i protagonisti sono due giovani ispanici mozzafiato, a torso nudo, alle prese con la "bella" di turno: l'attenzione va soprattutto alle figure maschili, tanto che all'epoca in Messico, dove il video fu girato, si rifiutarono di mandare in onda il clip nei circuiti televisivi nazionali.
Due anni dopo il duo britannico si affida niente meno che al fotografo Bruce Weber per il video di Being boring, girato all'interno di una villa dove si svolge una festa privata di teenager. Lo stesso Weber firmerà successivamente altri due video, il primo, Se a vida é (1996) girato all'interno d'un parco giochi acquatico ed incentrato anch'esso sulla visione goliardica della vita da parte degli adolescenti ("life is much more simple when you're young": "la vita è molto più semplice quando sei giovane"), e il recente I get along (2002) girato al Little bear studio di NY, mentre fervono i preparativi per un book di scena. In tutti abbonda la nudità maschile.

Prima della digressione sui Pet shop boys eravamo arrivati alla fine degli anni Ottanta, momento in cui la spensieratezza che aveva caratterizzato i primi videoclip lasciò spazio all'introspezione e al minimalismo.
L'omosessualità venne allora rappresentata all'ombra d'una coscienza più matura, soprattutto per via della crisi dovuta all'Aids. Lo stesso Jimmy Somerville, che nel 1984 s'era cimentato assieme all'amico e collega Marc Almond (che aveva da poco terminato la sua esperienza con i Soft Cell) nella spassosissima parodia dell'icona gay Donna Summer e della sua I feel love, volse la sua attenzione in maniera più incisiva ai diritti legati ai malati di Aids, ad esempio con video come For a friend (1987) e Read my lips (1989).

Nasce subito dopo il progetto Red hot + blue, una compilation di cover di Cole Porter, creata per raccogliere fondi per la ricerca sull'Aids. La proposta si tradusse anche in una serie di videoclip dove, fra l'altro, troviamo impegnate KD Lang e Sinead O'Connor.
Nel video di From this moment on interpretato da Jimmy, scopriamo inequivocabili segni d'omosessualità negli abbracci dei due modelli che si sono prestati al film, diretto da Steve Mclean. Più misterioso il video che vede protagonista una Sinead O'Connor con tanto di parrucca stile anni Cinquanta interpretare You do something to me, ambientato in un locale che ricorda vagamente le bettole preferite da Genet; qui ballano indifferentemente marinai e personaggi ambiguamente truccati. KD Lang invece ci regala un'intimissima So in love mentre è alle prese con la sterilizzazione dei capi intimi dell'amante, probabilmente ricoverata in qualche ospedale (toccante la scena in cui l'artista bacia la sottoveste dell'amica).

Più tardi, nel 1996 (ma la canzone è del 1994), George Michael dedicherà un meraviglioso video, Jesus to a child, all'amante, scomparso per Aids.
Tuttavia la "dedica" era nota solo agli "addetti ai lavori".
Fu infatti solo nel 1998 che Michael fu, suo malgrado, obbligato a "dichiararsi" gay, per un arresto per atti osceni (gay) in luogo pubblico. Il cantante allora, spronato dal suo stesso padre, si farà beffa di quell'episodio nella canzone Outside, divenuto subito uno slogan inneggiante all'amore libero. Il video volge più volte l'attenzione su effusioni tra maschi, sino a divenire provocazione con il famoso bacio tra i due poliziotti che hanno appena "stanato" qualche personaggio per comportamenti "indecenti". Il clip si chiude con l'emblematica frase Jesus loves us (all of us).

Rimanendo in tema di effusioni ricordiamo due video usciti dopo la morte per Aids di Freddie Mercury: nel 1996 i rimanenti Queen pubblicano Made in Heaven, ultimo lavoro registrato con Freddie, lasciando libera ispirazione a giovani registi per la messa in opera di video correlati ai brani dell'album.
Dedicato ai vari aspetti dell'amore e delle relazioni, il video I was born to love you, di Richard Heslop, si apre con un'intensa effusione fra due ragazzi in un ascensore, mentre la storia di You don't fool me, opera di Mark Szaszy, si basa sul concetto dell'androginia e sull'apparente separazione tra le identità sessuali maschili e femminili. La ragazza "agganciata" in discoteca sembra preferire l'attenzione dell'amica del cuore piuttosto che quella del ragazzo che sta tentando di rimorchiarla.

Simile la storia che si va srotolando nel video degli Skunk Anansie Post orgasmic chills, del 1999. Siamo ormai alle soglie del nuovo millennio e la visibilità dell'universo gay-lesbo inizia a farsi strada prepotentemente.
Qui le timide effusioni femminili della KD Lang di Just keep me moving, di soli sei anni prima, impallidiscono, di fronte a tanta sfrontatezza: una ragazza se la fa con due ragazzi, ma quando si rende conto che forse preferiscono stare a letto da soli esce di casa, sorridendo complice e lasciandoli teneramente abbracciati. Ne esiste anche una versione "extended", ancor apiù esplicita, in cui i due maschietti si baciano in una piscina.

A fugare ogni forma di dubbio due anni fa arrivano le Tatu, un duo russo. Il testo (e il video) parlano chiaro, All the things she said (tutte le cose che lei ha detto) è una dichiarazione d'amore saffica. Il loro bacio, ripetuto dal vivoall'Arena di Verona durante la serata finale del Festivalbar di due anni fa, fu tagliato per "non urtare la sensibilità dei telespettatori più giovani".

Certo a qualcuno questa "visibilità" inizia a dare fastidio: negli Stati Uniti si sono innalzate le voci di chi non vede proprio di buon occhio la "scalata" al successo da parte della minoranza gay.
Gli Electric six, una band di rock demenziale al pari dei nostri Elio e le storie tese o dei nostri vecchi Squallor, hanno saputo ironizzare sulle proteste dei "benpensanti" realizzando lo scorso anno Gay bar, in cui il cantante, con barba e cappello stile Abramo Lincoln e jockstrap, ripete ostinatamente di voler portare la sua ragazza in "gay bar", mentre i suoi "cloni" si esibiscono in situazioni tipiche dello stereotipo gay: in palestra, in un beauty center o in una discoteca leather, fino a perdersi in un'ipotetica, sognante orgia finale all'interno della Casa bianca. (A sua volta questo video ha subito una parodia ).

Un'altra brillante parodia è rappresentata dal duo femminile The Hazzards, che si definiscono come "la band ukulele newyorkese più cattiva del momento". Il loro Gay boyfriend (2003), visibile online, riprende le due cantanti annoiate dal solito ragazzo di turno mentre sognano un gay boyfriend perché sicuramente più vicino alla loro sensibilità femminile e sicuramente più "fedele" rispetto a un ragazzo etero.

Allo stesso modo divertente, ma senz'altro più irriverente, è il video di Jonny McGovern, noto anche come Gay Pimp ( www.gaypimp.com ). Il suo video Soccer practice ("allenamento di calcio") scherza sulla pronuncia inglese: "soccer" è molto simile a "sucker" (c'è bisogno di spiegazioni?). Nel video Jonny tenta di attirare un grazioso calciatore proponendogli "giochi sporchi". Il bel ragazzo (convenientemente mostrato in abbigliamento molto succinto) immagina si riferisca a giochi "duri", da veri uomini, come fare sport o adescare ragazze... non immagina che in realtà il cantante ha in serbo per lui altre sorpreseS a cui allude grazie all'assistenza di due travestite pon-pon.

Qualcosa sta effettivamente cambiando dunque in questi ultimi anni; segno più che palpabile nel clip di una fra le pop star più amate dai gay, Christina Aguilera. Il video di Beautiful (2003) riprende alcune persone che vivono ai margini di una società sorda alla "diversità": un ragazzino smilzo che sogna di mettere muscoli, una ragazza anoressica che non si accetta di fronte allo specchio, un uomo che riesce ad accettare il proprio corpo solo quando si veste da donna, una coppia gay che si bacia con molta passione ("tu sei bello, non importa ciò che loro dicono"). Il clip rende finalmente giustizia a un mondo "a parte" che difficilmente finisce sui rotocalchi rosa e verrebbe la voglia di dire: "Brava Christina!" (o bravi i suoi produttori?).

Dall'Islanda provengono i Sigur Rós, gruppo rivelazione di questi anni. Il giovane cantante e chitarrista Jon "Jonsi" Birgisson, dichiaratosi recentemente gay, è anche il principale compositore e ispiratore del gruppo.
Sua l'idea del video di Vi rar vel til loftárása (letteralmente "una buona giornata per un attacco aereo", il che la dice lunga su quanto siano importanti le parole per questa band). Il clip racconta di un'amicizia molto forte tra due adolescenti in una squadra di calcio; il lunghissimo bacio scambiato tra i due amici durante una partita è al fulmicotone, uno shock per gli spettatori del match e per quelli davanti al video.

Tutto questo accade ovviamente all'estero. E nella nostra penisola? Banale dirlo, ma il coraggio non sembra appartenere alle vecchie leve (e in Italia ce ne sono parecchie), quanto piuttosto alle nuove: è infatti solo nel 2003 che appare il primo clip con situazioni gay. Si tratta del video-scandalo Tormento, opera del regista Farhad Rahbarzadeh, ambientato all'interno della basilica di S. Maria in Cosmedin in Roma. Lo interpreta Maxximo, prima ballerino, poi modello, infine cantante.
Su tutto prevale un gusto alla Pierre e Gilles per le madonne interpretate da transessuali o per gli angeli ambiguamente efebici, con tanto di prete apertamente gay (interpretato da Maxximo); ma i riferimenti alle ambientazioni di Derek Jarman e alla sua iconografia del tardo barocco spagnolo ricorrono in tutta la sequenza del film. All'interno del video, addirittura, una "benedizione" cardinalizia a una coppia gay, e altre scene che per il loro "gusto" sono state censurate dalla casa discografica che avrebbe dovuto distribuire lo stesso video e che invece lo ha censurato.

Il percorso, come vedete, è ancora lungo e faticoso, costellato da piccoli segnali che v'invito a segnalarmi ogni volta che scoprite una parvenza di apertura verso un universo troppo spesso messo a tacere.

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