Oscar Wilde in Italia (1897)

4 gennaio 2003, Babilonia, maggio 1997

È passato oltre un secolo da quando Oscar Wilde (1854-1900), reduce da due anni di carcere inflittigli per la sua omosessualità [1] decise di venire in Italia a passare l'inverno e, forse, a vivere per sempre. Com'è noto, invece, avrebbe finito per passare la maggior parte dei tre anni che gli restavano a Parigi, dove morì.

Wilde era stato liberato a metà del 1897, e per quattro mesi abitò in Francia, cercando di rifarsi una vita, lavorando alla celebre Ballata del carcere di Reading e tentando di dimenticare l'uomo che l'aveva portato alla rovina, Alfred Douglas (1870-1945) detto "Bosie" [2].

Purtroppo però, per parafrasare Pascal, il cuore ha ragioni che la Ragione non conosce, e così in breve l'amore ebbe ragione della Ragione di Wilde: eccolo rimettersi in contatto con Douglas, dargli un appuntamento e decidere di trascorrere con lui l'inverno a Napoli, dove già soggiornavano parenti di "Bosie".

Tutto ciò irritò gli amici di Wilde, che ben sapevano quale influsso avesse Douglas su Wilde. Al quale, da brava vittima dell'amore, non rimase che ribattere, in una lettera del 23 settembre 1897:

"Molto di quanto dici nella tua lettera è vero, ma continui a trascurare il grande amore che io ho per Bosie. Lo amo, e l'ho sempre amato. Mi ha rovinato la vita, e per questa stessa ragione sembro costretto ad amarlo di più. (...)

E lui mi ama molto teneramente, più di quanto mi possa amare chiunque altro, e senza di lui la mia vita era squallida" [3].


Così fu che i due amanti arrivarono a Napoli il 20 settembre 1897 e dopo pochi giorni si installarono sulla collina di Posillipo, nella Villa Giudice.

Nonostante Wilde viaggiasse sotto falso nome (Sebastian Melmoth), il suo arrivo in città divenne subito il pettegolezzo del momento, al punto che il 7 ottobre Matilde Serao (1856-1927) ne scrisse sul quotidiano "Il Mattino" [4].

Ad essere sinceri era ingenuo pretendere di mantenere il segreto, visto che Wilde aveva sùbito frequentato i letterati napoletani, nella speranza che qualcuno traducesse le sue opere [5].
Inoltre non tutte le frequentazioni della coppia erano innocenti: quelle con disponibili maschi locali non potevano non creare pettegolezzi:

"il cameriere dell'albergo disse che una sera Wilde era tornato seguito da cinque soldati: un marinaio, un artigliere, un granatiere, un bersagliere e un fantaccino, coi quali aveva trascorso tutta la notte. Io, aggiunse il cameriere, mi svegliavo di tanto in tanto chiedendomi: chissà quale arma monta la guardia in questo momento!" [6].

E che razza di ambiente sociale frequentasse Wilde per procurarsi gli amanti lo rivelerà una lettera del 16 aprile 1900: facendo tappa a Napoli di ritorno da Palermo, trovò che:

"la maggior parte dei miei amici sono (...) in prigione" [7].

Così a poco a poco i pettegolezzi si trasformarono in scandali, come quello avvenuto il 15 ottobre 1897 a Capri, dove Wilde e Douglas erano andati in gita.
La coppia aveva preso alloggio all'Hotel Quisisana la sera prima, ma il giorno dopo lo scrittore svedese Axel Munthe (1867-1949) li incontrò per strada, palesemente depressi:

"Nessuno dei due aveva cenato e respiravano il fresco della sera aspettando il vapore che all'alba doveva condurli a Napoli. "Mi hanno negato il pane", disse il poeta con amabile rassegnazione.

Il suo compagno raccontò che non appena si erano seduti per cenare [al Quisisana], il proprietario imbarazzato, ma con perfetto cerimoniale, li aveva pregati vivamente di volersi servire altrove. Alcuni stranieri di riguardo, cittadini britannici, avevano riconosciuto il poeta maledetto e non intendevano tollerare la sua vicinanza.

I due uomini si erano alzati per cercare un tetto più accogliente, ma il secondo asilo non fu più ospitale del primo. Anche qui ben presto fu loro riservato l'identico trattamento.

Questa seconda esperienza fu abbastanza ed essi non pensarono più che a fuggire. Ma adesso si poneva loro il problema di un tetto dove poter almeno riposare nelle ore che li separavano dalla partenza. Non senza insistenza, il dottore li persuase a rinunciare al loro affrettato progetto e li accolse in una delle sue proprietà" [8].


Dopo questo incidente Wilde tornò a Napoli il 18 ottobre 1897; Douglas invece si fermò nella "Villa san Michele" di Munthe per qualche giorno.

Il preoccupante clima di scandalo spinse i famigliari, tanto di Douglas quanto di Wilde, prima a chiedere, poi ad intimare, poi ad obbligare i due a separarsi. A tal scopo Wilde fu privato della piccola rendita garantitagli dalla moglie separata, mentre a "Bosie" vennero tagliati i fondi dalla madre.
Invano Wilde si sfogò in una lettera del 16 novembre 1897:

"la mia esistenza è uno scandalo.

Ma non credo che mi si dovrebbe accusare di aver creato scandalo perché continuo a vivere: anche se mi rendo conto che è così.
Non posso vivere solo, e Bosie è l'unico dei miei amici in grado o disposto a darmi la sua compagnia.

Se vivessi con un marchettaro napoletano immagino che sarei considerato a posto. Perché vivo con un giovane che è bene educato e bennato, e che non è stato accusato di alcun delitto, mi si priva di ogni possibilità di esistenza" [9].


Né furono quelle famigliari le sole pressioni. Douglas ricordò che:

"uno degli addetti all'ambasciata d'Inghilterra a Roma - avevo passato l'inverno con mia madre in quella città - venne a Napoli espressamente per vedermi e farmi capire che avrei dovuto separarmi da Wilde immediatamente.
Mi disse che il fatto che Wilde fosse mio ospite dava àdito a ogni sorta di spiacevolissimi commenti, e arrivò perfino a dire che agendo così mi comportavo male verso l'ambasciata stessa. (...)

Un giorno mi sarei pentito di aver preso sotto la mia ala protettrice "un bruto come Wilde", che mi sfruttava indegnamente, e che si sarebbe poi rivoltato contro di me" [10].


Di fronte all'implacabile ostinazione dei nemici, il 25 novembre 1897 Wilde scrisse a Robert Ross (1869-1918), che curava i suoi interessi:

"Quello che mi stupisce e mi interessa della mia posizione attuale è che nel momento in cui le forze del mondo cominciano a perseguitare qualsiasi persona, non smettono mai più. (...)

Cessare una persecuzione significa ammettere che si è avuto torto, e il mondo questo non lo farà mai. Inoltre, il mondo è irritato perché la sua punizione sembra non aver avuto alcun effetto.
Volevano poter dire "abbiamo reso un magnifico servizio a Oscar Wilde: mettendolo in carcere abiamo interrotto la sua amicizia con Alfred Douglas e tutto quanto esso comportava". Senonché ora scoprono di non aver avuto quell'effetto, di avermi semplicemente trattato in modo barbaro, ma non di avermi influenzato.
Mi hanno solo rovinato, e perciò sono furiosi" [11].


Barbaro o no che fosse, il taglio dei fondi risultò comunque efficace, e poco dopo il 30 novembre 1897 Douglas fu costretto a tornare a casa, non senza aver scritto una lettera piena di "rinsavimento" alla madre. La quale però, a onor del vero, pagò i (molti) conti lasciati in sospeso dalla coppia [12].
Wilde ricevette addirittura un po' di denaro da lei, e ne approfittò per regalarsi un viaggio a Taormina, dove reincontrò il fotografo Wilhelm von Gloeden (1856-1931).
Al ritorno scoprì che un "servitore" lo aveva svaligiato.

Così, alla fine di dicembre,

"Oscar fu costretto a lasciare villa Giudice e a trasferirsi in una sordida locanda procuratagli dall'allora amico del cuore, Alfredo" [13],

in via S. Lucia 31.

Falliti i tentativi di mettere in scena le sue opere teatrali e di far tradurre le sue opere, il 13 febbraio 1898 Wilde infine partì per Parigi, da dove protestò in una lettera del 18 febbraio:

"La gente è molto sleale a maltrattarmi per via di Bosie e di Napoli. I patrioti incarcerati perché amavano la patria amano la patria, e i poeti incarcerati perché amavano i ragazzi amano i ragazzi. Modificare la mia vita sarebbe equivalso ad ammettere che l'amore uraniano [omosessuale, NdR] è ignobile. Per me è nobile - più nobile di altre forme" [14].

Il ritorno a Parigi non significò comunque l'addio di Wilde al nostro Paese. Nell'aprile 1899 eccolo infatti a Genova (città nel cui cimitero di Staglieno è sepolta sua moglie, Constance Lloyd, 1857-1898) e a Santa Margherita Ligure.
Il motivo del nuovo viaggio era anche sessuale: Wilde apprezzava fin troppo le modeste pretese economiche e la disponibilità a prostituirsi dei ragazzi di un Paese misero come l'Italia, ed ora che non aveva più nulla da nascondere non ne faceva mistero.
Il 30 marzo 1899 aveva infatti scritto in una lettera dalla Svizzera:

"Parto domenica per Genova - Albergo di Firenze. Mi è impossibile andare a Parigi: non mi bastano i soldi. Voglio provare a trovare un posto vicino a Genova, dove poter vivere per dieci franchi al giorno (ragazzo compris [compreso, NdR]).La castità della Svizzera mi ha dato sui nervi" [15].

E il giorno dopo:

"Parto domattina per Genova - Albergo di Firenze - una piccola locanda sul lungomare, abbastanza mal-famée ma economica. (...)

Spero di trovare a Genova, a aspettarmi, un giovinetto a nome Edoardo Rolla, uno dei navigatori. Ha capelli biondi, e veste sempre di blu scuro. Gli ho scritto. Dopo la gelida verginità delle Alpi svizzere e della neve, bramo i rossi fiori della vita che macchiano il piede dell'estate in Italia" [16].


Le cose non andarono comunque come previsto. Nell'aprile Wilde scrisse, dall'albergo Cristoforo Colombo di Santa Margherita Ligure, ancora a Robert Ross, chiedendogli di venirlo a trovare, perché si sentiva solo. E Ross venne davvero, ma solo perché Wilde

"si cacciò certamente in qualche guaio serio, poiché Ross, che in quel periodo era ammalato, dovette da Londra correre in tutta fretta a Santa Margherita per cavarlo dai pasticci" [17].

Così il 16 maggio 1899 Wilde era di nuovo a Parigi, da dove scrisse una lettera di ringraziamento per Ross.



L'ultimo viaggio di Wilde in Italia avvenne nel 1900, poco prima della morte. Stavolta Wilde arriverà fino a Palermo, a spese di Harold Mellor (1868-1925), un ricco omosessuale assai nevrotico, che provava giovamento dalla compagnia di Wilde.
Quando Wilde lo conobbe nel gennaio 1899, lo descrisse così:

"C'è un tipo incantevole chiamato Harold Mellor (espulso da Harrow a quattordici anni perché amato dal capitano della squadra di cricket). (...)

A volte viene in bicicletta con lui un ragazzo italiano molto grazioso, magro, biondo. Si chiama Eolo; avendo suo padre, che lo ha venduto a Harold per 200 lire, battezzato tutti i figli - diciassette di numero - con nomi ricavati sul Dizionario mitologico. Harold è un tipo simpatico, ma il suo ragazzo lo annoia. È una cosa tristissima [18].


Particolarmente gustosa è la descrizione delle visite che Wilde fece tra il 2 e il 19 aprile 1900 alla cattedrale di Monreale:

"Ci andavamo spesso in carrozza, essendo i cocchieri ragazzi modellati nel modo più squisito. La razza si vede da loro, non dai cavalli di Sicilia. I favoriti erano Manuele, Francesco e Salvatore. Li amavo tutti, ma ricordo solo Manuele.

Ho anche fatto amicizia con un giovane seminarista. (...) Ogni giorno mi mostrava tutta la cattedrale. (...) Dapprima il mio giovane amico, a nome Giuseppe Loverde, mi diede delle informazioni: ma il terzo giorno fui io a darne a lui. (...)

Giuseppe aveva quindici anni, ed era molto dolce. (...) Gli ho dato molte lire, e gli ho predetto un cappello cardinalizio, se fosse rimasto molto buono, e non mi avesse più dimenticato. Lui ha detto che non mi avrebbe dimenticato mai più; e veramente non credo che mi dimenticherà, perché ogni giorno lo baciavo dietro l'altar maggiore" [19].




Partito da Palermo, Wilde si ferma a Roma, dove dal 16 aprile al 15 maggio 1900 circa alloggia presso "Cook & Son" in Piazza di Spagna.
Mellor invece prosegue per il nord: a Roma infatti Wilde trova il suo, già citato, Robert Ross.

Ross è un personaggio importante nella vita di Wilde: fu lui, diciassettenne o poco più, a spingere nel 1886 il trentaduenne Wilde alla sua prima relazione sessual-affettiva con un uomo.
Dopo la fine della loro relazione rimase fra i due una salda amicizia.

Wilde scherzava sulla "velataggine" di Ross, come quando lo avvisò di avergli spedito:

"una lettera lunga, interessante e, naturalmente, seriamente compromettente. Se per caso cadrà nelle mani dell'autorità, sarai immortale" [20].

Oscar però non poteva sapere che proprio Ross, che lo aveva rimproverato dicendogli:

"Ricorda sempre che tu hai commesso l'imperdonabile e volgare errore di farti scoprire" [21],

sarebbe morto d'infarto per il tentativo di ricatto di un cameriere con cui era "troppo intimo", poco dopo essere scampato ad un rabbioso processo intentatogli da Alfred Douglas, ormai convertito al cattolicesimo e (in)felicemente sposato.

Comunque sia, durante il suo soggiorno romano Ross aveva con sé un ragazzotto, tale Omero, che "passò" a Wilde quando dovette partire all'improvviso [22], per affari, alla volta di Milano:

"Robbie mi ha lasciato in eredità una giovane guida, che non sa niente di Roma. Si chiama Omero, e gli sto mostrando la città",

scherza Wilde in una lettera del 26 aprile [23].

E quando Omero cerca di carpire l'indirizzo di Ross per proseguire la "proficua" relazione,

"Wilde, maliziosamente, gli confida che l'amico si chiama Edmund Gosse, il noto e intransigente critico e poeta, e gli fornisce l'indirizzo di Londra; aggiunge che Gosse usa a volte altri nomi e indirizzi e gli fornisce nomi e indirizzi di tutti i più rigidi benpensanti dell'élite londinese, "ragion per cui immagino che vi saranno molte lettere interessanti in arrivo a Londra" [24].

Durante il soggiorno romano Wilde scrive a Ross raccontandogli la sua vita trascorsa in un vortice di marchette belle e disoneste:

"Ho abbandonato Armando, un giovane Sporo romano molto sveglio e elegante. Era bello, ma le sue richieste di indumenti e cravatte erano incessanti: abbaiava letteralmente per degli stivali, come un cane verso la luna.

Ora mi piace Arnaldo: era il più grande amico di Armando, ma l'amicizia è finita.

Armando è un invidioso in apparenza, e lo si sospetta di aver rubato un delizioso cappotto con cui percorre il Corso in su e in giù. Il soprabito è così incantevole, e gli sta talmente bene, che malgrado non fosse mio gli ho perdonato il furto" [25].


Ma poi, descrivendo il 22 aprile una gita ad Albano, aggiunge:

"Con me c'era Omero, e anche Armando, momentaneamente [sic!] perdonato. È così assurdamente simile all'Apollo del Belvedere che quando sono con lui mi sembra di essere Winckelmann" [26].

E nel maggio, dopo una "visita" a un'udienza papale:

"Avevo dato un biglietto a un nuovo amico, Dario.

Mi piace tanto il suo nome: era la prima volta che vedeva il papa: e ha trasferito su di me la sua adorazione per il successore di Pietro: mi avrebbe baciato, temo, all'uscita della Porta di Bronzo se non lo avessi respinto con severità. Sono diventato crudelissimo con i ragazzi, e non gli consento più di baciarmi in pubblico" [27].


Infine il 14 maggio 1900, prima di andarsene, Wilde fece lucidamente il punto della situazione:

"Nella sfera mortale mi sono innamorato e disamorato. (...) Com'è malvagio comprare l'amore, e venderlo! Eppure quali ore purpuree si possono carpire a quella cosa grigia e lenta che chiamiamo Tempo! La mia bocca è contorta dai baci, e mi nutro di febbri. Il Chiostro o il Caffè - lì è il mio futuro. Ho provato il Focolare [il matrimonio eterosessuale, NdR] ma è stato un fallimento" [28].

Con questo bilancio Wilde riparte alla volta per Parigi, dove infine la malattia avrà ragione del suo corpo, e del suo spirito così indomito fino alla fine.


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