La teoria queer spiegata ai deficienti, fra i quali va inclusa l'autrice

26 ottobre 2004

Paragrafo 1): Scusi, può ripetere?

Dice Wark Mc Kenzie, teorico e scrittore queer:


"Non è possibile rappresentare ciò che la comunità esclude. Rappresentare significa definire ciò a cui appartiene l'oggetto della rappresentazione e ciò a cui non appartiene. Rappresentare coloro che non sono rappresentati vuol dire definire una loro comunità di appartenenza e, il che è anche peggio, magari contro il loro volere. Non si fa un piacere a qualcuno dandogli un nome che non vuole. L'outing è sempre violenza e perciò non ha nessuna giustificazione etica. (…)

Poiché questa è, in ultima analisi, la violenza della comunità: essa costringe la realtà a conformarsi alla rappresentazione, escludendo tematiche, corpi e possibilità che non si accordano alla sua immagine. In ogni comunità, ognuna senza eccezioni, c'è un armadio in cui sono chiusi quelli che sentono di dover nascondere la loro imperfetta corrispondenza con l'immagine che definisce la loro appartenenza. (…)

Io non appartengo all'appartenenza, ma forse appartengo alla non-appartenenza".


La "queer theory" sostiene quindi che le identità sessuali sono una funzione della rappresentazione. Conseguenza logica: la rappresentazione delle identità sessuali è pre-esistente ad esse e le definisce.

I teorici (e le teoriche) queer sono molti attenti a descrivere non il soggetto, ma cosa il soggetto predilige per ottenere il piacere (feticismo, autoerotismo ecc.) e come ciò sia legato a circostanze storiche ed a dinamiche di rappresentazione.

Assumere una qualsiasi identità come fondante è ritenuto sbagliato poiché automaticamente prescrittivo ed escludente.

La liberazione perseguita dalla teoria queer non è una liberazione del Sé, bensì una liberazione dal Sé.

Nonostante la "queer theory" concerna spesso il desiderio sessuale fra soggetti dello stesso sesso non ha, dichiaratamente, nulla a che fare con l'identità omosessuale. Concetti quali "sesso", "genere", "comunità" sono, in quest'ottica, delle immodificabili gabbie comportamentali.


Dice Liana Borghi, docente all'Università di Firenze:


"I sessi non sono soltanto due: sono almeno sei. Perché la differenza non è solo biologica. Per stabilire a quale "genere" appartiene una persona, entrano in gioco elementi storici e sociali. Che si incrociano con razza, etnia, preferenze sessuali. (…)

Il genere è talmente pervasivo che arriva a sembrarci naturale, anziché costruito. Nella nostra cultura i generi vengono assegnati su basi biologiche e sono soltanto il maschile e il femminile, ma dal punto di vista della socializzazione della persona, i sessi sono quattro o sei: uomini e donne eterosessuali, gay o lesbiche e poi, a seconda che l'orientamento dell'infanzia venga seguito o meno dalle persone adulte, travestiti e transessuali."


Paragrafo 2) È nata 'na criatura, è nata nira, e a mamma o' chiamma Ciro, sissignore, o' chiamma Ciro… ("Tammurriata nera", Nuova Compagnia di Canto Popolare)

Poche parole. Il sesso biologico è quella cosa che ci fa dire di un nuovo nato: "È maschio, è femmina." La "criatura", a meno che non sia malformata ed incorpori caratteri fisici di entrambi i sessi (uno pseudo-ermafrodita) nasce con questo marchio di fabbrica. O è l'uno o è l'altro. Cosa farà in seguito (con chi andrà a letto e se preferirà le gonne di sangallo ai pantaloni in pelle, o se sceglierà di transitare dal sesso di appartenenza all'altro) non dipende da cosa ha in mezzo alle gambe, ma da un cumulo di altri fattori personali (temperamento, desiderio, ecc.), sociali, culturali, e via discorrendo.

La "criatura" non è obbligata a svenire quando vede un topo perché è una femmina e non è obbligata ad essere militarista perché è un maschio. Può essere consigliata, spinta, addestrata, ma se bastasse la coercizione sociale a costruire un soggetto immodificabile, gay e lesbiche sarebbero spariti/e dalla faccia della terra da un pezzo. E se il potere della comunità fosse della vastità suggerita da Mc Kenzie, ovvero fosse in grado di costringere la realtà ad uniformarsi ai propri precetti, non esisterebbe al mondo nessuna forma di "opposizione" sociale e politica ai codici culturali dominanti.

Ma così, e lui stesso esistendo e parlando lo dimostra, NON È.



Paragrafo 3): Il genere, questo sconosciuto.

Il concetto di "genere" quale categoria interpretativa è entrato abbastanza di recente in tutte le discipline del sapere (che solo fino all'altro ieri parlavano esclusivamente del sesso maschile inteso come prototipo: maschio, bianco, eterosessuale era - e per molti/e ancora è - la "giusta misura").

Il concetto di genere sottende l'abitudine a vedere la realtà come dotata di una doppia radice sessuata: il suo intento è dare rilevanza a tutto ciò che non è biologico (sesso) nella relazione fra i sessi e nella rappresentazione degli stessi. Confondere sesso e genere è dunque. a mio avviso, un errore grossolano dovuto ai modi d'uso della lingua italiana, in cui i due significati tendono a confondersi.

Il "genere" include la nozione di "differenza sessuale" sulla quale possiamo generalmente distinguere 4 punti di vista:


  1. quello "essenzialista", che ha un forte riferimento alla base biologica ed include sia la sessualità che la capacità di dare vita. Il femminile viene esaltato come positivo, ma le valenze per le quali si riconosce la sua "positività" sono quelle del pensiero maschile-universale della tradizione occidentale.
    Affermando che tutte le donne hanno a disposizione il medesimo bagaglio di capacità e possibilità se ne annullano le differenze, rendendole uniformi;
  2. il cosiddetto "pensiero della differenza", che riconosce innanzitutto la sottrazione di sistema simbolico, tramite il pensiero filosofico occidentale, al genere femminile, continuamente compreso nell'Uno Neutro-Maschile o definito in rapporto a tale Uno.
    Il pensiero della differenza considera i due sessi entrambi originari ed irriducibili l'uno all'altro e, pertanto, entrambi portatori di una propria visione del mondo.
    La pratica politica di questo pensiero (il "partire da sé") fa delle differenze, comprese quelle riconoscibili fra la pluralità delle donne e la pluralità degli uomini, il centro della propria azione politica;
  3. il "decostruzionismo", ovvero un approccio che tenta di smontare la costruzione storico-sociale del genere. Se in effetti il genere è solo una "rappresentazione", esso può essere smontato e decostruito, ma ciò ignora la percezione soggettiva che ognuno/a ha del proprio corpo e che sperimenta durante la propria vita.
    Il decostruzionismo suona incoraggiante perché dimostra che le categorie di definizione (le specificità attribuite ai generi) sono una finzione, ma al contempo scoraggia qualsiasi definizione del Sé come "nuova finzione";
  4. il genere inteso come mappa di similarità e differenze che si intrecciano vicendevolmente, quindi il corpo come "esperienza" (e non come entità data da cui si parte), un corpo che è "variabile storica" o "campo di iscrizioni" socioculturali e biologiche.
    Nessuna delle differenze percepibili fra uomini e donne è una differenza "data", neppure quella sessuale. La differenza, e il genere, non sono più criteri di individuazione e analisi ma possibilità di scelta. La coazione a ripetere riconosciuta nella "norma" e nella logica performativa del discorso, viene trasformata in mimesi o parodia per dissolverne gli effetti di stabilità: ciò dovrebbe offrire al desiderio una varietà maggiore di opportunità.

I punti 3) e 4) sono parte del discorso "queer".

Grazie a questa visione, poiché nessuno è compreso in alcunché o comprensibile in qualche modo, nessuno dovrebbe sentirsi inadeguato o non corrispondente all'identità/comunità di appartenenza.

Ciò, si suggerisce, sarebbe particolarmente liberatorio per chi è interessato dalla questione transgender.



Paragrafo 4): Chi c'è nell'armadio "queer"?

Chiedo venia ma, dev'essere un vizio generazionale, ogni volta in cui trovo Buddha sulla mia strada gli sparo. Metaforicamente, s'intende.

Chiunque non si pensi come Dio (indefinibile, illimitato, onnicomprensivo, transitante da una definizione all'altra nel desiderio di non avere definizioni) sta, purtroppo, nell'armadio di chi dichiara di voler distruggere gli armadi. Non basta ripetere ad oltranza, come Lutero, "Non sum" ("Non sono", ed anche "Non esisto") per sparire come uomo, donna, gay, lesbica, ecc. agli occhi propri o degli altri. Il perfetto "queer" dovrebbe stare sospeso in un mondo iperuranio in cui (ironia della sorte, quando si continua a scambiare le parole con le cose!) proprio in nome dell'inclusività totale di ciò che sceglie di essere di volta in volta, non può entrare in relazione con nessuno. Se non posso definirmi, e quindi non sono distinguibile da nessun altro, giacché l'altro parimenti non è definibile, con chi entro in rapporto?

E, contestualmente, vi pare che stiamo parlando di "esperienze reali", di qualcosa che potete riconoscere (e quindi, un'altra volta, definire!) nella vostra vita?

Non credo sia un caso se i teorici e le teoriche queer si interessano in maniera precisissima e dettagliata più degli oggetti e dei feticci utilizzabili in campo sessuale che della relazione sessuale stessa (l'affettività non pare essere per loro un campo di indagine, e nemmeno una questione degna di nota, neppure se interagente con il sesso).


In conclusione, contesto il fatto che assumere un'identità sia per forza prescrittivo in termini negativi: se putacaso io esercito la professione di dentista, ed al "queer" fa male un dente cariato, forse sarà molto trasgressivo e rivoluzionario dichiarare che, il giorno in cui lui/lei mi si presenta, io sono una callista e non posso farci niente, ma è molto probabile che il queer si incazzi giustamente di brutto e cerchi un/una dentista meno rivoluzionario/a e più professionale…


Un nuovo concetto di universale, anche se ora non assume più l'immagine di un diamante purissimo ma di una mappa "contaminata" a macchia di leopardo, non mi serve a nulla: almeno fino a quando io intenderò liberare me stessa assieme al resto del genere umano, e non liberarmi da me stessa (farò anche schifo a qualcuno/a, ma è stato solo l'amore che sono riuscita ad avere per me a creare quel ponte verso gli altri/le altre che io chiamo "amore del mondo").


Dire: oggi sono gay, domani sono etero, dopodomani sono una donna (e fra tre giorni sarò un polipo trisessuato di Urano) per cui mi comporto di conseguenza, fa esattamente quello che i queer vorrebbero sfuggire: prescrive comportamenti immodificabili.

Perché se quando sono gay vesto firmato e mi scopo Mario, quando sono etero vesto in jeans e scopo con sua sorella (ma ci riesco solo se penso a Mario), quando sono donna metto il migliore dei miei baby doll e scopo Mario e quando sono un polipo trisessuato Mario vorrebbe cacciarmi nella pentola del bollito, io sono (al massimo) un bisessuale con forte propensione omosessuale e una grande fantasia: ma una fantasia non bastante a mettere in discussione i ruoli socio-culturali ascritti alle categorie menzionate.

Io avrò in testa una gerarchia per cui un gay si deve comportare così ed una donna cosà, ma non mi verrà neppure in mente di discutere se questo sia vero, falso, opportuno, ecc.: la mia "liberazione" consisterà nel passare da una definizione data ad un'altra.


E in effetti, se io non posso neppure definire me stesso, cosa volete che perda tempo ad indagare generi, ruoli, categorie? Ci sono, ed io mi limito (proprio, LIMITO) a passarci in mezzo recitando ora un personaggio, ora l'altro.

Sapete, l'unico problema che ho è che i vicini di casa non lo capiscono, e ci chiamano "froci", a me e a Mario…

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