"Sono completamente d'accordo con il compagno busone . . . ".
Inizia così l'intervento di un operaio metalmeccanico all'assemblea convocata nella casa del popolo di via Andreini a Bologna per discutere della concessione comunale di una sede come centro culturale polivalente alle lesbiche e agli omosessuali bolognesi.
Si parla infatti del "Cassero" di Porta Saragozza, la più bella e famosa porta di Bologna, nota perché ogni anno vi transita la processione della Madonna di S. Luca guidata dal Cardinale in persona e da tutti i membri del clero locale.
La sede verrà inaugurata il 28 giugno 1982 in occasione del "Gay Pride", la giornata mondiale dell'orgoglio omosessuale e sarà la prima ottenuta da un ente pubblico.
Un po' per la furibonda opposizione della curia locale, che si sente "offesa" da questa concessione, e un po' per quel tanto, molto, di omofobico che alberga anche a sinistra, il dibattito si fa acceso. Anche se una decisa presa di posizione di Renzo Imbeni, allora Segretario, come amava ripetere, della federazione comunista più grande del mondo (un bolognese su due è iscritto al partito), fa sì che ogni "compagno" sia costretto a riflettere su questo strano nuovo soggetto della politica: un mirabile esempio, insomma, della funzione positiva del centralismo democratico rispetto alla cultura politica prevalente nel "popolo comunista" di quegli anni.
L'assemblea della Casa del Popolo si conclude bene, i presenti applaudono gli interventi degli omosessuali del movimento che "non sembrano nemmeno gay" ma persone "perbene" come tutti gli altri.
Ciò che sembrano gli omosessuali, la loro "immagine", come sono percepiti dalla maggior parte della gente: è questo il grande tormento del movimento gay e lesbico, che combatte come Don Chisciotte contro i mulini a vento del pregiudizio, dell'ignoranza e dell'incultura.
Il rifiuto e la paura della "diversità" si manifestano infatti con maggior forza nelle persone con uno scarso livello d'istruzione, in chi si affida al fanatismo religioso, in chi professa ideologie di destra, tra gli ultrà del calcio.
"Il fallimento della riforma sanitaria…“
Ancora una volta il protagonista è Renzo Imbeni, attuale Vicepresidente del Parlamento Europeo, come relatore, sempre nel 1982, ad un'assemblea popolare a Reggio Emilia dove si discute di omosessualità e del rapporto tra istituzioni e nuovi soggetti sociali.
Si alza un vecchietto ex partigiano che così apostrofa il relatore: "Caro Imbeni, se la Democrazia Cristiana non avesse sabotato la riforma sanitaria non avremmo tutti questi "gai" in giro per l'Italia, ma visto che ci sono e sono dappertutto, allora il nostro partito deve occuparsene e magari possiamo perfino ricavarci qualche voto in più…".
L'omosessualità come malattia, come patologia, come devianza, e soprattutto come inversione o sbaglio di genere: un pregiudizio, una convinzione, tanto radicati a livello di massa quanto infondati; di rado nella storia dell'umanità si è dato, come nel caso degli/delle omosessuali, uno scarto così radicale tra il modo di percepirsi di un soggetto umano e la descrizione che se ne fa l'opinione pubblica. Di rado una soggettività è stata così violentata nella propria identità: per il pregiudizio, gli/le omosessuali sono donne mancate se maschi e maschi mancati se femmine. Persino molti giornalisti non sono in grado, nei loro articoli, di fare distinzione tra omosessuali, travestiti e transessuali.
Chi sono gli/le omosessuali?
È omosessuale chi constata di esserlo. Gli/Le omosessuali sono persone che amano e desiderano affettivamente ed eroticamente altre persone del proprio sesso.
Questo può sembrare il festival dell'ovvio. Si tratta invece del fulcro della questione, perché dire che l'omosessualità consiste soltanto nell'attrazione erotica ed affettiva per persone del proprio sesso significa fare piazza pulita di ogni altro carattere riconnesso all'omosessualità dalla fantasia popolare: gli omosessuali, quelli - la larghissima maggioranza - che l'immaginario collettivo non sarebbe mai in grado di riconoscere come tali, si distinguono proprio e soltanto per questo e non per atteggiamenti, modi di vivere, parlare, vestire, o per gusti estetici o letterari o per sensibilità o cultura.
Più ancora riconoscere che l'orientamento sessuale costituisce un'identità ascritta (ed è indifferente sotto questo profilo stabilire se determinata dalla cultura o dalla natura, dalla psicologia o dalla biologia), né più né meno come qualunque altro carattere intrinseco all'identità dell'individuo, significa anche dire che non si sceglie di essere omosessuale ma, semplicemente, se ne prende atto.
Discriminare sulla base dell'orientamento sessuale non è dunque meno ripugnante che discriminare sulla base della razza: la richiesta o la difesa delle discriminazioni nei confronti degli/delle omosessuali costituisce l'atteggiamento culturale diffuso oggi più prossimo al razzismo vero, quello biologico, ripudiato a parole perfino da gran parte dell'estrema destra europea di ascendenza neonazista.
Per secoli invece pregiudizi popolari e dottrine morali e religiose hanno ignorato questo carattere ascritto dell'orientamento sessuale individuale: una convinzione resa plausibile dallo stretto controllo sociale sul comportamento dei singoli, e della repressione sociale, prima ancora che penale, di ogni comportamento avvertito come deviante nella forma del gruppo.
Tale controllo e tale repressione erano probabilmente "naturali": propri cioè della "naturale" intolleranza degli uomini per le diversità dei propri simili. Un'intolleranza "naturale", che solo l'avvento della civiltà liberale e individualista dell'Occidente e della forza espansiva dei suoi principi hanno potuto mettere in discussione.
È appellandosi a tali principi universalistici che i movimenti omosessuali hanno potuto battersi per la possibilità di ciascuno di organizzare la propria vita in modo autonomo, rispettoso degli altri, secondo i bisogni di soddisfazione e di felicità dettati dalla propria coscienza e dalla coscienza della propria identità individuale.
Questi movimenti si battono , in realtà, per il diritto di ognuno a vivere la propria identità e a vederla pienamente rispettata, e non possono, per questo motivo essere visti come lobby che perseguono fini particolaristici.
Non è certo un caso se gli Stati che più ferocemente perseguitano ancor oggi gli omosessuali sono gli stessi in cui le altre libertà vengono maggiormente conculcate.
1 gennaio 1993, l'OMS [Organizzazione mondiale della sanità, ndr.] definisce l'omosessualità "una variante naturale del comportamento umano".
Abbiamo dovuto comunque aspettare il 1 gennaio 1993 perché l'Organizzazione Mondiale della Sanità cancellasse l'omosessualità dal suo elenco delle malattie mentali e affermasse che l'omosessualità stessa è "una variante naturale del comportamento umano".
Ma già nel 1974 l'associazione degli psicologi e degli psichiatri USA ne aveva decretato, tramite referendum fra gli iscritti, la "naturalità".
Sana, naturale, normale, l'omosessualità moderna si affranca finalmente dalle grinfie pseudoscientiste di chi l'aveva medicalizzata, sottraendola tuttavia, con il positivismo ottocentesco, agli artigli delle Chiese che l'avevano criminalizzata per secoli: per chi ancora non lo sapesse, o l'avesse rimosso, i roghi e le forche hanno funzionato per centinaia d'anni contro i "sodomiti", fino all'Olocausto finale nei campi di sterminio nazisti, dove gli omosessuali venivano internati con il marchio dei "triangoli rosa".
Nei secoli l'omosessualità e l'affettività tra adulti consenzienti sono sempre state condannate e derise, oltre che causa di massacri di inaudita violenza e ferocia, in tutte le società che non conoscevano la tolleranza liberale (o che non l'applicavano agli omosessuali). La liberalità della Grecia antica, il mitico luogo dell'amore fra maschi, non consisteva che nell'istituzionalizzazione del rapporto tra adulto e ragazzo adolescente, rigidamente codificato dalla morale pubblica in funzione aducativa e di iniziazione alla vita civile.
Il maschilismo romano, come ha mirabilmente descritto Eva Cantarella nel suo Secondo Natura, faceva di donne, schiavi e ragazzini l'oggetto del piacere sessuale maschile senza parità e/o reciprocità .
L'omosessualità moderna è lontanissima dal modello greco-romano:
“siamo infatti di fronte, nel mondo occidentale, ad un modello -assolutamente inedito nella storia dell'umanità- di relativa libertà nei rapporti erotico-affettivi tra adulti consenzienti, che stanno insieme e si vogliono bene a partire dalla "parità" della relazione e sul presupposto della reciproca soddisfazione, nonché del rispetto della propria autonomia (cfr. La trasformazione dell'intimità, Anthony Giddens; Manuale per coppie diverse di Giovanni Dall'Orto).
Questa libertà non è mai esistita nella storia precedente ed è il frutto di un complesso insieme di fattori (il movimento di liberazione degli ultimi vent'anni, il femminismo, il liberazionismo gay e lesbico, la diffusione del benessere economico, l'allentamento dei vincoli della famiglia tradizionale, l'affermazione dell'autonomia della sessualità dalla sfera riproduttiva - diffusione degli anticoncezionali e legge sull'aborto, della libertà di relazione - nuove leggi sul diritto di famiglia e, in Italia, la legge sul divorzio) ha finito per produrre, con la penetrazione dei principi liberali all'interno della vita privata, l'affermazione di nuove identità e di nuovi soggetti, tra cui, per la prima volta, il venire allo scoperto di quello omosessuale di massa.
L'identità e la pratica omoerotica hanno quindi smesso di essere relegate nel limbo della clandestinità e del mimetismo; hanno smesso di essere confinate nella sola ed esclusiva sfera di soddisfacimento sessuale immediato, per trasformarsi in coscienza sociale di massa e in rivendicazione "orgogliosa" di diritti e di cittadinanza.
La svolta del "Cassero" e la nascita dell'ARCIGAY
Con grande clamore locale e nazionale nel 1982 si inaugura a Bologna la prima sede degli/delle omosessuali in un edificio di proprietà pubblica: il Cassero di Porta Saragozza, un castelletto sulle mura duecentesche, 500 mq nel cuore della città. Si tratta di una grande svolta sia per i partiti e per l'amministrazione di sinistra (molte delle quali seguiranno l'esempio), sia per il movimento gay, che abbandona la sua stagione ideologica ("la famiglia borghese si abbatte e non si cambia", la rivoluzione sessuale come base della trasformazione anticapitalistica, e via dicendo) per diventare movimento pragmatico, con una piattaforma, obiettivi precisi (legge sulle convivenze di fatto, diritto alla salute, lotta alla violenza e al pregiudizio, spazi di cultura e di visibilità, miglioramento della qualità della vita per milioni di gay e lesbiche), scelta istituzionale di dialogo e confronto con partiti, sindacati e di vertenza permanente con Enti Locali, Governo e Parlamento.
Il processo di affermazione della nuova soggettività politica delle lesbiche e degli omosessuali italiani arriva a compimento con la nascita nel marzo del 1985 dell'ARCIGAY, con un gruppo dirigente centrale dotato di poteri di rappresentanza.
Il mutamento di linea e di strategia, la creazione di una leadership nazionale, la proposta di una piattaforma comprensibile e ragionevole (a carattere, peraltro, generalista), produce il miracolo di un nuovo interesse della sinistra e dell'opinione pubblica verso la questione omosessuale.
Pajetta furibondo. . .
Nell'aprile del 1985 una nutrita delegazione di omosessuali militanti guidata chi scrive (ci sono, tra gli altri, Giovanni Forti, Marco Mattolini, Paolo Hutter e Vanni Piccolo) varca il portone di Botteghe Oscure per il primo incontro ufficiale tra gay e Segreteria Nazionale del PCI, che, dal finire degli anni Settanta, aveva cominciato ad aprirsi sempre più alle tematiche liberali dei diritti civili e della cittadinanza.
All'incontro partecipano Renato Zangheri (protagonista da Sindaco di Bologna dell'operazione Cassero), Gavino Angius e Raffaella Fioretta in rappresentanza della segreteria nazionale del PCI: Natta (allora segretario nazionale) è informato ed è d'accordo.
L'incontro dura un'ora e mezza, l'accordo è "ampio", la stampa ne parla con dovizia di particolari.
Giancarlo Pajetta viene fotografato per caso da L'Espresso assieme alla delegazione davanti a Botteghe Oscure e s'arrabbia moltissimo con il PCI per questo civettare con "froci e puttane".
Che le cose non siano così semplici nel rapporto con la sinistra lo si vede subito, persino dentro l'ARCI, che pure ci concede cittadinanza, ci dà il nome e persino qualche soldo.
Fece scalpore il caso Romagna: all'annuncio della costituzione dentro l'ARCI di una vera e propria struttura nazionale degli/delle omosessuali, scoppia la rivolta dei circoli romagnoli, impregnati di cultura machista e maschilista che promana dai miti un po' tristi del Passator cortese e dei bagnini riminesi.
Il povero segretario regionale dell'ARCI, Marco Giardini, è costretto a farsi decine e decine di affollatissime assemblee in tutta la Romagna, per convincere i soci ARCI che non "siamo diventati tutti finocchi", che i diritti civili sono una frontiera irrinunciabile per la sinistra e che le battaglie di libertà sono l'essenza della politica progressista. La rabbia si placa e inizia il grande viaggio degli/delle omosessuali nei meandri della politica nazionale.
Nel 1986 il PCI invita ufficialmente l'ARCIGAY al congresso del dopo Berlinguer (la cosa verrà descritta dalla stampa come segno di rinnovamento del partito), e, proprio nel giorno dell'apertura, L'Unità pubblica la notizia del ritrovamento degli archivi sui gay deportati dal regime fascista, che nessuno si era dato la pena di cercare fino allora.
"Volete sconfiggere l'AIDS o la DC?"
Nel frattempo scoppia nei media, e purtroppo anche tra la gente, il bubbone AIDS, che proietta gli omosessuali nel palcoscenico della comunicazione di massa, come mai prima d'allora.
Si parla della "peste dei gay", del "cancro omosessuale"; il Cardinale Siri tuona sul "Castigo di Dio" (che, guarda un po', risparmia le lesbiche, il gruppo al mondo tutt'ora meno colpito), mentre anche Giovanni Paolo II e il Cardinale Ratzinger non si lasciano sfuggire l'occasione ed emettono una "pastorale sulle persone omosessuali" dove si parla dell'omosessualità come condizione "oggettivamente disordinata" e si afferma che il comportamento omosessuale "mette in pericolo la vita di un gran numero di persone". Della pesantissima "pastorale" ci dà notizia per primo Enzo Tortora al Congresso Radicale del novemebre del 1986.
La reazione dell'ARCIGAY sarà durissima, anche se la lettera pastorale non è che il segno della rassegnata presa d'atto da parte della Chiesa Cattolica dell'esistenza della questione omosessuale e della sua ineludibilità. Con Ratzinger si abbandona la prudenza di Paolo VI, e la Chiesa Cattolica rompe con l'efficacissima strategia del silenzio, che in Italia era stata fatta propria dal legislatore fascista (i gay non esistono e non bisogna parlarne per non fare troppa pubblicità), scegliendo l'attacco frontale alle organizzazioni gay, inclusi i primi timidi e compitissimi gruppi di gay cattolici: attacco che dura tutt'ora.
Va notato che del tutto opposta è stata in questi anni l'evoluzione delle Chiese protestanti storiche, anche nel nostro Paese.
Paradossalmente l'AIDS, da atto d'accusa verso lo "stile di vita" gay, diventa un cavallo d Troia per gli omosessuali, che irrompono nei media e si fanno protagonisti della più vasta campagna di prevenzione, e insieme di educazione contro le discriminazioni, che la storia del nostro Paese ricordi (per parlare di AIDS si aprono le porte del Parlamento, dei leader nazionali di partito e perfino delle Commissioni ministeriali) e grazie anche a tali campagne, mentre in Italia i cosiddetti "gruppi a rischio" vedono i tossicodipendenti al primo posto, la percentuale di gay colpiti è la più bassa di tutto l'Occidente (anche se, purtroppo, non è affatto trascurabile).
Insomma, nel giro di pochi anni l'AIDS -la nuova metafora di morte e delle paure di massa, per dirla con Susan Sontag- diventa un boomerang per chi l'ha usato contro gli omosessuali, che resteranno i soli, per molto tempo, a fare informazione e prevenzione tra la gente.
È così che, nel febbraio del 1987, Achille Occhetto riceve l'ARCIGAY nella sua qualità di Vicesegretario del PCI di Natta e, dopo essersi sorbito una mezz'ora buona di spiegazioni sulla questione AIDS, sullo scontro tra il movimento gay e l'allora trucido Ministro della Sanità Carlo Donat Cattin (famoso per la lettera bacchettona alle famiglie italiane e per aver detto che il "preservativo" non serve nella lotta contro l'AIDS perché "si rompe e sborda"), sbotta chiedendo se l'ARCIGAY vuole "sconfiggere l'AIDS o la DC": "Magari tutte e due" è la risposta.
Come è noto, la DC non c'è più, ma l'AIDS purtroppo è ancora lì.
Claudio Martelli e "l'attentato politico".
Negli anni Ottanta domina il PSI di Bettino Craxi. Chi vuole transitare per la politica nazionale deve passare per Radicofani e parlare con Ghino di Tacco.
L'ARCIGAY fa formale richiesta e la segreteria del PSI risponde con la disponibilità di Claudio Martelli, allora vicesegretario unico, che ci riceve a Via del Corso assieme all'addetto stampa Pellegrino. Come con Occhetto, tentiamo un'introduzione, ma Martelli ci interrompe subito inchiodandoci per un'ora e mezza con domande su come ci si infetta di AIDS. "E se una bella donna sieropositiva mi seduce per infettarmi come attentato politico?": gli spieghiamo che basta usare il preservativo e non esiste problema.
Il punto è che occorrerebbe fermare Donat Cattin: "Ma quello è un tosto, ragazzi, è un capocorrente Dc e non lo smuove nessuno".
Fine della partita.
Non molto meglio va l'incontro con il senatore Covatta (in seguito e per lungo tempo sottosegretario alla Pubblica Istruzione) sulla questione delle "unioni civili".
Gli presentiamo una proposta di legge per il "riconoscimento legale delle convivenze di fatto", nostro grande cavallo di battaglia fin dalla nascita dell'organizzazione. Si tratta di una leggina in sette articoli, elaborata dal compianto Prorettore dell'Università di Bologna, Giuseppe Caputo, Ordinario di Diritto Canonico e da chi scrive.
Lo scopo della proposta è quello di dimostrare la possibilità concreta di legiferare su una materia considerata molto scottante dai nostri interlocutori per lo scontro che essa comporta con la gerarchia cattolica. E infatti Covatta ci dice che siamo matti, che si tratta di un ginepraio e che nessuno metterà a repentaglio i rapporti con i cattolici per una legge buona per la Scandinavia ma non per L'italia.
Dopo una decina d'anni invece, e anche nel preciso momento in cui scrivo queste righe, diverse decine di Comuni (tra cui quello di Bologna il cui Sindaco, Walter Vitali, ha di recente invitato Giovanni Paolo II a riconoscere la realtà delle "diverse forme di unione tra le persone"), hanno già approvato, o stanno approvando, mozioni indirizzate al Parlamento perché approvi una legge sulle "unioni civili" che non sia certamente sostitutiva del matrimonio, ma che rappresenti un nuovo istituto giuridico capace di dare la possibilità a chiunque di scegliere il modo migliore per sistemare legalmente le proprie relazioni affettive.
Le "unioni civili" infatti sono aperte a chiunque, omo o etero che sia, ‘vecchiette nubili’ o vedove comprese. Si vuole in sostanza affermare, anche sul terreno del diritto di famiglia, quel pluralismo delle scelte di vita - basato sull'autonomia dell'individuo - che caratterizza tutti gli aspetti del vivere civile, ma che fatica ad affermarsi sul terreno legislativo, dopo essersi affermato su quello del costume (cfr. Marzio Barbagli, Provando e riprovando).
Tranne che negli anni Settanta, quando i radicali trascinarono a sinistra i laici nelle battaglie per il divorzio prima e dell'aborto poi, la sinistra ha sempre mostrato una certa subalternità alla cultura cattolica dominante in materia di costume.
Nel 1949 Pier Paolo Pasolini veniva espulso con infamia dal PCI per la sua omosessualità, e nel decennio successivo sinistra e DC facevano a gara a chi era più bacchettone.
La concezione della vita privata, la cultura della sessualità, il concetto stesso di famiglia erano sostanzialmente comuni alle grandi forze politiche nazionali, che rispecchiavano, peraltro, l'opinione pubblica; a sinistra permaneva l'idea che queste tematiche fossero "sovrastrutturali" e secondarie rispetto alla lotta di classe (cfr. Fabio Giovannini, Comunisti e diversi).
La centralità della "classe operaia", naturalmente e sanamente virile, faceva sì che gli altri soggetti e le politiche relative, a partire dalle donne, fossero di fatto ininfluenti. E tutto ciò mentre DC e gerarchia ecclesiastica facevano del familismo il perno motore della propria ideologia e propaganda politica.
Sul "familismo amorale", risvolto civile della cultura familista, moralista, bigotta e bacchettona, è già stato detto molto ed in modo assai efficace, per es., da Paul Ginsborg ("Storia dell'Italia dal dopoguerra ad oggi"). Tuttavia non siamo più all'anno zero; oggi, quando i fanatici religiosi si muovono e arrivano a fare manifestazioni sotto le abitazioni private, come è successo a chi scrive (che è stato definito il "gran sacerdote del vizio contro natura...”) al grido di "frocio, frocio" (cinquant'anni fa i nazisti facevano la stessa cosa al grido di "Jude, Jude". . . evidentemente ogni epoca ha i suoi bersagli!) i democratici si muovono: anche con manifestazioni di massa come quella che si è tenuta a Verona il 30 settembre scorso; e la tematica dei diritti civili è fatta propria da tutta la sinistra.
"La libertà entro i limiti dei cicli naturali"
Anche tra i Verdi si afferma una corrente, sia pur minoritaria, di fondamentalisti favorevoli ad un ritorno allo stato di Natura. Il leader di questo gruppo, il fiorentino Giannozzo Pucci, sostiene che, con la nascita del movimento ambientalista, si chiude il ciclo politico dei "diritti civili", esistendo in realtà solo i diritti della Natura, entro i quali si deve svolgere il vivere civile con una sorta di ritorno allo stato primordiale.
I gay sono fuori dalla natura perché "la divisione dell'io dal proprio sesso e l'affermazione del 'diritto civile' ad inventarsi il sesso come fosse divisibile dal proprio io, ha la stessa radice culturale della plastica, delle città lunari, delle manipolazioni genetiche". Ai Verdi più ingenui e fondamentalisti l'argomento appare suggestivo e la discussione si sviluppa vivacemente (cfr. "Il verde e il rosa", Quaderni di critica omosessuale, n. 5) soprattutto per iniziativa di uno dei fondatori delle Liste Verdi, Gian Paolo Silvestri, che farà mettere in votazione all'assemblea dei Verdi a Maiori nel dicembre del 1988 una mozione pro gay - primo firmatario Gianni Mattiol i- votata quasi all'unanimità (si schiera con Pucci Marco Boato).
D'altra parte sono proprio i Verdi a promuovere nel Parlamento Europeo la nota risoluzione di Strasburgo sui diritti di gay e lesbiche in Europa, mentre in Italia Carlo Ripa di Meana è l'unico leader di partito a criticare apertamente Wojtyla per i suoi interventi omofobici.
D'Alema, le "Unioni Civili" e Famiglia Cristiana
Febbraio 1995. Esce su Famiglia Cristiana un'intervista a Massimo D'Alema, Segretario del PDS, in cui si affrontano i temi della bioetica, tra i quali anche i diritti degli omosessuali e la questione delle "adozioni" e della famiglia gay. Le opinioni di D'Alema non sono nella sostanza incompatibili con le richieste del movimento gay, ma il modo e i toni in cui sono espresse risultano alquanto indigesti al movimento, che protesta e invita D'Alema ad un confronto diretto: il che puntualmente avviene circa una settimana dopo a Botteghe Oscure.
La delegazione dell'ARCIGAY/ARCILESBICA è guidata da chi scrive, ed è composta da Paolo Hutter, consigliere comunale di Milano, Giulia Crippa, Segretaria dell'associazione, Davide Barba, coautore del progetto di legge sulle unioni civili presentato alla Camera nel 1994 (primo firmatario Nichi Vendola) e al Senato (primo firmatario Luigi Manconi) e da Giampiero Rasimelli, Presidente Nazionale dell'ARCI Confederale.
Ci si incontra già nell'androne del bottegone all'arrivo di D'Alema con Lancia blindata e scorta. Si sale assieme lo scalone della sede nazionale del PDS in un clima che risulta subito cordiale e amichevole: stessa cultura politica, stessa area culturale, stessa età. Più tardi D'Alema, parlando con Gloria Buffo (della segreteria nazionale) dirà che "è più facile un accordo con Grillini che con te".
Nonostante il motivo un po' burrascoso da cui ha preso il via l'idea dell'incontro è la prima volta, per gli omosessuali e le lesbiche italiane, che il segretario del più importante partito della sinistra decida di sedere al tavolo di un confronto con gli omosessuali e le lesbiche italiane, che durerà ben due ore di intensa discussione (a cui partecipano, oltre a D'Alema anche Giovanni Lolli come responsabile dell'associazionismo e Giovanna Melandri).
La discussione verte su due punti che ci premono in modo particolare. Chiariamo che non abbiamo mai parlato di "matrimoni gay", ma di possibilità, anche per gli omosessuali conviventi, di regolare la propria unione con la stessa libertà di scelta del regime giuridico e patrimoniale che è consentita alle coppie eterosessuali; mentre, per quanto riguarda le adozioni, "realisticamente", non sono al nostro ordine del giorno. Si discute quindi di unioni civili e D'Alema si prende l'impegno di sostenere la legge in sede parlamentare. Alle prossime elezioni, dopo infinite candidature, dovrebbe essere possibile inoltre una presenza gay nelle liste del PDS con una certa garanzia di elezione: "purché si diano i soldi al partito (come ogni deputato del PDS), si voti il Governo e non ci si occupi solo dell'ARCIGAY"; "affare fatto" è la risposta della delegazione. D'altra parte il voto e presenza gay sono ormai un fatto rilevante; Paolo Hutter, per esempio, ha raccolto 40 mila voti alle europee dell'anno precedente, mentre per le vie di Roma, nel luglio del 1994, sono sfilate più di 10 mila persone in occasione del Gay Pride.
"Frocio, frocio": prima MSI, poi AN, ma la musica non cambia
Da un po' di anni a questa parte gennaio e febbraio si rivelano decisivi per le tematiche care a gay e lesbiche: nei primi mesi del 1992 esplode a Bologna la questione delle "case ai gay", nel 1993 Clinton e gli omosessuali nell'esercito, nel 1994 il Parlamento Europeo approva a larga maggioranza una risoluzione sulla "Parità dei diritti di lesbiche e gay nella Comunità Europea" provocando le ire papali e ben quattro omelie domenicali sui pericoli per la famiglia (la quale è piuttosto disastrata, visto che l'ISTAT ci informa che un matrimonio su tre fallisce nel giro di pochi mesi).
Ma torniamo al 1992 e alla questione delle "case ai gay".
Un assessore del Comune di Bologna, l'ottimo e sanguigno Claudio Sassi, rispondendo ad una domanda di una giornalista, afferma che sì, "anche una coppia gay, purché in possesso dei necessari requisiti e del relativo punteggio e purché in regola con il dettato della legge regionale relativa, può fare domanda e ottenere dal Comune una casa popolare". Apriti cielo!
Interviene subito Pier Ferdinando Casini, attuale segretario del CCD, che sprizza fuoco e fiamme, gridando alla fine della famiglia e alla disgregazione della società: Sodoma e Gomorra, insomma.
Gli dà man forte Filippo Berselli (diventerà sottosegretario alle Finanze con Berlusconi), ancora MSI, che definisce Bologna la Città più "culattona" d'Italia e promette di fare una manifestazione in Piazza Maggiore (saranno lui e pochi intimi).
Di lì a pochi giorni a L'istruttoria di Giuliano Ferrara, in una puntata sulla nuova destra, l'intero Comitato Centrale dell'MSI, collegato in diretta da Via della Scrofa, si esibirà nel coretto "frocio, frocio" all'indirizzo di chi scrive, presente in trasmissione assieme a Casini ed altri.
Il coretto lo sentiremo di nuovo quest'anno durante la discussione in Parlamento sulla elezione di Nichi Vendola, segretario della Commissione antimafia, esponente di Rifondazione Comunista e fra i fondatori dell'ARCIGAY. "Gli abbiamo urlato frocio, frocio", rivendica orgoglioso Maurizio Gasparri, numero due di AN (La Stampa, giovedì 5 ottobre), mentre Fini si preoccupa di dire che teme di essere sedotto dalle avances degli omosessuali (sic!).
Anche il deputato verde Mauro Paissan aveva fatto le spese della sessuofobia e dell'omofobia dei parlamentari dell'estrema destra, ancora incapaci di tratenersi dal trasformare l'aula di Montecitorio in un ring.
Per la verità, qualche alleato nazionale cerca di smarcarsi dalle posizioni più estremiste: come Alessandra Mussolini, che si pronuncia a favore addirittura dei "matrimoni gay" e persino delle adozioni (la notizia fa il giro del mondo).
Stessa cosa per la candidata di AN a Sindaco di Brescia, Viviana Beccalossi, distintasi per la distribuzione di profilattici davanti alle scuole durante la campagna elettorale.
Francesco Storace, il portavoce di An, in occasione del Congresso di fondazione del partito nel gennaio del 1994, nell'estremo tentativo di rendersi presentabile e spregiudicato, invita il Presidente dell'ARCIGAY a "scegliere l'albergo, l'ora e il letto" per un dialogo tra destra e omosessuali.
Rispondiamo chiedendo la parola al Congresso per un'ora di lezione sui diritti civili, ma Fini non ci sta.
L'estrema destra, CCD, CDU (attivi, per esempio, a Firenze con cartoline antigay distribuite davanti alle chiese), popolari (che minacciano di non entrare nella Giunta Rutelli a Roma se il Sindaco non "scarica" le unioni civili), una parte consistente di Forza Italia (il cui parlamentare veronese Piva si pronuncia contro la libertà di manifestazione dei gay), non amano gli omosessuali e le lesbiche.
Lo dicono appena possono, votano contro negli Enti Locali a qualsiasi cosa riguardi l'omosessualità, firmano ogni petizione antigay che venga proposta dai gruppi del fanatismo religioso. Fra questi ultimi sono particolarmente attivi "Famiglia e Civiltà", presieduta da un esponente della nobiltà nera romana e l'associazione "Lepanto", che si distinguono per la preghiera antislamica tenuta in compagnia della Presidente della Camera Irene Pivetti.
Costoro si sono fatti promotori di una raccolta di firme antigay sottoscritta, tra gli altri, anche da Gianfranco Fini, segretario di AN, Giulio Maceratini, Presidente dei senatori di AN, Enrico la Loggia, Presidente dei senatori di Forza Italia, Sandro Mezzaroma, Presidente di FI al Parlamento Europeo, Enrico Ferri, Vicepresidente del CCD, Alberto Michelini, vescovi e cardinali (tra cui l'immancabile Oddi).
Rocco Buttiglione (Segretario del CDU) interviene rivendicando la tutela giuridica solo per le "famiglie eterosessuali che abbiano carattere di stabilità e che facciano figli", mentre per quelle gay ciò non avrebbe senso, essendo i gay sterili e promiscui, come dimostra "l'AIDS che è tra loro così diffuso" (da "Sette", supplemento al Corriere della Sera, maggio 1995).
Eppure, nonostante tutto ciò, fuori da Emilia Romagna, Marche, Umbria e Toscana, buona parte degli omosessuali vota masochisticamente per le forze politiche del centrodestra, come risulta da sondaggi effettuati dall'ARCIGAY/ARCILESBICA nei locali gay più frequentati di Roma e Milano (le percentuali sono intorno al 45%).
È del tutto evidente che la persistente timidezza della sinistra su queste tematiche non aiuta e non favorisce lo spostamento anche elettorale di un'area valutabile tra i 6 e i 700 mila voti. Probabilmente si tratta della vecchia generazione omosessuale, poco conscia della propria identità e poco consapevole dell'incidenza della politica sulla propria condizione: in fin dei conti, i voti fra gli/le omosessuali in buona parte anch'essi appartenenti al ceto medio, si distribuiscono esattamente come nel resto dell'elettorato.
Diverso il comportamento elettorale di giovani e giovanissimi omosessuali, in netta controtendenza rispetto al resto del mondo giovanile.
Qui siamo di fronte ad un'identità omosessuale di massa cresciuta sulla scorta "dell'orgoglio gay", di un atteggiamento non più negativo dei media, di una coscienza politica maturata nel vivo del conflitto contro la cultura omofobica.
Altrove il voto omosessuale è ormai una realtà difficilmente trascurabile: negli Stati Uniti, per esempio, si calcola che al Presidente Clinton siano andati ben 9 milioni di voti gay.
Nel Nord Europa i partiti progressisti, e volte persino quelli conservatori, presentano alle elezioni politiche candidature e programmi esplicitamente rivolti a catturare il voto lesbico e omosessuale. Anche sul piano visivo è ormai possibile constatare per chiunque l'importanza della questione omosessuale: nel giugno del 1995 un milione di persone ha invaso pacificamente New York, mentre nelle capitali del mondo libero sfilavano altre centinaia di migliaia di gay e lesbiche.
Il movimento omosessuale si colloca nell'area della sinistra progressista perché le forze politiche che la compongono sono sensibili al problema dei diritti civili e delle libertà dell'individuo. Ma il dialogo è aperto con chiunque sia disposto ad un confronto serio: non mancano fra i cattolici e i persino nelle organizzazioni di destra uomini e donne senza pregiudizi anche se, per ora, sono voci minoritarie e isolate.
Ma gli omosessuali fanno perdere voti?
Milioni di persone (il 5-10% della popolazione mondiale, secondo l'OMS), manifestazioni imponenti, un interesse continuo dei media, una presenza non trascurabile nella cultura e nell'economia. Nel nostro Paese il "Made in Italy" (600 mila posti di lavoro, una parte cospicua del PIL, un elemento centrale del prestigio dell'Italia nel mondo), per esempio, è frutto in gran parte di architetti, stilisti, designer omosessuali.
Eppure una delle preoccupazioni della sinistra in rapporto alla questione gay è quella di perdere voti. Per la verità, ad ogni scadenza elettorale le tematiche "difficili" si affollano: immigrati, nomadi, proibizionismo o antiproibizionismo sulle droghe e via dicendo. In generale, la destra attacca senza mezzi termini con tutto l'armamentario noto di demagogia e populismo, mentre la sinistra, generalmente, risponde sulla difensiva mettendo la sordina alle questioni scottanti.
Gli omosessuali poi mettono al primo punto libertà sessuale e pluralismo delle forme famigliari: in oggettiva contrapposizione con la gerarchia cattolica e in presunto contrasto con l'esigenza di conquistare il voto cattolico. C'è chi spinge a dire, in conclusione, che è più facile essere di destra che di sinistra: la destra semplifica, la sinistra distingue; la destra "esclude", la sinistra include; la destra è tradizionalmente e demagogicamente autoritaria, la sinistra è - dovrebbe essere - libertaria. Ma l'esperienza, la storia di questi ultimi anni e soprattutto le decine e decine di candidature gay e lesbiche smentiscono nettamente il timore che i gay siano un problema elettorale per chi li ospita. Sono invece una risorsa.
Dopo quelle radicali degli anni Settanta, le prime massicce candidature gay si hanno con le elezioni amministrative del 1985; con le politiche del 1987 si va molto vicino all'elezione di un candidato espressione del movimento.
Si ripetono candidature alle amministrative del 1990 (Grillini entra nel Consiglio Provinciale di Bologna, Hutter nel Consiglio Comunale di Milano). Poi di nuovo alle politiche del 1992 quando Nichi Vendola viene eletto nelle liste di Rifondazione Comunista sia nel proporzionale che nel collegio uninominale di Terlizzi in Puglia.
Già l'elezione di uno dei fondatori dell'ARCIGAY in un collegio uninominale del Sud dovrebbe far riflettere: gli elettori sembrano piuttosto insensibili all'intramontabile omofobia della destra (Tatarella, il Ministro "dell'armonia", inviterà Nichi Vendola in un comizio di piazza a "farsi operare a Casablanca").
Ma un'altra clamorosa conferma del fatto che l'omofobia non paga in termini elettorali viene dalle elezioni europee, quando il candidato bolognese di AN Piero Buscaroli spara a zero sugli omosessuali proponendo addirittura la riapertura dei lager.
Scoppia naturalmente e giustamente un pandemonio, ma, nonostante la pubblicità e la grancassa, Buscaroli non solo non viene eletto, ma addirittura prende meno voti di preferenza di Grillini, che è candidato nelle liste PDS dello stesso collegio Italia Nord Est e che viene invece premiato con moltissimi voti di preferenza (9 000 solo nella provincia di Bologna). Una nuova dimostrazione della sensibilità dell'elettorato ai problemi dei diritti civili e di libertà.
Siamo tutti liberali?
Se si esclude Rifondazione Comunista, in Italia tutti, ormai, si dicono liberali. Con la caduta del muro di Berlino la parola "liberale" ha conquistato il monopolio della "rispettabilità".
D'altro canto, ognuno è liberale a modo suo: i liberali di Singapore, per esempio, apprezzano le virtù pedagogiche del "rattan" sulla schiena, coniugando autoritarismo sociale e spietato liberismo economico.
Un discorso particolare, invece, va fatto proprio nei confronti di quei liberali che dovrebbero essere, e spesso non sono, sensibili alle rivendicazioni degli/delle omosessuali. I diritti dei gay sono un caso particolare di diritti civili che si scontrano contro pregiudizi sociali alimentati da mancanza di informazione e dal fanatismo religioso.
L'esistenza di questi pregiudizi rende il tema dei diritti degli omosessuali un'ottima cartina di tornasole per verificare la profondità di un sentimento liberale.
Le reazioni dei (presunti) liberali italiani si diversificano in rapporto alle diverse "generazioni" di rivendicazioni in tema di gay rights. I diritti gay della "prima generazione" furono quelli relativi alla depenalizzazione dell'omosessualità e su questo sono tutti -o quasi- d'accordo.
Le cose cambiano quando si passa ai diritti di "seconda generazione": visibilità, non discriminazione, rivendicazione di "normalità".
Qui si registrano i primi imbarazzi dell'area liberal-democratica sia per i presunti "eccessi" e gli atteggiamenti "provocatori" da un lato (chi fa parte di una minoranza deve essere "perfetto" per essere accettato dalla maggioranza) sia - all'opposto - per "l'omologazione", la perdita della preziosa funzione "trasgressiva" e "scandalosa", destino dei diversi.
Inutile dire che gli interessati sono più preoccupati della loro qualità della vita che non dell'ideologia della trasgressione, nuovo conformismo della normalità.
Ma sono le rivendicazioni dei diritti positivi della "terza generazione" - il riconoscimento sociale, le unioni civili, leggi esplicitamente rivolte contro le discriminazioni - il vero experimentum crucis. Oserei dire che un liberale degno di questo nome non dovrebbe avere dubbi o esitazioni. E invece...
L'argomento diventa subito "delicato", anzi delicatissimo;abbondano i toni pensosi, talora perplessi; si moltiplicano i distinguo e le cautele. Si assume un tono grave, nobilmente atteggiato e si riconosce qualcosa, sì, ma facendo capire che si cede obtorto collo. Gli intellettuali di cultura liberale in Italia, quindi, sono i veri grandi assenti dalle battaglie per i diritti civili degli/delle omosessuali e talvolta gli inopinati avversari. Come Ernesto Galli della Loggia, che, in occasione della grande manifestazione di Bologna del "Gay Pride" (1 luglio 1995) su L'Avvenire - giornale dei vescovi italian i-, ha detto che si possono anche concedere le unioni civili "dopo 40anni di convivenza".
O come Piero Ottone, che parla delle unioni gay come segno dell'attuale decadenza dell'Occidente, da paragonarsi a quella dell'impero romano (dobbiamo ricordarle, caro Ottone, l'incalcolabile contributo degli omosessuali al patrimonio culturale dell'umanità dall'età d'oro di Pericle al Rinascimento fino all'età moderna?).
O dell'amico Gianni Riotta che, ammirato dalla figura di Wojtyla, puntualizza che la liberta non è "questione di capitomboli a letto": ma quello che si chiede, caro Riotta, è giustappunto la possibilità di una unione civile tra persone che non hanno in comune, evidentemente, solo doti di ginnastica erotica.
Per non parlare poi della grande stampa di opinione di orientamento liberaldemocratico, non del tutto estranea a questa insensibilità.
Certo essa è perlopiù venuta assumendo col tempo un atteggiamento di rispetto e di correttezza nei confronti della minoranza omosessuale quando si è trattato di affrontare direttamente ed esplicitamente i problemi che la riguardano. Ma questo atteggiamento viene spesso travolto e si ritorna ai più truci stereotipi del passato, quando gli articoli - e molto più spesso i titoli, cioè quel che viene letto dalla totalità dei lettori - riguardano fatti di cronaca. Così, se un omosessuale viene assassinato (15 omicidi solo a Roma negli ultimi due anni, naturalmente irrisolti) o si suicida (terribile la piaga dei suicidi "inspiegabili" degli/delle omosessuali giovanissimi: al meno la metà del totale dei suicidi degli adolescenti in Italia), si parla quasi sempre di "delitto gay", o avvenuto "nell'ambiente gay": mentre, se viene assassinato un eterosessuale, nessuno si sognerebbe di parlare di "delitto eterosessuale" o maturato nel "torbido ambiente degli eterosessuali".
Questi comportamenti, che certo si riproducono in modo automatico e senza intenti discriminatori (spia però della forza e della violenza del pregiudizio), hanno effetti devastanti sull'evoluzione dell'opinione pubblica, ancora molto più legata di quanto si creda a stereotipi di carattere razzista e discriminatorio.
Come spesso accade in casi analoghi, del pregiudizio antigay si è di solito portatori in modo inconsapevole e privo di intenzionale malizia: succede anche a molti democratici, e soprattutto a chi, meno giovane, si è formato in un'epoca in cui su queste tematiche la cultura e la politica non erano solite riflettere.
Anni fa lo stesso Eugenio Scalfari affermò che a suo avviso sarebbe stato inopportuno che un omosessuale potesse essere eletto Presidente della Repubblica (eventualità in realtà sfiorata in più di un'occasione): e ciò perchè le discriminazioni subite nel corso della sua vita avrebbero potuto verosimilmente fiaccarne il carattere o comprometterne la personalità. Ma a nessun democratico verrebbe in mente di affermare che, in un paese in cui fosse largamente diffuso l'antisemetismo, sarebbe giustificato, per lo stesso motivo, esprimere riserve sull'eleggibilità di cittadini ebrei alle più alte cariche elettive.
Insomma, la situazione è sbilanciata. Da un lato, buona parte degli intellettuali cattolici prendono posizione in modo netto, duro, inequivocabile (e assai poco caritatevole). Dall'altro gli intellettuali laici, liberali, spesso sull'argomento sono timidi e riluttanti, sottili e cauti, prudenti e atteggiati, un po' saggi e un po' vili (salvo lodevoli e fondamentali eccezioni come Stefano Rodotà, Paolo Flores D'Arcais e pochi altri).
Ben diversa la situazione d'oltralpe e d'oltreoceano. Negli Stati Uniti, per esempio, che pure è terra di grandissime contraddizioni, i "liberali" non considerano i gay rights con schifiltosità; non c'è imbarazzo alcuno, né colpevole silenzio, al contrario di alcuni intellettuali di casa nostra, che trovano sconveniente una voce limpida sull'argomento, salvo poi fare l'esame del sangue sul tasso di liberalismo di chi, magari, sul terreno delle libertà civili e dell'autodeterminazione dell'individuo è schierato da tempo.
Eppure gli omosessuali in Italia sembrano essere ancora scomodi, scomodissimi, forse perché ci ricordano il diverso in ognuno di noi.
Diceva Sandro Penna in versi che costituivano il cavallo di battaglia del movimento gay di vent'anni fa: "Felice chi è diverso/essendo egli diverso./ Ma guai a chi è diverso/ essendo egli comune".
Noi oggi ci battiamo proprio perché alla grande maggioranza degli omosessuali "comuni" sia finalmente possibile godere di quella libertà che un tempo era privilegio soltanto di qualche omosessuale di genio.