Subculture Out

I Gay del Terzo Millennio e la loro diversità culturale

29 gennaio 2005

Premessa


Le identità moderne, particolarmente quelle di questi ultimi decenni, rinunciano a darsi forme stabili e definitive, di conseguenza descriverle o tentare di spiegarle attraverso la liberalizzazione crescente delle loro subculture diventa impegnativo e non sempre il compito si risolve in un sistema coerente di idee.

Dalla fine degli anni Settanta quasi tutte le società, hanno costruito e definito nuovi spazi interpretativi delle identità di genere nei quali l’individuo si è ritagliato spazi di comodo all'interno di cui operare in modo coerente e fedele unicamente a se stesso, delineando stili di vita fortemente singolari [1] - per quanto non determinati esclusivamente dalla sua volontà. Quegli anni segnarono una svolta decisiva tanto nei modi di pensare che di agire degli attori sociali, interessando particolarmente le posizioni di molti emarginati dal potere decisionale. In particolare, emersero voci di protesta da più parti del pianeta per ridiscutere e correggere il sistema degli intendimenti dominanti concernenti l’identità di genere - principalmente con le prime manifestazioni femministe, le controversie sull’aborto e il divorzio, la crescente secolarizzazione, i movimenti di lotta operai e studenteschi.

Incoraggiati da questi movimenti incandescenti gli omosessuali si cominciano a distinguere come gruppo politico organizzato e di protesta, oramai stanchi di rinchiudersi in spazi riparati dall’omofobia o “in ghetti accettati perfino dagli eterosessuali, che vi vedevano una garanzia di apartheid per se stessi”(Cristallo, 1996). Strizzando l’occhio alla storia dei movimenti sociali, potremmo affermare che proprio dagli accadimenti di Stonewall nel 1969, gli omosessuali si muovono nel proposito di uscire allo scoperto dichiarando apertamente le proprie identità e preferenze sessuali, rivendicando diritti e proponendo una diversa distribuzione dei ruoli sociali. Praticamente e sebbene oggi ci siano familiari le lotte degli omosessuali per scampare all’oppressione, al pregiudizio e agli attacchi fisici e verbali, non dobbiamo trascurare che è proprio a partire da quegli anni che essi si sono distinti in collettività politiche che fanno ricorso al Diritto per ottenere il rispetto dalla società. Gli accadimenti di Stonewall spinsero alcuni attivisti omosessuali londinesi, tedeschi e italiani a rivalutare le proprie attività organizzandole in veri e propri movimenti di contestazione e/o organizzazioni militanti.

La consapevolezza acquisita del progetto di riscatto sociale e del cambiamento provocato nelle relazioni di genere dal movimento omosessuale – da quegli anni in poi - ha portato di recente studiosi di scienze sociali e storici a indicare chiaramente l’essenziale distinzione tra comportamento omosessuale e altri ruoli omosessuali, tra categorie sessuate e identità. Essi evidenziano che gli atteggiamenti verso gli omosessuali sono specificatamente culturali e sono mutati notevolmente attraverso e in differenti culture e che, in linea con i cambiamenti storici, gli atti fisici possono apparire somiglianti, ma le loro implicazioni sociali sono spesso profondamente differenti. Questo è lampante, più di ogni altra cosa, se guardiamo attentamente alle recentissime e profonde trasformazioni nella rappresentazione di sé degli omosessuali, in particolare dei maschi e connessi ai cambiamenti delle istituzioni secolari quali la famiglia, il matrimonio e la riproduzione sociale in termini di adozione. Di fatto e come ha fatto notare Pollak (1983) si può distinguere tra teorie che erigono l’eterosessualità a norma assoluta della normalità e altre che trattano tutte le manifestazioni sessuali allo stesso livello: le prime vedono nei comportamenti non-eterosessuali delle deviazioni, se non addirittura delle perversioni, mentre le seconde li considerano vie diverse, ma non gerarchizzate, verso l’orgasmo.

Questa non è la sede in cui chiarire concettualmente le posizioni e le differenze di queste teorie, ma indubbiamente tutte rintracciano - dalla rivolta a Stonewall nel ’69 a oggi - un percorso nuovo della politica della maschilità e dell’ordinamento dei generi proprio in relazione alle scommesse sul futuro fatte dagli omosessuali da quegli anni in poi. Queste teorie, infatti, rivelano sfumature nuove e danno valore alle denuncie omosessuali che indeboliscono tanto le basi del patriarcato che della famiglia come istituzione classica, opponendo rappresentazioni e voci accorate tanto all’eterosessismo che all’omofobia discriminanti.

Nonostante ciò la sfida radicale al binarismo dei generi non è certo diventata la base normativa della vita di comunità o nella politica gay, se non in rare eccezioni. Probabilmente perché nella maggior parte delle espressioni di visibilità, la coscienza di un’identità omosessuale è stata per i gay del movimento una coscienza di razza, piuttosto che di diversità e/o perché lo spazio di pluralizzazione delle identità di genere è assai composito, attraversato dai conflitti innestati tanto dalle esperienze individuali di azione collettiva quanto dai significati delle rivendicazioni degli omosessuali stessi. E’ pur vero che da più di trent’anni a questa parte i movimenti hanno improntato le discussioni e le lotte sul tema dell’identità e sulle sue trasformazioni, concretizzatesi nel corso del riconoscimento sociale dell’omosessualità come gruppo organizzato. Ciò nondimeno e come osserva Trappolin (2003), un’attenta analisi rivela all’interno di questi movimenti discorsivi l’esistenza di un conflitto nei riferimenti simbolici attribuiti alla sessualità ed alle rivendicazioni ad essa collegate. Tale conflitto rimanda alla contrapposizione tra definizioni del mondo che riflettono diverse interpretazioni della relazione tra uomini e donne.

Con queste premesse, l’intento della seguente trattazione sarà dare un’interpretazione in chiave sociologica - e in divenire - delle subculture gay negli ultimi anni in rapporto alle differenze più importanti con le maschilità eterosessuali. Si cercherà di tracciare un percorso descrittivo delle subculture gay che intersechi le direttrici di cui accennato nelle prime battute di questa premessa con le recenti posizioni concettuali circa le identità omosessuali maschili moderne - ovviamente con riguardo agli intendimenti sociologici in tema di subculture e azioni collettive.


1. Subculture omosessuali e azione collettiva: il “capitale sociale” gay


Sono passati decenni dalla rivolta nel ’69 a New York e ancora oggi i movimenti gay indirizzano le loro manifestazioni di protesta alla ratifica di un diverso orientamento sessuale rispetto a quello maschile eterosessuale, laddove l’attività delle lesbiche rimane in parte centrata attorno ai temi di subordinazione delle donne non solo dalla maschilità egemone, ma dalla stessa omosessualità maschile in casa, nel lavoro e nella politica. Eppure non solo sono cambiati modi di pensare, espressioni, rapporti con il mondo del lavoro, modi di auto-definirsi socialmente e strutturalmente rispetto ai media; al tempo stesso anche la politica e le rappresentazioni delle collettività gay continuano a subire revisioni. Di fatto dagli anni settanta ad oggi e mano a mano che si indeboliva l’alleanza col femminismo, si è fissato un nuovo tipo di politica istituzionale, che ha permesso a molti omosessuali, specialmente quelli interessati ad affari economici importanti per la società, di far pesare la loro partecipazione politica.

Sembrerebbe che ogni manifestazione collettiva omosessuale si cristallizzi attorno alla costruzione di un’identità politica specifica all’interno di stabili comunità e che, sebbene le azioni di protesta si siano pacificate rispetto agli inizi, le rappresentazioni omosessuali ridefiniscono praticamente la politica della maschilità nel suo insieme già a partire dalla presunta legittimità della sua stessa presenza. Oggi, infatti, in parecchi paesi europei (Italia inclusa), oltre che negli USA e in altri paesi occidentalizzati, esistono infrastrutture e servizi atti a consolidare l’ampia e strutturata rete di riproduzione dell’omosessualità, maschile quanto femminile, ai fini di una maggiore visibilità e integrazione col resto della società - come ad esempio le tv private con format su misura, le agenzie di viaggio, i negozi, gli alberghi, i centri culturali, i pub, i bar e le discoteche, i centri di assistenza medica o psicologica riservati agli omosessuali. Ciò nonostante a mio avviso non è cosa semplice accostarsi a queste strutture per inquadrarle nei termini dell’espressione materiale di una comunità vera e propria, piuttosto è possibile trattarne in termini di una società locale o nelle forme di un “capitale sociale”, in quanto l’uso analitico del concetto stesso di comunità – come fa notare in una recente intervista Bagnasco (2003) - è uno strumento troppo denso, che carichiamo in modo eccessivo di significati e che rischia poi di rafforzare certi usi politici o culturali del termine che oggi non sono accettabili[2] . Si aggiunga che esistono accezioni del concetto di comunità che non sempre convergono in un significato univoco, laddove soprattutto esistono delle forti discordanze nell’uso dello stesso concetto. Inoltre e per qualificare meglio questa posizione, un’analisi attenta ai fenomeni collettivi che investono forme di socialità apparentemente solide - come la famiglia e l’amicizia - dovrebbe tenere presente sia l’aspetto strutturale di riproduzione sociale (o di comunità in senso lato) che non sempre si delinea attorno al disordine e alla violenza, quanto quello rivolto alle motivazioni individuali (Trappolin, 2003; 2004).

A prescindere dalle forme espressive del potere politico, religioso ed economico investito dai gay, si dovrebbe guardare alle loro collettività come a corpi sociali in movimento e strutturati intorno a scelte particolari che concretizzano a fatica il potere decisionale dei gruppi che le compongono, soprattutto laddove la volontà di imporre certe scelte di vita al di fuori di esse è criticata dall’interno e addomesticata dall’esterno (Remotti, 1994). Quello omosessuale è un capitale sociale che produce/riproduce una subcultura altra da quella maschile eterosessuale e che, attraverso strategiche tolleranze e intrecci con altre culture, definisce gruppi e individui politicamente. In particolare lo fa attraverso i media e le nuove tecnologie, il linguaggio e i costumi.

A fronte di ciò, quelle omosessuali possono intendersi come subculture che si strutturano sia attorno alla reciprocità delle azioni interne ai gruppi sia in riferimento al contatto che hanno con l’esterno. Definendo le forme di espressione e di associazionismo dei gruppi GLBT nei termini di subculture, piuttosto che di comunità dunque, si può comprendere e spiegare in parte l’immensa ricchezza di significati [3] che ciascun omosessuale riesce ad estrapolare per se stesso e per il proprio contesto sociale. Questi significati per la maggior parte degli omosessuali di oggi e molto più di frequente sono derivati direttamente e inconsapevolmente dalla propria partecipazione a delle azioni scambievoli all’interno dei gruppi di appartenenza e con l’esterno o la società tutta (Sapir, 1972). Come fa notare Trappolin (2003) infatti, l’attività politica e informativa in genere dei gruppi omosessuali consente di diversificare i ruoli di ciascuno e questi dal modello di maschilità egemone producendo al tempo stesso una lettura che mette in questione i rapporti tra i sessi. Questa è una descrizione esauriente se si aggiunge che in questi anni l’azione collettiva dei gruppi omosessuali sembra più imperniata a promulgare un modello quasi etnicista di comprensione del sé di ogni omosessuale che non a controbattere l’appartenenza di genere in senso lato. Inoltre va pure osservato che i gruppi GLBT sono fortemente legati alla rete di relazioni politiche e istituzionali della società che in prima battuta garantisce stabilità e coerenza di azione ai differenti gruppi, ma di certo non fa che aumentare i vincoli con l’intera società a cui appartengono. Praticamente all’azione collettiva GLBT viene accreditata legittimità nella misura in cui non supera i limiti dello spazio politico eterosessuale - in cui le prospettive di riuscire sono esse stesse legittimate socialmente. In questo senso il passaggio dall’individuo gay, dal suo gruppo, dalla sua subcultura alla più ampia espressione concettuale di una vera e propria comunità gay risolve i dilemmi dell’azione collettiva (Putnam, 1996) nel rapporto tra maschilità eterosessuale egemone e omosessualità maschile.

Orbene se all’individuo omosessuale, cosciente o meno di appartenere ad una particolare forma di collettività, si dà la responsabilità di un’immagine pubblica, delle azioni politiche che ne promulgano la visibilità, di aver fatto e continuare a fare scelte economiche, di stili di vita, di documentare e negoziare una più proficua accettazione sociale in termini di servizi, unioni civili e simili, allora sarà possibile individuare con più chiarezza - in questa correlazione tra pubblico e privato, azioni collettive e individuali - una chiara definizione delle trasformazioni della moderna identità omosessuale e delle relative subculture. Nei prossimi paragrafi avremo modo di dettagliare i caratteri di queste subculture attraverso considerazioni proprie della sociologia della diversità, per il momento preme sottolineare che essi sono contingenti tanto un sistema di azioni collettive da parte del corpo sociale GLBT, quanto caratteristiche peculiari di ognuno dei suoi appartenenti. Questi caratteri costitutivi delle subculture gay rilevano in ogni caso delle differenze sostanziali rispetto ai passati anni Settanta, sino ad intrecciarsi – spesso in modo equivoco e in più punti - con le trasformazioni inerenti il sistema dualistico delle categorie di genere. Si vedano ad esempio quei contesti culturali dove la gerarchia di distribuzione del potere eterosessuale è più visibile e riconducibile a una maschilità dominante rispetto a una femminilità subordinata e relegata - come accade nei paesi a capitalismo avanzato: in questi infatti, le funzioni di riproduzione sociale appaiono chiaramente squilibrati riguardo alla produzione in sé, alle attività commerciali e alla sfera pubblica (Ruspini, 2003).

E’ chiaro che quanto sin qui esposto disegna una parte del tutto circa le trasformazioni delle identità gay, spiega solo in parte la nascita in questi ultimi anni di microcollettività, gruppi e contesti separati, difficilmente completa il quadro delle interpretazioni circa la violenza e la discriminazione ancora esistenti e svierebbe da una spiegazione scientifica che chiarisca definitivamente il sistema delle pluralità dell’essere gay e di quegli aspetti dinamici, di quelle caratteristiche mutevoli non standardizzabili delle diverse forme e rappresentazioni dell’omosessualità stessa.


2. Rapporti di potere e diversità. Differenze in trincea e nuove frontiere


L’immaginario maschile eterosessuale è ancora imperante. Lo è in ogni interstizio di tempo e in ogni luogo, lo è a dispetto della recente moda di una maschilità addomesticata alla finezza e alla tenerezza, meno dura di un tempo in molti degli spot televisivi e delle propagande informative che la disegnano con schizzi di accentuata femminilità. Lo è in tutte le sue manifestazioni, lo è laddove il bisogno di definirsi si delinea attraverso la visibilità ed il controllo delle differenze; sicché, saper riconoscere e poi interpretare le diversità sessuali – in testa a tutte l’omosessualità maschile -, in virtù del fatto che la stessa traduzione in termini di altro da sé è uno strumento di controllo, permette alla maschilità egemone eterosessuale di ridurre al minimo gestibile le minacce alla sua autorità. Ne consegue che storicizzare la diversità sessuale diventa una pratica non più esclusivamente simbolica di controllo attraverso i suoi molteplici richiami antropologici ai tranquillizzati androgini del terzo sesso, dell’eunuco o dell’Alter non eterosessuale.

La teatralità assai sofisticata, scivolosa e in costante trasformazione dei ruoli maschili evidenzia una logica d’uso del potere politico e simbolico della recente maschilità, la quale non è solo strumento di controllo delle diversità sessuali; essa è pure funzionale al mantenimento della propria autorità e si esprime di fatto in strategie articolate che strutturano forme e pratiche esclusivamente politiche di discussione (a più livelli) della stessa diversità. In questo particolare stato di cose da una parte gli omosessuali moderni manifestano la loro presenza sociale, soprattutto politica, con lo scopo di sovvertire quelle categorie, anche simboliche, che li costringono a definirsi nei termini della diversità, rivendicando una differenza sostanziale del soggetto collettivo a cui appartengono culturalmente oltre che strategicamente e dall’alto verso il basso; dall’altra gli eterosessuali maschi che si attivano di conseguenza per difendere con strategie ad hoc il sistema normativo di genere che reputano valido e indiscutibile soprattutto per il fatto che esiste ancora prima di qualsiasi nozione culturale, come “fatto di natura”. Questa che può sembrare a primo acchito una relazione di contrari fra le diversità sessuali – pure esclusivamente conflittuale, articolata e costruita attorno a scopi politici differenti - rivela piuttosto una metodica ben congegnata atta a garantire l’equilibrio di questa negoziazione differenziale delle identità. Comprensibilmente e per evitare di spingere l’asinello con forza, rischiando di ottenere un calcio ben assestato, la regola principe - fra tutte quelle attive in questa strategia di potere - è l’uso della carota. In pratica i gay moderni sembra si facciano carico politico dell’idea di essere attivamente impegnati in questo processo di costruzione delle proprie differenze sessuali tanto che l’omosessualità diventa per molti di loro e per la gran parte degli eterosessuali una scelta di vita, piuttosto che un’identità a se o ereditata da un gene o persuasa attraverso la socializzazione. Un scelta tipicamente sociale e affatto di consumo delle identità, politica quanto basta a non cozzare con le politiche della maschilità egemone e recente per saldare vincoli di contemporaneità fra i gruppi che la compongono. Come se non bastasse, fatto straordinariamente interessante è che non solo gli omosessuali, ma sembra che tutte le diversità sessuali abbiano patteggiato giocoforza questa certezza politica, forse perché allarmati da prese di coscienza del rischio circa la mancanza di una chiave di lettura veramente originale del cambiamento delle idee da loro stessi indotto o forse perché i termini della diversità culturale che fanno tanto gola agli economisti e ai pubblicitari, sono stati erroneamente associati alla mondializzazione – o forse per altri motivi ancora, magari inesplorati o solamente taciuti.

Il quadro che se ne dipinge è che le rivendicazioni politiche e sociali delle diversità sessuali non sono riuscite a prevaricare sulla conservazione dell’egemonia maschile circa l’accesso a determinate risorse sociali, almeno non fino a destituirne radicalmente il principio di autorità. Più semplicemente, se i gay non venissero additati come travestiti, effeminati, promiscui cacciatori di falli, supereroi che trasformano il maschio eterosessuale di cattivo gusto in un individuo di buon gusto [4] e quant’altro, il maschio eterosessuale esporrebbe a rischio la sua “naturale visibilità”, la possibilità costante di non differenziarsi efficacemente da altre categorie di uomini che si vestono come lui, si muovono come lui, parlano e gesticolano come lui (Garber, 1994).

Un metodo ha pure i suoi criteri, sebbene non sempre siano giustificabili scientificamente dei suoi contrari. In questa prospettiva d’analisi ad esempio, si potrebbe affermare che le ragioni intrinseche all’omofobia, sono le basi del sistema strategico atto a garantire la differenza nei termini del liberalismo sessuale. Già perché se si considerano tanto le falsarighe teoriche che inquadrano l’omosessualità all’interno della categoria di genere, in relazione cioè ad uno dei tanti aspetti della maschilità piuttosto che di un’identità a sé, quanto l’impegno della maschilità ad assicurarsi visibilità legittima rispetto ad ogni interpretazione minacciosa alla sua virilità, il problema di conservazione della propria autorità richiede non soltanto una protezione dall’esterno ma anche dall’interno, inasprendo le norme e definendo più nettamente i confini.

In questo contesto d’analisi ovviamente la visione politica del liberalismo sessuale è prettamente relativa al rapporto fra maschilità egemone e omosessualità maschile, i termini della dialettica accennata sono rintracciabili nel procedimento normativo insito al liberalismo stesso; solo che in questo caso specifico si pone un sistema di idee come garante irreprensibile della sovranità e dell’attendibilità istituzionale della maschilità eterosessuale, partendo dalla nozione essenziale di alterità pericolosa da addomesticare a normalità tranquillizzante (Foucault, 2001). Ciò significa che i gay di oggi, quelli sempre più tollerati pure attraverso i processi culturali stretti insieme alla globalizzazione delle idee, sono rappresentati nell’immaginario eterosessuale maschile come identità sessuali pericolose che, provocando sensazioni più o meno diffuse di incertezza circa il dominio maschile, pongono i maschi eterosessuali nella condizione di sperimentare con accenti differenti la loro vita, i loro ruoli istituzionali, i progetti circa il loro futuro, proprio come se fossero realmente in pericolo.

A motivo degli strumenti metodologici poco raffinati in questo campo della sociologia della diversità sessuale, bisogna ammettere che non è facile investigare questa spirale politica in cui da più parti si intersecano le direttrici delle auto-rappresentazioni e delle rappresentazioni maschili eterosessuali e omosessuali. Ciò nonostante, pare evidente che l’accettazione da parte di questi ultimi della propria identità nei termini di una scelta di vita si intrecci a più livelli con la sensazione di pericolo avvertita dagli eterosessuali di oggi in rapporto alla visibilità di certe diversità sessuali – fra tutte e a titolo di esempio, la sensazione di profonda incertezza di molti gay che vorrebbero adottare un bambino, ma sentono il peso dell’educazione binaristica dei generi sessuali.

Cercando di non allontanarmi troppo da questa considerazione, credo che sia scientificamente di grande interesse l’impegno emotivo, intellettuale e politico, in parte proprio come conseguenza diretta della sensazione di pericolo, che spinge entrambe le parti sessuate a differenziare il proprio spazio privato attraverso l’uso di ben definite pratiche di comunicazioni. Le informazioni sulle proprie identità, anche dove esistono evidenti momenti di contatto per strada, nei bar, in teatro, al cinema per esempio, sono assai dettagliate e non solo simbolicamente e nei soli termini del linguaggio corporeo. Ed è proprio in questo processo di differenziazione delle identità in termini di definizioni strutturate/strutturanti e ri-definizioni personali prima e collettive poi, attraverso pure i luoghi e i tempi della comunicazione sociale (attraverso i media, la politica, la religione e quant’altro) che si struttura l’espressività dei gay odierni. A motivo di ciò e motivando a più livelli di pensiero comunicato tanto l’esistenza delle molteplici percezioni, spesso non necessariamente congruenti, e di linguaggi, di dialetti subculturali piuttosto che propriamente etnici, si può riassumere la diversità sessuale come una specie di sotterfugio simbolico conferito al corpo, una specie di branding identity che legittima la visibilità di certi comportamenti e non di altri (Gorsoline e Spencer, 1996).

In questo senso, tutte le contravvenzioni al sistema che organizza le sessualità attraverso gli interessi collegati alla continuità maschile egemone, contribuiscono in parte ad allontanare fuori, altrove dallo spazio della convivenza sociale di più gruppi sessuali differenti, l’idea universalistica che la maschilità eterosessuale abbia un fondamento di sovranità, in parte spingono politicamente i diretti interessati a porsi nei termini di una comunità alternativa, di una subcultura di frontiera. Il ché non garantisce certo a nessun maschio omosessuale di riscattare la propria soggettività, la propria unicità attraverso contestazioni pubbliche e movimenti di liberazione, ma permette di evidenziare i caratteri di una costruzione complessa e, per molti aspetti, forzata della propria identità.

In pratica si sta affermando una specie di controtendenza omosessuale generalizzata, di gruppo che si contraddistingue rispetto a quella maschile egemone proprio dalla propensione a mettere l’accento sulle relazioni comunitarie e circa le proprie subculture piuttosto che incisivamente sulle rispettive identità e sulle storicità dei vari soggetti. Ciò non significa che i gay di oggi siano degli anti-individualisti, solo non sembra abbiano una definizione del proprio self che possa realmente prescindere da una qualche relazione attiva con il proprio gruppo sessuale e le varie maschilità eterosessuali [5] .

Infatti, se è vero che esaltare l’autenticità individuale, considerandone la retorica con le altre identità sessuali e in contesti più ampi, internazionali ad esempio, piuttosto che l’appartenenza culturale a una collettività, è il presupposto da cui si muovono un po’ tutti quando si tratta di rivendicare certi diritti (Spivak, 1997), in realtà i termini discorsivi circa le differenze sessuali, filtrati dalla crescente spinta figurativa di certi stili di vita, non sembra riescano a destituire, ne tanto più a invertire la condizione di subalternità degli omosessuali moderni. Chiaramente la maschilità eterosessuale ha in tal senso dato prova di una notevole elasticità nei modi di agire, se non altro perché il rischio di perdere la propria superiorità è costante e si presenta con sfaccettature sempre differenti, non sempre identificabili come minacciosi. In pratica è come se la maschilità avesse imparato ad intervenire esclusivamente nei termini della sorveglianza, piuttosto che operativamente come faceva in passato attraverso la repressione violenta degli omosessuali e dei loro stili di vita. In taluni casi poi l’intervento può essere aspro, persino condannando a morte degli individui solo perché si scopre che sono o si dichiarano apertamente omosessuali; eppure questi momenti relativamente isolati, molto più orientali che occidentali, evidenziano di contro la tendenza generale alla standardizzazione di comportamenti stabili attraverso scambi culturali, di vita economica, religiosa e politica circa differenti comunità, composte da differenti individualità e multiformi subculture.


3. Gay Out e bisogni elettivi di autodeterminazione personale


La logica d’analisi sin qui proposta mostra a grandi linee che per gli omosessuali moderni il bisogno di autodeterminazione cresce, aumenta sensibilmente la necessità di sentirsi meno oppressi e più sicuri entro i limiti delle proprie frontiere, inducendo di conseguenza la maschilità egemone a introdurre novità strategiche al piano di intervento sociale e normativo delle diversità sessuali; questa straordinaria ciclicità che investe entrambe le parti, ridefinisce sensibilmente il controllo sociale non più come il contrappeso necessario della libertà, quanto piuttosto come il suo principio motore (Foucault, 2001). La crescente domanda di nuove libertà, private quanto associative, politiche quanto istituzionali da parte dei gay ha di contro intensificato e diversificato il controllo dell’accesso a determinate risorse, considerate ancora esclusivamente eterosessuali – vedi le unioni civili o l’adozione, per esempio.

Nonostante ciò, la visione del Gay Outsider appare sempre più cosmopolitica, al passo coi tempi e intrisa delle peculiarità ideologiche proprie della globalizzazione, ma laddove i confini appaiono ambigui c’è la tendenza - per certi versi inconsapevole, per altri studiata diligentemente - a rimarcare e definire sottilmente i caratteri che deviano dalla regolarità. Sono proprio i gay di oggi che rivendicano più di altri la possibilità di oltrepassare le frontiere istituzionali e politiche maschili, quei confini che il controllo sociale costantemente ridefinisce attraverso nuove modalità di accesso a risorse come l’unione di fatto, l’adozione, l’arruolamento nelle forze armate e quant’altro, attraverso nuovi spazi in cui esprimere la propria diversità e in tempi non facilmente gestibili; cosicché spazi prima invisibili emergono prepotentemente attraverso stili di vita considerati un tempo solo privati, divenendo cioè pubblici attraverso i mass media, le manifestazioni come il Gay Pride, l’abbigliamento e tutto ciò che caratterizza l’essere gay oggi. Accade una specie di sovvertimento simbolico dell’individualità attraverso il proprio gruppo di appartenenza e, in tal senso, i luoghi di incontro omosessuali risultano sempre più aperti e coinvolgono tutte le diversità sessuali, quasi come se le identità diventassero eroiche, soggetti unici e inequivocabili nel turbinio di idee e di azioni atto a ridefinire concettualmente tanto il confine quanto la frontiera (Sponza, 1998).

La controparte però sta nel fatto che all’ideale tolleranza di certi comportamenti omosessuali segue, anche se manifestato più raramente o comunque più spesso privatamente in famiglia o tra i membri del proprio gruppo di amici, un senso di avversione, di disgusto che in epoche passate non esisteva (Cavazzoli, 2001). E’ come se le subculture omosessuali occidentali fossero insieme diventate il pretesto ideologico che tutti adottano per affermare la propria diversità, rendendole artificiosamente il fulcro, prima soltanto teorico e successivamente anche politico, dello spostamento delle frontiere societarie (Greco e Salimbeni, 2003) – ovviamente delineando di contro nuovi approcci politici alla gestione del controllo delle diversità sessuali da parte della maschilità egemone. Sono sempre più frequenti, infatti, le dissimulazioni, le allusioni e gli interventi diretti, atti a riqualificare il peso dell’autorità maschile eterosessuale (vedi il caso Tremaglia del 2004), soprattutto attraverso procedure discorsive in cui la legittimità del potere è a volte centrata sull’individualità, sul soggetto che opera il controllo, altre volte viene nascosta abilmente attraverso ideologie, politiche di intervento, regolamentazioni giuridiche che mirano a favorire negli outsiders una visione oggettiva della sessualità e per la quale la stessa maschilità eterosessuale è sovrana in quanto da considerarsi naturale, incontestabile perché esiste e per questo normale. Tutto ciò si lega abilmente e in più punti di pensiero al potere sovversivo e distruttivo dell’individualismo moderno, filtrando i termini dell’uguaglianza sociale in un sistema che di fatto annulla le diversità, contraendo le differenze attraverso rivendicazioni istituzionali da parte dei movimenti gay e controlli sempre più fitti da parte della maschilità egemone. E’ in tal senso che oggi più che mai in passato, la dualità del rapporto maschilità eterosessuale/omosessualità maschile non si fonda più sul concetto politicamente benevolo di uguaglianza, anzi si attribuisce tendenzialmente ai gay un insieme di caratteristiche distorte circa la loro diversità tale da stabilire confini o limiti concettuali, politici e sociali, temporali quanto spaziali negativi. In pratica la maschilità eterosessuale rafforza il suo status autoritario attraverso strategie atte a porre in discussione la soggettività neutra e universale dei soggetti sociali in generale e degli individui sessuali altri in particolare.

La presenza di una simile dinamica sociale nel rapporto tra le maschilità eterosessuali e quelle omosessuali, produce problematiche che evidenziano aspetti di potere che un tempo rimanevano in ombra nell’articolazione complessa delle società premoderne. Le norme morali che reggevano le sorti di determinate istituzioni considerate distintive dell’autorità maschile egemone, per esempio, vengono oramai ridiscusse e negoziate in relazione al diffondersi di una moralità nuova, fluida e tendenzialmente più tollerante delle diversità sessuali (Lasch, 1995).

In questo senso, la flessibilità di vedute morali e integraliste delle diversità sessuali, soprattutto delle omosessualità maschili, è stata una conseguenza innanzitutto concettuale dell’accettazione dei processi di globalizzazione in atto e successivamente il pretesto ideologico di un pluralismo di idee funzionale alla conservazione dell’autorità maschile eterosessuale. L’attuazione di strategie di potere precise, non sempre riconoscibili dagli altri come tali, ha poi evidenziato uno spostamento di molti confini identitari attraverso nuove modalità interpretative delle stesse identità in gioco; da una parte cioè, diffondendosi a macchia d’olio l’idea che non esiste più un modello preciso e unico di accesso a determinate risorse sociali (il matrimonio, per esempio), si è fatta strada una crescente e molto assortita mercificazione di significati ultimi delle proprie identità (Berger e Luckmann, 1964) fino a rendere oramai politicamente superati certi confini delle maschilità eterosessuali. D’altra parte la visibilità crescente delle identità gay ha indotto gli eterosessuali - e non solo i maschi – ha rivalutare e riorganizzare i concetti di inclusione sociale delle diversità sessuali, studiando le contaminazioni cognitive che queste identità hanno prodotto circa la definizione dei propri Self e relativamente al mantenimento dell’autorità nella gestione istituzionale delle risorse fondamentali, nonché di quelle scarse, della società. Come si è sostenuto nella prima parte di questo paragrafo, infatti, la maschilità egemone ha tendenzialmente preferito integrare le nuove definizioni sociali delle diversità sessuali alle strategie di controllo sociale, piuttosto che escluderle apertamente. In questo senso si può parlare di contaminazioni cognitive, invece che di dissonanze vere e proprie: assumendo le nuove proposte di definizione delle identità gay alle proprie, infatti, le maschilità eterosessuali percepiscono come costante la minaccia alla loro autorità e preferiscono risistemare o riorganizzare le strategie atte al suo mantenimento, evitando di scontrarsi apertamente con le altre identità sessuali in atteggiamenti politici di rifiuto e di contrasto che sarebbero deleteri al mantenimento della loro autorità.

Il bisogno di continuità espresso dalle collettività omosessuali di ogni parte del mondo, evidenzia caratteri identitari forti, decisi cioè a trovare un senso alle azioni politiche dei membri attivi di queste comunità e sottolinea una maggiore fedeltà al proprio gruppo di appartenenza, come se integrarsi compiutamente agli altri omosessuali in un destino comune sia in realtà l’unico modo, istituzionalmente almeno, per auto-conservarsi nel tempo – nonostante l’evidente ridefinizione dell’ordine sociale vigente. La conclusione più interessante è nell’abbattimento delle barriere tanto spaziali che temporali, in questa pluralità fisiologica della società che (in questo caso) si risolve nella fluidificazione dei confini delle diversità sessuali, sino a produrre una realtà molto più articolata di un tempo. Basti pensare che oramai su uno stesso territorio si mescolano o coabitano esperienze e stili di vita differenti, sino a fare della pluralità una cosa “normale”, quasi naturale.


Osservazioni Conclusive


Riprendendo in parte quanto già scritto sulla compresenza territoriale, dunque sociale, delle diversità sessuali e delle maschilità eterosessuali, si potrebbe concludere con un’osservazione niente affatto banale e cioè che le identità in correlazione costante fra di loro comunicano, sono permeabili tanto verso l’interno che verso l’esterno e si riadattano continuamente in un continuum pluralistico tanto attuale che intriso di patrimoni tradizionali, storici e artistici. Quello che un tempo veniva vissuto come limite alla propria visibilità, cioè la mancanza di un dialogo politico aperto con le istituzioni maschili eterosessuali, è diventato per molti omosessuali moderni un punto di incontro, di contatto con le altre realtà sessuali, anche laddove diventa palesemente scontro di opinioni. Infatti, è proprio nell’osservazione reciproca, nel continuo scambio di pareri e nelle collaborazioni, al di là del fatto che siano strategicamente volute dalla maschilità egemone, che si caratterizza più forte e decisiva quella che prima era considerata un’aspirazione e che oggi è vissuta come una realtà dalle subculture omosessuali: in sintesi, la dimensione dialogica della vita quotidiana, quel processo di riconoscimento delle minoranze sessuali da parte delle maschilità eterosessuali e di contro l’impegno a negoziare la propria condizione minoritaria, spesso subordinata da parte degli omosessuali per ottenere il rispetto di alcuni diritti ritenuti fondamentali alla loro sopravvivenza. Il tutto si delinea attraverso una dinamica ricca e articolata, nella quale il riconoscimento della diversità sessuali di alcuni individui porta la maschilità egemone eterosessuale a riscoprire e ridefinire se stessa, caratterizzando il dialogo con le diversità come momento profondo della propria vita quotidiana, concreto proprio perché tratta di fatti e non di problematiche astratte, di problemi politici, economici e sociali a più livelli, di convivenze spesso difficili e tanto altro ancora (Buber, 1923). Tuttavia essere troppo ottimisti significherebbe perdere di vista la realtà dei fatti in quanto, nonostante il dialogo con le maschilità eterosessuali si sia notevolmente arricchito, le disuguaglianze sociali continuano a perdurare. Ad oggi l’accesso a risorse come il matrimonio e l’adozione è cosa assai difficile se non addirittura impossibile, evidenziando di fatto che la crescente pluralizzazione di intenti e di voleri nel rapporto fra omosessuali e maschilità egemone non è servita come contraccolpo politico al riconoscimento di certi diritti.

Ne consegue che alcuni gruppi estremisti si mobilitano per fronteggiare le richieste di accettazione e di visibilità dei moderni omosessuali, investendo le proprie ansie per il futuro (Hitzler, 1997) al mantenimento di certi privilegi istituzionalizzati. D’altra parte gli stessi omosessuali assumono una posizione di controtendenza rispetto le maschilità odierne, cioè: mentre queste ultime si allontanano decisamente dalle formule tradizionali della convivenza sociale, ridefinendo sostanzialmente il matrimonio, la famiglia, il rapporto con la prole per esempio, gli omosessuali invece arricchiscono di forza nuova, più persuasiva e pratica queste istituzioni, ponendosi non solo come difensori di valori tradizionali oramai in declino, ma anche come loro rumorosi conservatori. Dunque, sebbene il dialogo sia accresciuto e notevolmente migliorato fra le parti, è pur vero anche che si è ulteriormente strutturato attraverso atteggiamenti spesso ambivalenti e vuoti che evidenziano da una parte paura per questa controtendenza, dall’altra un’inspiegabile distensione a lasciar correre. Infatti, oggi più che in passato, i confini dialogici tra maschilità eterosessuali e omosessuali sono poco chiari, spesso distorti da comunicazioni oscure, mediate dagli scandali, dal volere colpire attraverso i mass media il pubblico televisivo a tal punto che la perdita irrimediabile di trasparenza discorsiva induce entrambe le parti a vivere la libertà più come un rischio che come garanzia del proprio esistere all’interno della società - soprattutto per le maschilità eterosessuali, forse più attente a questa dinamica non dovendo impegnare la propria concentrazione in altri modi se non alla gestione del controllo sociale delle diversità sessuali. In definitiva è possibile affermare che oggi più che mai, in relazione al dibattito politico e culturale relativo la modernità, l’evidenza della virilità e il fondamento storico e indiscutibile della supremazia maschile eterosessuale sono messi in discussione alla radice, evidenziando una situazione assai critica, di vuoto difficile da colmare e nel quale lo spazio riservato alla giustizia sociale sembra essersi polverizzato nel nulla.



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