La coppia gay nel panorama socio-culturale italiano

30 gennaio 2005

A Glendi l’importante
non è tanto “essere un uomo buono”,
quanto “essere buono a essere un uomo”

Michael Herzfeld,The Poetics of Manhood [1]


Parlare di coppie gay nel panorama socio-culturale italiano significa, innanzi tutto, porre l’accento sulle diverse condizioni in cui sono costretti a vivere gli omosessuali. Nelle grandi città settentrionali la vita omosessuale è simile a quella presente in nord Europa e nord America, caratterizzata dalla presenza di una vivace offerta culturale e di un circuito commerciale ben ramificato, composto di locali pubblici il cui accesso è riservato ad una clientela gay e/o lesbica.

Gli episodi di discriminazione basata sull’orientamento sessuale sono in calo, anche se ancora presenti, ed è possibile vivere la propria omosessualità senza incorrere in sanzioni sociali.

Questa realtà non appartiene al sud della penisola. Il modesto circuito commerciale propone locali commerciali il cui ingresso è consentito anche ad una clientela eterosessuale, o gay friendly. Sporadiche sono le iniziative culturali e le persone omosessuali sono vittime di sanzioni sociali che stigmatizzano la loro esistenza, inibendo la rappresentazione del proprio orientamento sessuale. Nelle regioni meridionali si registrano casi di discriminazione e violenza in numero maggiore rispetto al nord. La deplorazione dei comportamenti omofili, spinge gli uomini gay a vivere relazioni sessuali durature con persone del sesso opposto.

Il confine tra le due diverse realtà corre, all’incirca, all’altezza di Roma. E’ possibile parlare d’emigrazione sessuale poiché, in un contesto sociale ostile verso chi non si adegua alle norme sociali, gli omosessuali per vivere serenamente si trovano costretti a migrare verso la capitale o verso le grandi città del nord.

Nei piccoli paesi del sud le ragazze sono portatrici dell’onore famigliare che le ingabbia nel valore legato alla verginità. Anche se in misura minore rispetto al passato, sposare una ragazza “illibata” ha una forte valenza sociale e, malgrado capiti che le ragazze abbiano rapporti sessuali completi, per volere della famiglia il loro atteggiamento in pubblico deve essere casto nei confronti degli uomini. Questa difficoltà relazionale tra i due sessi spinge gli uomini eterosessuali ad essere disponibili ad avere rapporti con omosessuali. Un’altra interpretazione vede l’omosessualità, come è vissuta nel meridione italiano, come un rito di passaggio (Van Gennep) tra l’autoerotismo adolescenziale ed il rapporto completo con una donna possibile solo dopo il matrimonio. Nel mezzo troviamo il rapporto con un uomo.

La pratica dell’omosessualità non stravolge la norma sociale. Sussumendo all’interno del rapporto omoerotico i ruoli di maschio attivo e di omosessuale passivo, il ricchione [2] , la norma sociale ne esce consolidata.

Sveliamo l’arcano. La logica maschilista vede la fittizia contrapposizione attivo-maschio e passivo-femmina all’interno della relazione sessuale gay come ri-proposizione dei ruoli uomo-donna. Quindi, se anche i gay ricorrono al modello eterosessuale, significa che quel modello è giusto e naturale. I sostenitori della presunta naturalità del rapporto eterosessuale interpretano i diversi ruoli omoerotici, considerati devianti, come la conferma dei ruoli di dominio maschile e di subalternità femminile presenti nei comportamenti eterosessuali, legittimandoli. L’eccezione rappresentata dal rapporto deviante-gay conferma la regola del rapporto naturale-etero. Se seguiamo questo ragionamento, la norma sociale è salva e l’omofobia giustificata.

Ai sostenitori del paradigma della naturalità eterosessuale risulta impossibile pensare che all’interno di un rapporto omoerotico i ruoli siano inesistenti, come risulta incomprensibile a costoro che un maschio considerato attivo, durante il rapporto con un altro uomo, svela la sua componente omosessuale, anche se non accettata. E’ semplice comprendere quanto affermo: se un uomo è eterosessuale sarà attratto e proverà piacere sessuale solo con una donna, egli non troverà nessuno stimolo in un rapporto con una persona del suo stesso sesso.


Perché parlare di omosessualità


La maggiore associazione gay nazionale, Arci Gay, stima che le persone omosessuali in Italia siano quantificabili tra il cinque ed il dieci per cento della popolazione totale. Si deduce che esse siano all’incirca tra i tre ed i sei milioni di persone. La maggioranza di loro vive integrata nel modello economico predominante, condivide le norme e le regole sociali e culturali, adotta lo stesso sistema di giudizio valoriale di tutto il resto della popolazione.

Le persone omosessuali lavorano, frequentano le scuole, votano e godono dei benefici legati al riconoscimento della cittadinanza italiana.

Dietro quest’apparente situazione di uguaglianza si nasconde una condizione di discriminazione nell’allocamento delle risorse e nel riconoscimento di alcuni diritti civili che, invece, sono riconosciuti solo alle persone che attuano comportamenti di orientamento sessuale eterofilo. Ai gay è riservata una condizione di subalternità.

Le persone omosessuali contribuiscono al pagamento dei contributi economici utilizzati per la gestione dell’apparato statale, esattamente al pari del resto della cittadinanza. I soldi versati, però, non torneranno a loro sottoforma di benefici. Infatti, le coppie gay non hanno accesso ai bandi di concorso per l’assegnazione degli alloggi popolari, non hanno diritto all’adozione di minori, sul luogo di lavoro non è loro concesso il permesso matrimoniale retribuito, poiché né il matrimonio né la convivenza sono riconosciute. Paradossalmente, in caso di morte del partner, non è riconosciuto loro il permesso di assentarsi dal luogo di lavoro.

L’elenco delle disuguaglianze è lungo ma, per riassumerlo, possiamo sostenere che non solo i soldi versati nelle casse dello stato non ritornano sotto forma di contributi, ma saranno utilizzati per alimentare un sistema discriminatorio che si ripercuote sull’omosessuale stesso.

Con questi soldi, versati dai gay, lo stato paga il funzionamento dell’istituzione scolastica, finanzia la televisione e la radio pubblica, la comunità religiosa cattolica e tutte quelle istituzioni che pubblicizzano un modello di coppia e di vita eterosessuale, mentre, invece, presentano l’omosessualità come bestiale, perversa e contro-natura.

Gli omosessuali pagano le istituzioni di governo ed i loro funzionari, che si renderanno attivi per fare in modo che questo sistema omofobo continui a replicarsi, contribuendo alla creazione di leggi che perpetuano e legittimano lo stato delle cose esistente.

Alla luce di ciò, è possibile sostenere che in Italia vige un regime di aparthaid nei confronti della comunità gay e lesbica (la stessa discriminazione è valida anche per altre minoranze e per le coppie eterosessuali non sposate). Le persone omofile sono quotidianamente vittime di anatemi religiosi e secolari.

Parlare di omosessualità significa de-costruire il mondo che ci circonda, il “dato per scontato” quotidiano sul quale poggiano le costruzioni sociali e nelle quali siamo immersi e che giustificano i ruoli di potere che s’instaurano tra le persone.

In Italia il paradigma di riferimento è quello maschile, abbinato al mito della virilità. Esso c’impregna fin dall’infanzia: nei fumetti troviamo Superman e Super Pippo, per incentivare l’acquisto dei settimanali d’opinione si espongono in copertina donne svestite. In televisione i personaggi di contorno sono donne semi-nude ed un po’ stupidine. Finora nessun gioco a premi televisivo ha utilizzato come soubrette un uomo in tanga, nonostante i censimenti nazionali ci rivelano che la popolazione italiana è a predominanza femminile.

Tutto ciò serve per alimentare un modello culturale e sociale dove l’uomo è il magister ludi, colui che svolge i giochi. E’ il maschio eterossessuale (bianco) che detiene il potere e che deve essere soddisfatto. Questo modello lo ritroviamo nel concetto di famiglia nucleare imposto dalla società italiana. Esso è inteso come unità fondamentale della vita sociale e della sua riproduzione [3] , materiale ed ideologica, intorno al quale ruota da secoli l’inquisizione verso quei soggetti che non ne condividono i valori e che attuano comportamenti diversi dalle norme generali.

Il maschio eterosessuale vede nella famiglia nucleare il centro del proprio potere. L’omofobia giustifica i moti di repressione verso quei soggetti che, attraverso un diverso uso del corpo e della sessualità, minacciano alla base gli schemi repressivi della riproduzione sociale capitalistica.

Psicologi, criminologi, psichiatri, rappresentanti della chiesa cattolica hanno cercato di interpretare l’omosessualità, ottenendo come risultato un ulteriore accanimento contro i gay, spingendone alcuni fino al suicidio. Nessuno di questi luminari era dichiaratamente omosessuale: esprimendo giudizi dalle conseguenze nefaste tentavano, e tentano, di interpretare una realtà che non gli appartiene.

Non sto sostenendo che non è possibile studiare l’omosessualità se non si è gay, ma penso che studiare ed interpretare una cultura diversa da quella di appartenenza significa attuare uno sforzo di comprensione, che può portare a riflettere sulla propria cultura di provenienza.

Le costruzioni socio-culturali possono essere presentate come fatto naturale, parte dell’essere umano. Foucault sosteneva che esse, invece, sono una rappresentazione dell’esistente che produce discorso ma che sono anche il suo prodotto, dove per discorso s’intende l’insieme di tutte le pratiche conoscitive attraverso le quali rendiamo intelleggibile il mondo, a noi e agli altri. Il discorso è radicato culturalmente e storicamente. De-costruire la realtà significa svelare l’egemonia socio-culturale, nonché politico-economica, che modella il senso del discorso e che contribuisce alla costruzione della nostra visione del mondo, la quale plasma il “dato per scontato”, ciò che ci appare come naturale, intrinseco ai comportamenti, e che non si analizza. L’egemonia si manifesta anche attraverso le pervasività culturali cui il potere e il modello culturale predominante, ci sottopongono quotidianamente.

I comportamenti discriminatori e il trattamento di subalternità non sono riservati esclusivamente agli omosessuali. Come sostenevo in precedenza, esso interessa anche le donne.

Le battaglie condotte per il riconoscimento dei diritti delle donne sono, per molti tratti, simili alle lotte del movimento gay.


Metodo e fine della ricerca


Questa ricerca ha come fine comprendere come sono strutturate le coppie omosessuali e le relazioni che intercorrono tra le persone che le compongono. Questo lavoro tratta solo della realtà con cui sono venuto in contatto, non vuole avere nessuna pretesa di universalità. L’omosessualità, al pari dell’eterosessualità, ha molteplici declinazioni, tante quante le persone che la compongono.

Non potendo fare riferimento a modelli già esistenti poiché la società propone solo quelli di famiglia eterosessuale, la coppia gay è una tabula rasa sulla quale costruire ogni forma di relazione possibile.

Oggetto dell’indagine è conoscere le tipologie d’unione che gli omosessuali hanno costruito, sottolineare la loro differenza, cercare di fare emergere i tratti significativi della relazione basandomi su quanto le persone mi hanno riferito nel corso degli incontri avuti.

Ho fatto riferimento ai concetti classici che hanno caratterizzato l’etnologia del mediterraneo, dalla fine degli anni cinquanta fino agli anni novanta. All’interno della coppia gay sono stati considerati il concetto di onore, inteso come caratteristica della mascolinità e della virilità; la vergogna, assunta come perdita di onore e presentata come peculiare dell’identità femminile; il tradimento. La ricerca ha analizzato la relazione esistente con il sistema economico, politico, e di parentela. Considerando che la realtà culturale italiana è intrisa di cattolicesimo, la religione emerge sullo sfondo di questo lavoro.

Il filo conduttore seguito nel corso della ricerca è stato mutuato da E. Durkheim. In “Le regole del metodo sociologico” l’autore sosteneva che “i fatti sociali si spiegano con i fatti sociali”. Un fatto sociale non può essere definito in base alla sua generalità. Esso ha due caratteri distintivi: il primo è di esteriorità rispetto alla coscienza individuale, il secondo è che esso svolge un’azione coercitiva o è suscettibile di esercitarla sulle coscienze. Questo metodo mi ha permesso di indagare in profondità i comportamenti ed i concetti, di presumerne le origini e di chiarirli qualora si fossero presentati ambigui, fluidi.

Per raccogliere le testimonianze ho utilizzato lo strumento dell’intervista aperta, una sorta di brain-storming [4] , dove l’intervistato è stato lasciato libero di esprimersi senza vincoli. Alcune interviste sono state supportate dal registratore, altre da note prese nel corso dell’interazione, per altre mi sono affidato alla memoria, stendendo le note successivamente.

Dove non specificato, questa ricerca fa riferimento solo all’omosessualità maschile. La scelta è stata determinata dal bisogno di focalizzare l’attenzione su un fenomeno circoscritto e da una questione pratica: la maggioranza delle coppie gay che conosco sono maschili.

Quando possibile, sono stati intervistati entrambi gli appartenenti alla coppia ma presi separatamente. Nei casi in cui il partner non era raggiungibile, ho realizzato colloqui solo con un componente della coppia. Ho intervistato circa venticinque persone, di un’età variabile tra i ventotto e cinquantacinque anni. Utilizzando come metro di valutazione uno stipendio di circa mille euro mensili e come titolo di studio la licenza di scuola superiore, è possibile collocare le persone contattate in una fascia medio-alta.

Alcuni colloqui sono nati da incontri casuali con persone conosciute come omosessuali, altri si sono svolti in luoghi pubblici riservati ai gay, altre interviste sono state registrate a casa di un amico molto conosciuto nel mondo gay milanese, la cui casa è centro di incontro delle più diverse soggettività omosessuali: gay virili, omosessuali “comuni”, travestiti, sieropositivi al virus hiv. Questa casa ricorda l’abitazione del protagonista del film Le fate ignoranti di Ferzan Ozpetek, ottimo ritratto di vita gay consapevole.


La coppia e la relazione, anche sessuale, tra i partner


“…il tradimento diventa l’evasione… la fuga…il rilassamento. E’ la riaffermazione di un se negato all’interno della coppia…volutamente negato all’interno della coppia. Di fronte ad una rinuncia [determinata dalla mediazione del rapporto, N.d.A.] c’è la possibilità di tradire all’interno della coppia” […] “le corna sono un problema secondario…l’importante è fare sesso sicuro”

Questo brano è tratto dall’intervista ad Antonio, assistente universitario, quarantaquattro anni, che da quattro vive una relazione di coppia. Lui pratica sesso all’esterno della relazione mentre il compagno adotta un comportamento monogamo, anche se è a conoscenza delle scappatelle del partner.

Possiamo definire come coppia la relazione sentimentale e sessuale tra due persone che perdura da almeno tre mesi. La brevità di questo lasso temporale è determinata dalla difficoltà per le coppie gay di mantenere una relazione stabile dovuta sia ad un modello mancante, sia all’esigua presenza di luoghi dove è possibile incontrarsi. Inoltre, alcuni gay, considerano prioritario un’incontro di tipo sessuale non finalizzato alla ricerca di un partner. Ciò che è ambito, da loro, è il corpo e non l’individuo nella sua totalità.

Durante i colloqui con gli intervistati, essi hanno sottolineato che per accettare una relazione omosessuale bisogna innanzitutto accettare la propria omosessualità. Questa tautologia apparente assume un significato preciso nel contesto omofobico italiano, questo passaggio non è così scontato come sembra. Avere un partner dello stesso sesso e vivere la relazione apertamente significa accettare il confronto con il resto della società ed essere preparati a subire il suo giudizio. Una relazione vissuta di nascosto, a lungo andare, può portare a squilibri che inducono il rapporto ad implodere e a porre termine alla relazione.

Dai colloqui intercorsi emerge che la persona che sceglie di avere una relazione di coppia, deve confrontarsi con i valori della famiglia di origine, che già aveva accettato a malincuore l’omosessualità del figlio. Dichiarare di avere un compagnoe, in alcune situazioni, di viverci insieme, equivale a rivelare ai genitori che la propria omosessualità non è determinata da un malessere giovanile e passeggero ma che essa è un aspetto del proprio essere con cui i parenti dovranno convivere per tutta la vita. Per evitare il confronto con i genitori e con la società tutta, una scelta di comodo è negarsi la possibilità di una relazione di coppia. La rete di amicizie può sostituire il confronto con il partner.

E’ possibile definire la coppia gay come l’incontro di due individui indipendenti, ognuno portatore di una propria soggettività, che insieme danno origine ad un terzo soggetto, la coppia. Di fondamentale importanza sono la sua dinamicità, la sua capacità di trasformarsi e di adeguarsi alle situazioni che quotidianamente si presentano.

La condizione di precarietà in cui si trovano costrette le coppie omosessuali, determinata dalla mancanza di un’adeguata legislazione a loro tutela, spinge i partner a vivere quotidianamente un rapporto di rispetto e di comprensione l’uno per l’altro. Se non esistesse un modello maschilista predominante, questo comportamento dovrebbe riguardare anche la totalità delle coppie eterosessuali. E le donne vivrebbero affrancate dal ruolo subalterno che rivestono nella società italiana.

Le persone intervistate sostengono che la relazione non appartiene ad una condizione statica ma a una realtà in continua trasformazione. Le regole di comportamento non si stabiliscono a priori ma si concordano strada facendo. La coppia si rimodella continuamente.

L’attenzione nei confronti del compagno è costante poiché la coppia è considerata precaria. La fragilità della coppia è determinata dalla mancanza di tutele civili e vincoli religiosi, la mancanza di un valore sociale riconosciuto alle relazioni gay può permettere alla coppia di sfaldarsi senza le complicazioni tipiche dei matrimoni eterosessuali. Non bisogna ricorrere agli avvocati, non deve trascorre il tempo tra la separazione ed il divorzio, non bisogna spendere soldi. Nelle situazioni di estrema gravità, il partner deve solo provvedere a farsi la valigia, prendere gli effetti personali ed andarsene.

Diversa è la condizione nelle coppie di lunga durata, che sono a tutti gli effetti paragonabili alle coppie etero. Possono subentrare complicazioni legate alla casa ed alle cose comprate insieme nel corso degli anni.

Quanto descritto sopra riguarda solo la gestione delle cose materiali, non è intenzione di questa relazione indagare la parte sentimentale.

Per contenere la sensazione di precarietà, le coppie gay dialogano molto al loro interno. Il confronto è stato riportato da tutti gli intervistati come importante. La sua utilità è anche quella di appianare e smorzare eventuali tensioni.

Nessuno ha mai nominato la parola onore o vergogna. Questi due concetti sono ricondotti a dinamiche relazionali eterosessuali, di cui gli omosessuali non si sentono partecipi.

Se per onore intendiamo l’adottare comportamenti che gli altri individui sono disposti a riconoscerci come validi e che sono condivisi, dai quali poi deriva il riconoscimento sociale, nessun soggetto intervistato riconosce come proprio questo valore. La riflessività insita nel concetto di onore, e il suo carattere auto-qualificante, non è ritenuto importante. Può essere presente, in modo attenuato, in relazione ai legami di amicizia. Il concetto di vergogna è totalmente assente.

Le persone gay incontrate per tradimento intendono il rapporto al di fuori della coppia cercato con premeditazione. Non rientra in questa categoria il sesso praticato con altri che nasce dalla casualità, che non coinvolge i sentimenti, o che è stato concordato all’interno della coppia stessa. Non è considerato tradimento perché la relazione con l’altro coinvolge solo il corpo, dissociato dalla mente. Il sesso è rappresentato come scambio di emozioni corporali temporanee. E’ de-sacralizzato, depurato dai valori aggiunti dei significati sociali, culturali, religiosi. Il sesso assume la dimensione di attività fisica [5] .

Enrico, trentasei anni, tecnico video, durante una conversazione sottolinea che

“…la mia matrice cattolica mi porta a vivere il rapporto a due. Il sotterfugio porta dinamismo all’interno della coppia” […] “ Se dovesse capitare che lavorando mi appare il tecnico bbbono…che ricalca l’immaginario erotico sessuale, un bucchino me lo farei fare…o glielo farei”

Nel corso dell’intervista, Enrico afferma che non ha concordato con il partner una relazione di coppia aperta e nemmeno un rapporto a tre in compagnia del suo compagno, ma non esclude che se dovesse capitare si metterebbe alla prova. Non ne ha parlato con il suo compagno. La loro relazione dura da sei mesi.

Il tradimento è affrontato con il dialogo. Le persone intervistate considerano imperdonabile un tradimento protratto nel tempo di cui non si è parlato all’interno della coppia. Se dovesse presentarsi una situazione di questo tipo, la persona tradita si sentirebbe raggirata. La fiducia tra i due componenti ne uscirebbe incrinata.

Sulla base dei colloqui intercorsi, è possibile dividere le coppie in tre diverse tipologie.

Alla prima corrisponde una coppia chiusa e monogama, sul modello cattolico di unione eterosessuale. Il rapporto sessuale è vissuto esclusivamente all’interno della coppia e non è ammesso praticarlo con altri.

Altro modello di relazione è la cosiddetta coppia aperta. Le due persone vivono un rapporto sentimentale esclusivo ma si autorizzano eventuali rapporti sessuali al di fuori della relazione. Una variante a questo modello è la coppia che vive il rapporto “extra-coniugale” a tre: loro due più una terza persona (o anche più di tre).. Il sentimento che unisce i due partner non è percepito come in pericolo e non si parla di tradimento. Non c’è atteggiamento competitivo tra i due partner ed il rischio per la coppia può essere determinato dalla possibilità, da parte di uno dei due, di trovare nel terzo una persona più interessante del proprio compagno.Nel rapporto tra una coppia ed, almeno, una terza persona i giochi sessuali tra i partecipanti devono essere ben distribuiti. Non si deve creare un rapporto preferenziale tra i componenti della relazione o tra uno di loro e la terza persona.

Una terza tipologia è quella della coppia chiusa nelle intenzioni ma dove i partner praticano il rapporto sessuale con altri senza dichiararselo.Secondo gli intervistati, questo comportamento può essere spiegato con un’accettazione dei valori sociali imposti, che legano indissolubilmente l’amore per una persona con l’esclusiva sessuale e con il possesso dell’altra persona. Non rispettare questa norma è vissuto come una rottura drastica con le dinamiche di accettazione sociale. Potrebbe anche significare che il/i componenti della coppia non si sentono sicuri all’interno del rapporto e lo percepiscono come fragile. Alcune persone riferiscono che l’ammissione da parte di uno dei due partner di avere avuto un rapporto sessuale con altri potrebbe portare ad un comportamento di tradimento a “effetto cascata”. Alla luce di quanto emerso, quando capita l’occasione giusta, i componenti della coppia vivono la relazione sessuale sperando di non essere scoperti.

Una condizione comune e imposta in tutte le relazioni, anche tra quelle monogame, è che, nell’interazione sessuale con un altro, il partner non deve farsi fare cose che non si farebbe fare anche dal proprio compagno. Un’altra limitazione, voluta dai partner, è che il sesso occasionale non deve essere praticato nello stesso letto dove si dorme insieme. Se, per un impulso incontrollabile, ciò dovesse accadere, si dovrà provvedere a sostituire le lenzuola e le federe copri-cuscino con altre lavate.

Tutti gli intervistati sottolineano l’importanza di praticare sesso sicuro e protetto dal profilattico nei rapporti con altri. Questo atteggiamento dimostra come la comunità gay abbia interiorizzato il pericolo derivante dalle malattie a trasmissione sessuale [6].

La condizione sierologica delle coppie è eterogenea: abbiamo coppie dove entrambi i compagni sono sieronegativi, altre con i due componenti sieropositivi e, una terza, composta da partner siero-discordanti (uno è sieropositivo e l’altro sieronegativo). La condizione sierologia è riferita al virus dell’immuno-deficienza umana H.I.V..

E’ diventato un luogo comune sostenere che l’AIDS ha portato le persone gay a cercare il rapporto stabile e monogamo.

Le testimonianze sopra riportate ci rivelano che i rapporti sessuali extra-coppia sono ancora praticati. Probabilmente l’AIDS non ha stimolato la creazione di relazioni stabili ma le ha rese più visibili perché la condizione di sieropositività o di malattia a portato le persone ad un rapporto meno ipocrita con la famiglia e con la realtà sociale.


Sesso


Non sono stati riportati, almeno nelle intenzioni, comportamenti sessuali ruolizzati. All’interno della relazione ogni membro fa ciò che più gli piace senza che i comportamenti diventino consolidati. Ogni forma di espressione sessuale è accettata. All’interno della relazione non sono presenti giudizi morali sui comportamenti sessuali adottati. I partner ricorrono all’utilizzo di supporti per stimolare la fantasia erotica. E’ stato riferito che nei comportamenti sessuali estremi il piacere sessuale è determinato non tanto dalla manipolazione del corpo ma dall’eccitazione mentale.

Nessuno degli intervistati ha mai utilizzato i termini dicotomici di attivo e passivo, praticato e subito poiché riconoscono queste categorie come fittizie. I giochi nascono dal desiderio di entrambi i partner, quindi nessuno subisce e nessuno impone. Una sola persona ha riferito che il suo rapporto, sia relazionale e sia sessuale, si basa su un modello sado-masochista, caratterizzato da un’alternanza di sottomissione ad una di dominio.

Non c’è una zona della casa deputata esclusivamente allo svolgimento dell’atto sessuale. La fantasia e l’eccitazione del momento sono l’unica regola seguita.

Ambiente e gestione della casa


Le persone contattate praticano due diversi tipi di convivenza. La prima è una convivenza che potremmo definire classica. Essa consiste nel vivere insieme in una sola abitazione. Questa soluzione comporta un notevole risparmio di soldi e una gestione razionale del proprio tempo poiché tutti gli oggetti personali dei partner si trovano nella stessa casa.

La seconda, ed è la forma che interessa la maggioranza degli intervistati, vive una situazione di coppia e di convivenza ma in due case diverse. Possiamo definirla convivenza a tutti gli effetti perché le persone dormono e svolgono le pratiche quotidiane insieme alternandosi prima nell’appartamento di un partner e successivamente in quello dell’altro. La durata della permanenza in una casa è determinata dalla casualità o dagli impegni di ogni singolo componente, come ad esempio, finire dei lavori al proprio computer, prendere dei libri, bagnare le piante, rifornirsi di indumenti e biancheria.

Sono state date diverse spiegazioni a giustificazione di questo modo di convivere. Una e legata all’assenza di un riconoscimento giuridico delle coppie gay. Il partner che all’inizio della convivenza abbandona il proprio appartamento per recarsi in quello del compagno, nel caso in cui la relazione dovesse terminare, si ritroverebbe senza una casa dove vivere e senza nessuna tutela. Le persone hanno, così, bisogno di crearsi una sicurezza, raggiungibile attraverso il mantenimento della propria abitazione.

Questa soluzione comporta costi maggiori perché bisogna pagare due canoni di locazione o due mutui, bisogna spostarsi per raggiungere le due case, significa avere doppio arredamento, doppi casalinghi, doppie spese condominiali, ecc… Bisogna avere anche più tempo e più energie a disposizione per interessarsi attivamente agli appartamenti.

Un’altra ragione addotta per spiegare il mantenimento di due case separate è che a Milano gli appartamenti, che la coppia potrebbe permettersi di pagare, sono troppo piccoli. I partner si sentirebbero privati del loro spazio vitale. Inoltre è stata riportata una posizione di comodo: quando ci si sente stretti nel rapporto a due, si migra da soli per qualche giorno nel proprio appartamento, giustificandosi con ragioni banali. Vorrei ricordare che alle persone intervistate è possibile mantenere due appartamenti perché possiedono un reddito medio alto. Se così non fosse stato, tutti riferiscono che avrebbero optato per la convivenza congiunta.

All’interno della casa formalmente non esistono luoghi di maggiore pertinenza di un componente della coppia. Esistono interessi diversi tra le persone che le porta ad occuparsi di compiti diversi. C’è chi passa più tempo al computer e chi si occupa di manutenzione dell’appartamento. E’ stato riferito che sono pochi i momenti in cui l’occupazione di uno spazio o l’utilizzo di un oggetto interessa entrambi. Quando questa situazione si presenta si media basandosi sul criterio di priorità.

Per quanto riguarda la gestione della quotidianità si ricorre a regole, spesso esplicitate, che si rifanno alle preferenze personali. Chi cucina non lava i piatti e la pulizia della casa è eseguita da entrambi. La spesa al supermercato è eseguita da entrambi sia insieme, sia in momenti separati. Le regole non sono rigide ma variano in base agli impegni personali.

Per quanto concerne la vita sociale e culturale, la frequentazione di cinema, teatro, conferenze e amicizie avviene sia in forma congiunta sia separatamente. La coppia ha in prevalenza amicizie in comune.


Rapporti economici


All’interno delle coppie esaminate si osservano atteggiamenti diversi in relazione alla gestione del patrimonio monetario ed immobiliare.

Alcune coppie praticano la comunione dei beni. Lo stipendio di entrambi è messo a disposizione dei partner ed in caso di acquisto della casa, questa è co-intestata. In mancanza di una legislazione che tuteli i conviventi, la percentuale di proprietà è registrata al momento dell’acquisto, come le altre le singole proprietà di valore di uno dei partner. Questo accorgimento è utilizzato per evitare che in caso di separazione nascano dei conflitti. Uguale accorgimento è utilizzato in caso di attività professionale in comune.

Altre coppie ricorrono a conti bancari separati con, in aggiunta, un conto comune dove depositare i soldi da utilizzare per la gestione della quotidianità. I partner mantengono separata la proprietà degli oggetti presenti in casa. Una variante è avere una gestione delle risorse completamente separata ma dove entrambi concorrono al pagamento delle spese comuni, senza il conto bancario co-intestato.

Tutte le persone contattate hanno posto l’accento sull’esiguità dell’importanza riconosciuta al denaro all’interno della coppia, anche se bisogna rilevare che si tratta di relazioni in cui entrambi i partner svolgono un’attività professionale che li rende indipendenti economicamente. Per tutti è valida la regola del “mutuo soccorso”. Quando il compagno si trova in una situazione di difficoltà economica, l’altro è pronto ad intervenire in suo aiuto.

In mancanza di una legislatura adeguata, le persone sperimentano forme di autotutela per evitare che, in caso di morte di uno dei membri della relazione, la famiglia di origine si impossessi dei beni acquistati insieme nel corso di una vita o che si impossessi dei risparmi comuni. E’ possibile ricorrere al testamento olografo o ad una dichiarazione notarile.

Le persone hanno dichiarato che se anche in Italia fosse possibile registrare civilmente la propria unione, sul modello del Pacs francese (Patto Civile di Solidarietà), vi ricorrerebbero. Questa scelta non è determinata dal desiderio di essere accettati socialmente ma dall’esigenza di sentirsi tutelati.


Rapporti di parentela


Dai colloqui emerge che per le famiglie del nord Italia è più facile accettare l’omosessualità del figlio. Le stesse persone omosessuali frequentano con il proprio compagno la famiglia di origine. Per la maggioranza dei gay del sud trapiantati a Milano appare impossibile parlare ai propri genitori della loro relazione di coppia. E’ stato riportato che anche in presenza di una evidente relazione tra il figlio ed il suo compagno, la famiglia continua a relazionarsi con il partner come se fosse un semplice amico.

Alessandro Duranti scrive che la comunicazione linguistica non serve solo a descrivere la realtà ma anche a costruirla (Duranti 1992:16). Il dare un nome al compagno acquista per la persona gay il significato di essere accettato e di fare accettare dai parenti e dagli amici la propria relazione sentimentale.

Considerando ciò riporto i termini di parentela usati maggiormente.

All’interno delle relazioni accettate dalla famiglia, i genitori o i parenti più prossimi chiamano il compagno del figlio con il nome anagrafico.

I componenti della relazione gay chiamano il loro compagno con il nome anagrafico nelle situazioni ufficiali, esempio in presenza dei genitori o di persone con le quali non c’è confidenza, mentre con i colleghi di lavoro o in situazioni più amicali si utilizzano espressioni del tipo il mio compagno, il mio partner, il mio fidanzato. Tra amici ed in situazioni informali si utilizzano termini quali mio marito, la mia marita, il mio compagno, il mio fidanzato , la mia fidanzata, mia moglie. E’ interessante notare l’uso del pronome possessivo, come a volere sottolineare l’unione con l’altro. Possiamo interpretarlo anche come sopravvivenza di un costume che lega il sentimento per una persona al suo possesso. Dai nipoti, i componenti della coppia sono chiamati entrambi zio oppure è chiamato zio solo quello biologico ed al compagno si riserva l’uso del nome anagrafico aggiungendo “l’amico di mio zio” (es. zio Luigi e Gino, l’amico di mio zio Luigi).


Rapporto con la malattia


La condizione di malattia è ben presente nel panorama delle coppie gay. Tutte le persone con cui mi sono incontrato hanno riportato di essere pronte ad aiutare il proprio partner qualora si dovesse trovare in condizioni di malattia o di sofferenza. Questa mutua assistenza non è presente solo nelle relazioni più durature ma anche in quelle di più recente formazione.

La mancanza di supporti sociali e, in alcuni casi, famigliari ha portato la coppia gay ad essere disincantata nel percepire se stessa come immortale. In caso di bisogno si può contare solo sul partner o sulle amicizie. Non tutti possono affidarsi al sostegno famigliare.

L’AIDS ha colpito in maniera devastante la comunità omosessuale. Tutte le persone incontrate hanno riferito di avere amici sieropositivi al virus hiv e che hanno perso amici o compagni a causa dell’AIDS. Alcuni di loro sono stati contagiati dal virus. Di riflesso, anche la caducità dell’esistenza e la presenza della morte è parte dell’orizzonte relazionale omosessuale (è parte dell’orizzonte di tutti gli umani, ma spesso si dimentica).

E’ stato confermato dalle persone da me contattate che capita ancora, soprattutto al sud, che in caso di malattia grave che anticipa la morte il compagno sia escluso dall’assistenza del partner. La famiglia, anche se è stata assente per decenni, si riappropria del corpo del malato negando al compagno la possibilità di trascorrere gli ultimi momenti con la persona più importante della sua vita.

I due maggiori centri ospedalieri milanesi che assistono le persone sieropositive o in AIDS conclamato riconoscono il partner (anche di sesso opposto) come interlocutore prioritario nel rapporto con il medico e per prestare l’assistenza alla persona ricoverata. Ciò è reso possibile dalla sottoscrizione, operata dalla persona in cura, di un documento in cui si autorizza la persona nominata ad essere il referente principale. Probabilmente questo cambiamento è dovuto alla diversa composizione sociale e di orientamento sessuale di molte persone in cura presso quei centri medici.


Concludendo


Il panorama della realtà gay ci appare differenziato tra la situazione presente al sud e quella presente al nord della penisola.

La realtà del sud presenta un tipo di omosessualità legata al concetto di omosessualità mediterranea, caratterizzato da forti pressioni sociali che inibiscono la sua rappresentazione nei luoghi pubblici, una deplorazione dei comportamenti omofili ma che, al contempo, è accettata come rito di passaggio tra l’auto-erotismo adolescenziale e la maturità sessuale, pensata solo all’interno della relazione eterosessuale. Gli omosessuali meridionali emigrano verso Roma o le grandi città del nord per poter vivere serenamente. Il costume sociale, presente nelle piccole comunità, vede la donna portatrice del concetto di onore famigliare, rendendola non autonoma nelle scelte sessuali al di fuori del matrimonio. Questi atteggiamenti sono supportati da una ideologia maschilista che discrimina i comportamenti autonomi sia delle donne, sia degli omosessuali. Questa ideologia è assunta come naturale e insita nel comportamento umano, anche se essa è invece il frutto di una costruzione sociale che legittima la sua esistenza e la sua replicazione. La sua replicazione è funzionale al paradigma economico, sociale e culturale esistente. Lo stato stesso attua politiche discriminatorie nei confronti dei soggetti omosessuali, dando luogo ad un diverso accesso alle risorse collettive.

Dai colloqui intercorsi emerge che la mancanza di un modello di relazione gay e di un supporto famigliare ha portato alla costruzione di rapporti di coppia diversi da quelli che riguardano la maggioranza della popolazione eterosessuale. I concetti di onore, vergogna e quelli legati alla sfera sessuale sono o assenti o molto attenuati. Le stesse relazioni sessuali all’interno della coppia accettano la presenza di eventuali relazioni sessuali con altre persone, anche tra i partner ed una terza persona. I rapporti esterni alla coppia sono regolamentati da condizioni concordate congiuntamente. Nelle relazioni con altri si pratica il sesso sicuro, cioè prestando attenzione a non rimanere contagiati da malattie a trasmissione sessuale.

La mancanza di un riconoscimento legale dell’unione gay porta i componenti della coppia a trovare forme di autotutela economica che li protegga nel caso in cui la relazione dovesse terminare o dalla situazione in cui uno dei partner dovesse morire.

Le persone ricorrono spesso al confronto ed al dialogo per appianare e ridurre le tensioni che nascono all’interno della coppia. Il timore di vedere finire la relazione all’improvviso porta i partner ad essere molto rispettosi verso il loro compagno.

Non esistono ruoli sessuali prestabiliti. Le categorie di attivo e passivo utilizzate nel mondo eterosessuale non sono riconosciute.

Non viene riportato un diverso uso degli spazi domestici. I compiti legati alla gestione della casa sono affrontati insieme. Anche la vita sociale esterna alla coppia viene vissuta in modo paritario, sia insieme, sia separatamente.

Poca importanza viene riconosciuta al denaro all’interno della coppia. Vige la norma del mutuo soccorso in caso di indisponibilità finanziaria di uno dei partner. La gestione delle risorse finanziarie, in situazione di normalità, è caratterizzata da modi che tutelano entrambi.

E’ da rilevare che le persone contattate preferiscono “convivere” mantenendo ognuna la propria abitazione. Anche questo comportamento è derivato dal bisogno dei singoli componenti di sentirsi protetti nel caso in cui la relazione dovesse terminare.

La mancanza di leggi a tutela della coppia gay influisce anche nel rapporto con la malattia. E’ presente il timore di non poter assistere il proprio compagno in caso di bisogno di quest’ultimo poiché , legalmente, la tutela spetta alla famiglia, anche se si è in presenza di rottura totale dei rapporti tra la persona gay ed i suoi parenti. L’AIDS ha portato ad una consapevolezza maggiore della caducità dell’essere umano, influenzando i comportamenti relazionali interni alla comunità omosessuale.

Sono riportate distorsioni nell’utilizzo dei termini che indicano il rapporto di parentela e ci si relaziona con il partner usando la terminologia eterosessuale. Non esistono termini specifici che indicano la posizione del compagno nei rapporti con la famiglia del partner.

Possiamo concludere riportando una riflessione di Roland Barthes. L’autore nei Frammenti di un discorso amoroso sostiene che quello di osceno è un concetto che ormai si attribuisce più al sentimento che al sesso. Osservando la realtà delle coppie gay questo è senz’altro vero.

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