Un bimbo discolo e i turbamenti di Cherubini

5 maggio 2005, "Teatro lirico di Cagliari. Stagione concertistica 1998-99", programma di sala per il concerto del 6-7 novembre 1998, Cagliari: Scuola Sarda, 1998; frammento relativo all'"ouverture" dell'opera "Anacréon" (1803) di Luigi Cherubini (1760-1842)

Gli anni francesi in cui Cherubini si fa conoscere e apprezzare coincidono grosso modo con il decennio rivoluzionario (da cui i successivi quindici anni Napoleonici). È un lungo periodo di grandi mutazioni e seppur la sua fama cresce e si diffonde anche all'estero, l'instabilità politica non lo aiuta a consolidare una posizione pubblica riconosciuta (che invece gli tributerà con tutti gli onori la restaurazione monarchica).

È nel momento della grande ascesa napoleonica che Cherubini scrive Anacréon e, seppure il bel mondo lo abbia visto conversare amabilmente con colui che di lì a un anno si sarebbe autoincoronato imperatore, tuttavia l'opera si rivelerà un insuccesso senza precedenti, tanto che Cherubini preferirà poi allontanarsi qualche tempo da Parigi.


È innegabile che il fallimento di Anacréon, considerato dalla critica più recente il suo lavoro più lirico e musicalmente originale, abbia risentito delle continue querelle che tanto andavano di moda fra gli intellettuali parigini (nello specifico Cherubini aveva avallato il licenziamento di un insegnante di conservatorio inimicandosi l'ambiente accademico). Ma non vi è dubbio che il soggetto dell'opera, così coinvolgente per il suo autore, aveva compromesso quel sano distacco che serve al compositore per mettere insieme un lavoro di ampio respiro. Il pubblico francese non seppe apprezzare quell'opera senza una vera trama, senza colpi di scena e senza situazioni emotivamente drammatiche (a parte l'episodio della tempesta). Il lirismo aulico e pastorale, quasi post-arcadico, in una storia dove nulla accade se non struggimenti taciuti e compianti languori, non furono gli ingredienti che più potevano coinvolgere una platea tutta scossa da sommovimenti politici continui, disposta a infuocarsi solo al sentire parole come patria, libertà, rivoluzione (nel bene e nel male). E invece Cherubini era tutto preso dalle vicende di Ancreonte - poeta greco e filosofo dell'amore intento a contemplare l'adolescenza nel suo primo ardore - tanto da perdere di vista le esigenze drammaturgiche dello spettacolo.


Val la pena dire due cose su Anacreonte perché meglio poi si comprenderanno le atmosfere evocate nell'ouverture, sorta di nucleo generatore di tutta l'opera (dove si descrive l'apparizione di un temporale che squassa la pace campestre per poi svanire così com'è arrivato). Vissuto fra il vi e il v secolo a.C. Anacreonte, apprezzato in varie corti elleniche fra cui nella Samo di Policrate, scrisse carmi ed epigrammi, in genere conviviali o erotici (di cui restano un centinaio di frammenti) e dove si canta un amore soprattutto sensuale, gioviale, poco incline all'introspezione e agli idealismi elevati.

Fu riscoperto e apprezzato in epoca rinascimentale che (complice la stampa) lo fece conoscere a un ampio pubblico di lettori. Nel 1554 Henri Estienne pubblicò una raccolta di poesie tratte da un'antologia manoscritta (pubblicata integralmente nel 1606 sempre in Francia come Antologia palatina). La raccolta fu erroneamente ascritta al nostro e si conobbe come Anacreontéa. Da qui si produsse una forma poetica, l'anacreontica, caratterizzata dal verso breve e dai contenuti amorosi e lievi, che ebbe straordinario successo.


È da aggiungere che Anacreonte - che si dilettava con l'uno e l'altro sesso (purché fanciullesco) - divenne già dal Seicento la personificazione del piacere gaudente e del libertinismo compiaciuto; Batillo - il giovinetto di Samo intensamente amato dal poeta - emblema di depravazione.

L'Anacreonte tiranno, dramma per musica del 1678 su libretto di Bussani, mostra il protagonista, trasformato da poeta in monarca, dissoluto ed efferato al pari di un Nerone. Più clementi i giudizi settecenteschi: Rameau poté utilizzarlo come soggetto di due sue opere di carattere amoroso (Anacréon del 1754 e Les surprises de l'amour del 1757) e anche Grétry (Anacréon chez Polycrate), nel 1797, proporrà un personaggio assai mite e giudizioso, al più intento a commuoversi, ma senza eccessivi coinvolgimenti, per il giovane Lisandro.

Cherubini conobbe l'opera di Grétry e presumibilmente ne rimase affascinato se solo sei anni dopo volle recuperare il medesimo soggetto. Le liriche di Anacreonte gli erano note anche attraverso le conversazioni con l'amico Baptiste Gail, famoso grecista ed editore di alcuni epigrammi del poeta di Samo (di cui due musicati dallo stesso Cherubini).


Il libretto di Mendouze riesce a mascherare la licenziosità di Anacreonte con una soluzione assi più raffinata di quella usata per Grétry. Qui il poeta infatti canta il suo più civile amore per la giovane Corine, amore per altro idealizzato: il vero oggetto del desiderio è però spostato sul dio Amore (e infatti l'opera per intero s'intitola Anacréon ou l'Amour fugitif) che non è semplice strumento drammaturgico per riaccendere la passione fra i due amanti, ma esso stesso fanciullo da inseguire e amare. In questo modo ogni struggimento di Ancreonte per Amore diventa, per la tranquillità dello spettatore, metafora del sentimento per Corine (Batillo è relegato ad amico di contorno ma anch'egli si serve di Amore per ricongiungersi all'amata Glycère).


Nell'atmosfera bucolica in cui questa storia s'inserisce l'amore per Corine mantiene tutta la sua pastorale rispettabilità, mentre quello non espresso e struggente per il dio bendato s'insinua nella trama quasi inconsapevolmente.

Tale passione, poiché taciuta (forse anche a se stesso), è qualcosa che scuote all'interno indicibili passioni, è il dramma vero e proprio, è un'angoscia muta che dirompe all'improvviso, un'angoscia non certo per Anacreonte ma probabilmente per Cherubini che sentiva di vivere intimamente le vicende di quest'opera.

Questa passione, così poco civile, cosi poco controllabile, è in fondo rappresentata proprio dalla tempesta veemente che scuote la pace della giornata poetica di Anacreonte, quella tempesta da cui, guarda caso, scaturirà un giovinetto impaurito e bagnato, subito accolto e soccorso dal poeta, che scopriremo chiamarsi Amore. Non solo perché l'intemperia atmosferica si staglia su tutta l'opera come altro, o perché quella tempesta è fra le cose scritte con maggiore perizia, ma perché in un lavoro dove è escluso consapevolmente lo stratagemma scenico un temporale è altrimenti inutile se non si carica di significati simbolici.


L'ouverture, come si diceva, è l'anticipazione di tal tempesta. Qui con perizia di orchestratore raramente raggiunta in altre sinfonie teatrali Cherubini riesce prima a distendere lo sguardo sulla campagna dove Anacreonte verseggia e canta i suoi amori, per poi trasformare gradualmente quello che sembra un crescendo dello slancio lirico in un cataclisma di terrore; tempesta interiore che mostra impudica angosce che si speravano rimosse.

Se al contrario ci limitano ad osservarla come ammirevole pagina descrittiva, sorta di affresco atmosferico, riduciamo ai minimi termini il pensiero compositivo di Cherubini. Né ci consola sapere che con quest'ouverture il compositore avrebbe anticipato di qualche anno la Pastorale beethoveniana. Perché un compositore non "anticipa" (semmai altri raccoglieranno la sua semina), perché le intenzioni della grandiosa Sesta sinfonia vanno in altre direzioni rispetto all'ouverture di Cherubini e perché se tale la consideriamo, un bell'esempio di pittura musicale alla Turner, allora la pagina di Beethoven, passibile o meno di precedenti, è assai più riuscita.


L'opera, si diceva, fu un fiasco solenne, ma l'ouverture piacque, e più volte poté essere ascoltata in concerto (almeno fino a prima della guerra). Fu edita separatamente e godette di più riduzioni, soprattutto per pianoforte, secondo l'uso tutto ottocentesco di rendere nota una musica attraverso edizioni destinate ad amatori e dilettanti.
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