Fra' Galgario. La seduzione del ritratto nel '700 europeo

9 luglio 2005, "Pride", gennaio 2004

Il conte Francesco Maria Tassi compose, a pochi anni dalla morte di Fra' Galgario (1655-1743), la prima biografia del famoso ritrattista bergamasco. In essa, dopo essersi sperticato in lodi verso l'artista, sceglie di ricordare, di sicuro senza alcun intento ingiurioso, che fu sempre poco inclinato a dipingere donne, e poche ne ha dipinte rispetto al grandissimo numero de' ritratti realizzati nel corso della sua lunga vita. Ci ricorda inoltre che fu uomo assai religioso, umile e ritirato. E infine conclude che fu molto co' suoi scolari amorevole, i quali trascorsero più tempo organizzando scherzi ai danni del maestro che applicandosi nello studio, e in fatti di tanti che hanno frequentata quella scuola, a niuno quasi è riuscito di avvicinarsi al suo bel modo di colorire.

Sono osservazioni che si concentrano nella parte finale della biografia, come se il Tassi, dopo avere minuziosamente riferito della vicenda professionale dell'artista, avesse voluto concludere pure lui con un ritratto, con una vivace rappresentazione della personalità di Fra' Galgario. Poteva tacere, poteva raccontare altro, sceglie invece di dipingerlo con i tratti di un frate un po' timido, un po' misogino e allo stesso tempo premuroso e paziente con i suoi allievi. Dubito che il conte Tassi intendesse con tali osservazioni avvertirci di quale tenore fossero le intime emozione di Fra' Galgario, probabilmente si è semplicemente compiaciuto di accostare la maestria dell'artista con la riservatezza e insicurezza dell'essere umano. Mi pare quindi che il medaglione confezionato dal Tassi non ci permetta, da solo, di ipotizzare in Fra' Galgario un desiderio omosessuale, ma ci sono i quadri, quelli sì che sono decisivi. Una serie cospicua, ben rappresentata nella mostra di Bergamo, di splendidi ritratti di ragazzi, opere emozionanti davanti alle quali immaginiamo il pittore emozionato nell'atto di ritrarre il suo modello, nell'atto di respirarlo direbbe Giovanni Testori.

A chi vorrà visitare la mostra consiglio di confrontare le opere che incontrerà nelle varie sale tenendo a mente il commento chiarificatore di Federico Zeri: "quanto agli uomini l'intensità qualitativa delle singole tele diminuisce in rapporto con le loro età e i molti esemplari di giovinetti e ragazzi si muovono in orbite concentriche attorno a un ideale modello dai grandi occhioni e dalle labbra carnose e ricurve". A osservare attentamente si ha la sensazione che certi modelli beneficino dell'ammirazione dell'artista, e che grazie ad essa siano nate immagini palpitanti, commoventi, capaci di destare intense emozioni nello spettatore sensibile.

Sempre il Tassi ci ricorda che proprio questi quadri ebbero un successo strepitoso, all'estero Fra' Galgario divenne famoso quasi esclusivamente grazie a queste bizzarre teste di giovinetti. La bizzarria consisteva nell'aver abbigliato i modelli con indumenti sgargianti e cappelli improbabili, o, anche, di averli atteggiati in pose, un po' seriose, di artisti alle prime prese con pennelli o scalpelli. A causa di questi travestimenti si è detto che in realtà non sarebbero ritratti, ma quadri di genere, rappresentazioni di figure idealizzate e in certo qual modo standardizzate, quadri insomma che ben poco avrebbero a che fare con le emozioni del pittore, tanto più che sarebbero stati replicati in grande quantità, molto più per istanza di insistenti collezionisti che per volontà dell'artista. Come dire che Fra' Galgario, fosse stato per lui, non ne avrebbe dipinti così tanti. Ma se un tempo la critica trascurava spesso il potere del committente nella genesi di un'opera, adesso ho l'impressione che esageri nel verso opposto. L'alto gradimento dei collezionisti per le teste di giovinetto del frate bergamasco è certo, ma per scatenare le voglie dei committenti ci devono essere stati dei prototipi (penso al Ragazzo col cappello piumato del Museo Poldi Pezzoli), ci deve pure essere stata, all'inizio, qualche testa di ragazzo dipinta per pura voglia da Fra' Galgario, e in più il Tassi, del quale nessuno studioso moderno mette in dubbio le parole, ci garantisce che egli sempre copiava dal naturale!

Strani effetti ha prodotto il realismo di Fra' Galgario, lo stesso rigoroso realismo ha infatti spinto noi moderni a considerare i giovinetti ritratti non veri, troppo belli, idealizzati; e a ritenere invece i vecchi così brutti, flaccidi e terrei da ipotizzare che siano esagerazioni grottesche dettate da un desiderio di critica sociale. Insomma né i brutti né i belli corrisponderebbero al vero! Molto più probabilmente Fra' Galgario è così bravo, i suoi belli e i suoi brutti sono così intensi che non ne reggiamo lo sguardo, ci sembra di sentire l'odore della loro pelle, il loro fiato, e magari qualcuno dei loro pensieri, e così finiamo col pensare che siano eccessivi, e quindi innaturali.


Strepitoso in questi termini è il ritratto di Giovanni Secco Suardo col servo, uno dei pochi ritratti di coppia realizzati da Fra' Galgario,. Se il genere del ritratto di coppia prevede accostati padre e figlio, oppure due colleghi, o anche maestro e allievo non c'è da stupirsi, ma nel caso del servo viene da chiedersi che cosa abbia spinto il giovane signore ad accogliere nel suo ritratto quello che dall'aspetto potrebbe essere il proprio attendente. Ancora una volta si è proposto di svuotare di senso quel viso in secondo piano sostenendo che sarebbe nient'altro che un equivalente respirante di un busto scolpito, spesso presente in altri ritratti con funzione decorativa o allusiva della cultura del rappresentato. Non credo. Rimangono ovviamente gli interrogativi, per altro parte integrante del fascino dell'opera. Se infatti il ritratto di coppia è la rappresentazione di una relazione, di che tenore è la relazione tra questo servo dal viso segnato dagli anni e dalle esperienze e il signore giovane e molliccio, senza parrucca e in sontuosi abiti da camera? Quel che è del tutto fuori di dubbio è che il quadro non emanerebbe affatto tanto fascino se mancasse quella testa di vecchio.
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