Mi è capitata tra le mani l'autobiografia del pittore e letterato fascista toscano Ardengo Soffici (1879-1964), edita da Vallecchi nel 1968, nella quale ho trovato gran bel pane per le mie fauci.
Soffici è più celebre per i suoi scritti sull'arte, specie sul cubismo e futurismo, apparsi su "Lacerba" e "La Voce", che per i suoi quadri d'una tristezza sconsolata ed insignificante. Paesaggetti evaporati e stanchi senza guizzi creativi particolari.
Tra le pagine dedicate al suo soggiorno bohémien parigino, tra il 1900 e il 1907, in pieno fervore del movimento pittorico cubista, Soffici si lascia andare a pettegolezzi irrefrenabili su alcuni "colleghi" dei boulevards. Per fortuna che non si fece i fattacci suoi, così oggi possiamo goderne ampiamente.
Soffici dedica ben quattro pagine allo sputtanamento dei suoi amici ebrei polacchi, per di più anarchici, che in quei giorni affollavano raduni, simposi e caffè. Ad esempio, dice dello scrittore Mécislas Golberg, tisico all'ultimo stadio: "(...) Ribelle nell'anima, in rivolta contro l'intera società filistea dell'epoca e la sua morale ipocrita (e questo anche a cagione di certe sue occulte tendenze, diciamo così, troppo "greche", quali s'indovinavano da talune sue Lettres à Alexis) Golberg stava scrivendo in quel periodo una tragedia intitolata Prométhée déchainé - o qualcosa di simile - della quale mi parlava spesso e che diceva di volermi leggere appena l'avesse terminata. Terminata che l'ebbe, mi disse infatti un giorno d'andare la sera a casa sua, che era nella Cité Bosquet, per udirne insieme ad altri invitati, la lettura. Ora fu quella sera che mi accadde di assistere a una scena talmente sconcertante, ripugnante, inconcepibile, che sempre ne ho serbato e ne serbo la nauseosa impressione. La misera stanza del poeta polacco, immersa in una mezza oscurità piena di fumo di tabacco, era, quando v'entrai, già popolata di molti ascoltatori raccolti accanto alla tavola dove l'autore, rischiarato da una candela ritta in un bicchiere, si teneva pronto col suo manoscritto davanti.
V'erano tra costoro, seduti stretti l'uno accanto all'altro, due fratelli gemelli, che subito riconobbi per averli incontrati più e più volte per le vie del Quartier Latin, dov'essi godevano di una curiosa notorietà dovuta al loro aspetto singolare, che li faceva distinguere in mezzo a tutti gli altri passanti. Somigliantissimi tra di loro, di uguale statura, con lunghi capelli e barbe nerissime tenute a un modo, l'abito all'artista, di velluto marrone dai calzoni rigonfi d'identico taglio, i due se ne andavano sempre a braccetto con aria beata, esempio, la gente pensava, di edificante amor fraterno; ognuno si voltava sorpreso e ammirato al loro passaggio. Adesso se ne stavano seduti come ho detto, intenti al poeta, al pari di tutta la compagnia.
E la lettura incominciò. Con voce grave sapientemente modulata, la tremula mano tesa in avanti con lenti moti quasi a secondarne il ritmo (...) Gli ascoltatori ne seguivano il corso in perfetto silenzio, e anch'io pendevo dalle labbra del lettore allorché, volto un tratto a caso lo sguardo sui due gemelli, ciò che mi accadde di vedere mi sconvolse la mente. Immobili in una zona d'ombra, l'un d'essi teneva la testa appoggiata languidamente sulla spalla dell'altro, i loro corpi si premevano come quelli di due innamorati, mentre scambievolmente le pallide mani d'entrambi s'indugiavano carezzevoli sopra un punto che, per dirla con Dante, il tacere è bello.
Urca! Dopo aver descritto tutto il suo disgusto, Ardengo Soffici, non pago, attacca il racconto sull'amico scrittore e commerciante d'arte Adolphe Basler: "(...) Lo vedevo sempre in compagnia di un perticone duro e torvo, conosciuto col nome dell'Hongrois, di un giovane polacco smilzo biondo, effeminato, e del giovane Charles Doury, promettente scrittore di fine ingegno. (...) Tra Doury e il biondo filustrello polacco correvano strani rapporti; ed io che me n'ero accorto al pari d'ogni altro n'ebbi la conferma, e capii anche di che genere essi fossero un giorno che, invitato da lui, andai a cercarlo in casa sua.
Essendo arrivato forse un poco in anticipo, dopo aver bussato e
ribussato alla porta dovetti rimanere parecchi minuti sul pianerottolo, senza che alcuno venisse ad aprire. Finalmente la porta si socchiuse, e nella stretta apertura tra i due battenti io vidi apparirmi i capelli scarmigliati e la faccia sudata, infocata di Doury in pigiama, il quale mi disse: 'Vi chiedo perdono, ma ho qui il piccolo polacco. Vi raggiungeremo al più presto al caffè'. Mi dispiace di dovere ogni tanto parlare di siffatte cose poco edificanti, mettere il dito su queste piaghe; ma anch'esse contribuiscono alla verità del quadro del mio tempo; non solo, ma fanno parte della mia esperienza con tutte le reazioni e considerazioni, in un senso e nell'altro, che possono conseguirne; non foss'altro che per un paragone tra i costumi di quell'epoca e della presente".
A me però non sembra che tali episodi siano scioccanti a tale punto: penso che ne abbia visti di ben più spinti ma riguardanti suoi "intimi" amici e perciò non riferibili. Infatti, evita di riferire scandali su personaggi come il suo caro amico Pablo Picasso (1881-1973) che, donnaiolo indefesso, amava circondarsi di gay, tanto da autodefinirsi "omosessuale onorario". è certo che dal 1902 abitò a Parigi, ventunenne povero e sconosciuto, nella casa del poeta omosessuale Max Jacob (1876-1944), condividendone l'unico letto. I due, poi, rimasero per sempre amici. Jacob, ebreo, uso a drogarsi sniffando l'etere, anni dopo incominciò ad avere le visioni di Gesù Cristo, in salotto, che lo chiamava al cattolicesimo seduto sul bordo del divano. Ciò non gli evitò di scomparire atrocemente in un lager nazista.
è restato anche un carteggio, del 1908, tra Picasso e il giovane collega Juan Gris (1887-1927) in cui la loro affinità elettiva sfociò in dichiarazioni d'amore. Anche i loro quadri erano talmente simili da indurre in errore gli estimatori. Loro stessi se li scambiavano firmandoli a loro piacimento. In questi casi è bello giocare al tiro incrociato tra memoriali, non ultimo quello lasciato da Fernande Olivier, amante gelosa di Picasso dal 1904 al 1912, che lancia strali e calunnie verso Gris.
Ma Soffici non dice nulla neppure sulla colonia degli artisti italiani a Parigi, tra cui spicca il suo intimo amico toscano Umberto Brunelleschi, colui che poi affrescò con dolcissime scene erotiche gay la villa dello scandaloso barone Fersen a Capri. Così come non dedica che poche righe alla baronessa Hélène d'Oettingen, ricca anfitriona, pittrice e pitonessa del cubismo, senza scrivere che fu sua amante per ben sei anni e che probabilmente lo aiutò finanziariamente.
Nei suoi ricordi, però, Soffici dedica alcuni capitoli all'amicizia appassionata col fratello della baronne, il pittore cubista russo Serge Férat (1878-1958), nato conte Serghei Jastrebzoff.
Nel resoconto d'una loro lunga vacanza estiva nella campagna toscana, soli in un casolare (ma tiene molto a precisare: con due letti separati) Soffici, appena trentenne nel 1908, si lascia andare a deliri bucolico-erotico-artistici inaspettati: "Ogni mattina ci si alzava appena giorno, ci buttavamo sul corpo nudo un lenzuolo, e così paludati come in una toga correvamo a un boschetto dietro casa per farvi una doccia. (...) Sedendoci l'uno accanto all'altro su quel macigno levigato, ricevevamo quell'acqua sulla nuca, sulle spalle, giù per la schiena, e il fiotto ci faceva scorrer brividi di freddo e di piacere per tutto il corpo, ci strappava risa nervose, fino a suscitare in noi un'allegra esaltazione che aveva insieme dell'animalesco e del mistico.
Indicibile era infatti la voluttà di codesto lavacro all'aria aperta libera tra fiume e selva; così come indicibile delizia era poi, alzatici infine ed asciugatici vigorosamente l'un l'altro, quella di passeggiar col nostro lenzuolo addosso, a piedi nudi nell'erbetta molle (...) Ci si sentiva un poco come nello stato d'innocenza dei primi abitatori della terra. Tanto - voglio dire anche questa - che qualche mattina, accoccolati tra un fresco vellichio di fili d'erba, l'uno a fianco dell'altro, senza alcuna vergogna, parlando magari della nostra arte, ci liberavamo - basta - ; ammirati insieme d'un sùbito, prodigioso accorrere del ronzio di mosche verdi e dorate intorno a noi".
Che cosa avrà mai voluto dire? Giochi manuali? Constatazioni amichevoli senza impegno? Non c'è proprio "cubo" che tenga quando c'è il richiamo della foresta! Honny soit qui mal y pense...