Profilo biografico
Chi avesse visto Nicola Capasso, di aspetto austero e maestoso, senza dare alcun segno di animo lieto e giocondo non avrebbe mai immaginato che dietro la scorza accademica del professore, si nascondesse l'autore delle satire pungenti e divertenti che furono, con le battute e le facezie che egli raccontava di contorno, al centro delle feste di palazzo nella Napoli austriaca della prima metà del '700[1]. Nacque il 13 settembre del 1671 a Grumo Nevano, poco lontano dalla antica città di Atella, dove il genio comico-filosofico napoletano ebbe la prima ufficiale consacrazione in quelle buffonate, in dialetto osco, da cui è derivato il napoletano, che ebbero nome di atellane[2]. Giovanissimo iniziò gli studi al seminario e, senza dismettere l'abito talare, non prese mai i voti, forse schifato dall'ambiente corrotto del Sacro Real Colleggio che non mancò di denunciare nei suoi versi. Ottenne la prima cattedra a ventitrè anni, e una carriera accademica velocissima. «Tutte le cattedre egli sostenne con sommo plauso, e la sua naturale lepidezza gli attirò numeroso pubblico», scrisse lo storico Pietro Martorana[3], che ne stimò le doti di linguista, e la sua capacità di creazione.
Tra le sue opere la traduzione dell'Iliade in lingua napoletana, quel «travestimento di Omero, che, - affermò l'abate Galliani -, può sicuramente dirsi superiore a quanti in simil genere abbiansi in qualunque lingua»[4]. Era noto che fosse un simpatizzante del governo austriaco, e quando i Borbone tornarono a Napoli, non risparmiò di criticare il loro operato con punzecchiature e note sarcastiche. Ma non cospirò. Amava il ritiro nei suoi studi e nelle amicizie che coltivava con amore e dedizione, due su tutte quella per Giambattista Vico, e per Pietro Giannone, dei quali sono noti i problemi che ebbero ad affermare le proprie idee. Morì di calcoli renali, a settantaquattro anni, il 1745.
Alcune note della sua vita, il fatto che non si fosse mai sposato, il ritiro negli studi, la fede e forse l'animo provinciale, il fatto che scrisse satire in maggior numero contro un certo tipo amici, che sempre aprezzavano queste attenzioni (forse con l'animo di chi avendo "risolto" la propria identità, guardi l'altro che si cruccia in vuoti moralismi), e la rappresentazione nei suoi testi mai sconcia dell'atto omosessuale lasciano aperta la porta a studi critici che andrebbero svolti su questo come su altri scrittori napoletani. Ne uscirebbe un corpus letterario immenso che è certo locale se rapportato a quello di quest'ultimo secolo di storia comune, ma non si correrebbe il rischio di negare due volte L'Eroe.
Introduzione alle opere.
Metro. Le satire sono tutte formate da due quartine a rima chiusa ABBA e due terzine a rima incrociata BCB CDC.
La versione qui riportata segue l'edizione De Micillis del 1810 di Carlo Mormile, conservata alla biblioteca della Facoltà di Lettere dell'Università Federico II Napoli, con la notazione filologica del professor Angelo Manna[2].
Nicola Amenta è n'ommo coriuso
Nicola Amenta è n'ommo coriuso:
Nicola Amenta è un tipo strano:
seca, ma de pagà non se dà caso;
fotte ma di pagare non si da pena;
e co la scusa de portà n Parnaso
e con la scusa di diffondere la Poesia
fa ghì li peccerille a culo nfuso.
fa andare i ragazzini a culo bagnato.
S'è nchiavecato dinto a sso pertuso
Si è fissato con questo buco
ne se le pò parlà de l'auto vaso:
e non gli si può dir niente di quell'altro:
comme ca tanto nce ave spiso e spaso
come se ci avesse così tanto scialacquato
le resce meglio, e fa lo vertoluso...
da preferire questo qui, e fa il virtuoso...
È na schiattiglia - dice - otra le spese,
É un bastian contrario - dice - oltre le spese, con le donne
quanto te siente, nche buo' fà quaccosa,
quando hai voglia tu di farci qualcosa,
mo ca so prena e mo ch'aggio lo mese...
ora sono incinta, ora ho le regole...
Ver'è ca st'arte n'è troppo addorosa,
É anche vero che quest'opera non è profumatissima,
ma vaie da rasso da chiazza franzese,
ma stai al sicuro da sifilide,
senza no callo e frisco comm'a rrosa...
da stare senza soldi e stai fresco come una rosa...[7]
Febbo, si Cola chiamma, e tu fa nfenta
Febbo, si Cola chiamma, e tu fa nfenta,
Febo mio (Apollo mio), se Nicola ti chiama, tu fai il sordo,
no scenne, frato mio, ca non te preggio;
non scendere, amico mio, che non ti garantisco niente;
tu si' sbarbato e chillo va a lo sieggio,
tu non hai un pelo e quello va al seggio,
e la regola soja passa li trenta.
e il suo arnese supera i trenta (centimetri).
Chisso pe n' addorillo de semmenta
Questo qui per un po' di semenza
tene co tutte carte, e sia lo peggio:
fa carte con tutti, e fosse questo il peggio!
uno ch'ha parta doppia a lo Colleggio
manco uno che ci fa affari al Collegio
no sta securo de Nicola Amenta,
sta sicuro con Nicola Amenta,
penza tu mo, ch'hai aria de fegliulo,
figurati tu, che hai un'aria da bambino,
ca se te mpizza ll'uocchie lo masauto,
se ti mette gli occhi addosso,
te pò ncegnare lo festecchiarulo.
può sverginarti il sederino.
Febbo, fa a mmuodo mio: saglie cchiù nn'auto,
Febo, ascoltami: salitene di sopra,
ca si chisso t'acciaffa a ssulo a ssulo,
che se questo ti acchiappa a quattr'occhi,
peo de Fetonte te fa fà no sauto...
ti fa fare il salto di Fetonte...[8]
Già fice Col' Amenta Marco-sfila
I
Già fice Col' Amenta Marco-sfila
Morì all'improvviso[9] Nicola Amenta
lassanno tutto Napole marfuso,
lasciando tutta Napoli dispiaciuta,
pocca er' ommo saccente e bertoluso,
giacchè egli era persona colta e piena di virtù,
quarto de l' arte de lo nfila e sfila.
quarto nell'arte dell'infila e sfila
Ma creo che chella che la vita fila
Ma credo che la Parca che fila il destino
vegliaje no piezzo, e le scompì lo fuso
faticò non poco per spezzarglielo
co dire: Mora senza aprì pertuso
esclamando infine: che muoia di occlusione
chillo che tutte le pertose appila.
questo ottura-buchi.
Vi' che decreto fice! E le ddefese
Che sentenza! E neanche diritto di difesa
manco lle voze dà, ca si ll'aveva
volle concedergli, chè se gliel'avesse dato
er' abbele a fà chella cchiù cortese.
sapeva che quello sarebbe stato capace di intenerirla.
Nzomma, lo mutto antico che nce steva,
Insomma, l'antico proverbio che esisteva,
morenno allecordaje a sto paese:
morendo ricordò al paese:
ca si Cola cacava nun moreva...
se Nicola cacava nun mureva...
II
Lo scurisso è già muorto! O schiacco matto!
Povero lui è morto ! Scacco matto !
Preparateve o Muse a fà n'allucco;
Preparativi muse ad urlare sul cadavere;
p' ammasonarlo dinto a no trabbucco
per gettarlo dentro una fossa
venga Pacilio co lo tiro a quatto.
venga il becchino a fare il tiro a quattro
Negrecata la mamma che l'ha fatto,
Povera la mamma che lo partorì,
ch'ha perduto sto bello mammalucco;
che ha perso questo bel mammalucco;
l'arma se l'ha pegliata Berzabbucco
l'anima se l'è presa Belzebù
e Pisciazza n'ha fatto lo retratto...
e Pisciazza gli ha fatto il ritratto...
Scippammoce a sto trivolo vattuto[10],
Cessiamo questo piagnisteo,
e dammole pe ncienzo na sparata
e diamo al posto dell'incenso una sparata
de pedeta e de loffa a lo tauto.
di scorreggie e di loffe sulla.
Mmereta pe lamiente n' arragliata,
Merita una ragliata come lamento,
ed ognuno, pe signo de tributo,
ed ognuno, in segno di tributo,
faccia ncopp'a la fossa na cacata...
faccia sopra la fossa una cacata...
Bibliografia
Le opere di Nicola Capasso la maggior parte inedite... Carlo Mormile,Gregorio De Micillis, Napoli, Ed. Domenico Sangiacomo, 1811
Nicola Capasso, I sonetti editi ed inediti in dialetto napolitano di Nicola Capasso / annotati da Carlo Mormile e Luigi Chiurazzi, Napoli : tip. del progresso, 1876
Angelo Manna. L'inferno della poesia napoletana. Versi "proibiti" di poeti di ogni tempo, Ed. Del Delfino, Napoli, 1991
Pietro Martorana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napolitano. Bologna : Forni. 1972
Alberto Consiglio, Antologia dei poeti napoletani. Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1973
Raffaele Andreoli. Vocabolario Napoletano-Italiano. Torino/Roma/Milano/Firenze, 1887 e ristampa 1998, Napoli, Ed. IGEI