Vanity Bear

22 febbraio 2011

Orsi e moda: un abbinamento impossibile come il diavolo e l'acqua santa? Come ogni regola che si rispetti anche questa ha le sue eccezioni. In proposito vi presentiamo alcune riflessioni veramente eccezionali.


Vanity Bear


La riflessione culturale dentro e intorno al mondo bear negli ultimi tempi è decisamente andata in letargo. Per risvegliare le coscienze e offrire anche un contributo "Made in Italy" a questi studi, abbiamo analizzato una nicchia molto particolare di gay orsi. Sono decisamente pochi ma esistono, e sono ricercati in particolar modo dai rari "cacciatori" che, come loro, sanno che la differenza tra Gucci e Pucci non è solo una consonante. Loro modelli di riferimento, perché vere icone di stile oltre che di pelo o di stazza, sono ad esempio Babydaddy, il bassista e mente del gruppo glam-pop dei Scissor Sisters, il compianto geniale stilista Gianfranco Ferré o Alber Elbaz, l'attuale direttore creativo della maison Lanvin. E per mettere alla prova la "fashionista" che è in voi, alzi la mano chi conosce i designer nordamericani Jeffrey Costello e Robert Tagliapietra: stereotipi del taglialegna, coppia nel lavoro e nella vita e Vogue Fashion Fund finalist nominations nel 2005 e nel 2006.


L'immagine di questo animale, nella sua versione giocattolo più classica, ispirò persino due famosi stilisti. Jean-Charles de Castelbajac disegnò un cappotto composto da soli orsetti di peluche, modello indossato da Madonna e dalla supermodel Helena Christensen nel film Prêt à porter di Robert Altman. Moschino invece, con il suo ironico senso estetico a metà tra il dadaismo e la pop art, li usò per decorare il collo di un lineare cappottino nero molto chic (e poco cheap, dato che è stato anche battuto a caro prezzo in un'asta di moda vintage).


In una sottocultura che si è fortemente costruita intorno a un codice visuale preciso, piuttosto rozzo e che si è evoluto poco, il concetto di "fashion bear" sembra una contraddizione in termini. Per saperne di più ne abbiamo quindi intervistati alcuni molto speciali, perché anche noi non siamo mai stati così chic.


Cominciamo con Alessandro Moroni e Maurizio Francesconi, entrambi esperti di moda e da anni attivi nel settore che ci rispondono "a quattro mani".

Come vedete lo stile "bear" fatto di camicia di flanella a stampa scozzese, jeans e scarpe da taglialegna: un classico che non stanca mai o un limite culturale che bisognerebbe superare?
Premettiamo che il bear da immaginario collettivo non esiste più per un motivo esclusivamente culturale: il bear che oggi gira per la città può essere un "aBEARcrombie" (un casual in realtà fighettino a base di polo Fred Perry attillate e barbe perfettamente rifilate) quindi casual ma "curato", non il boscaiolo del Kentucky stereotipato che ormai si vede solo più in certi film porno che leghiamo a questa definizione.


Nel 2009 ciascuno di noi (bombardato dalle pubblicità, dalla televisione e dalle riviste) tende ad avere un look sempre più "moderno" (talvolta riuscendoci, talvolta no con somma angoscia di noi osservatori).


Cosa intendete per moderno?
La parola moderno significa molte cose: innanzitutto la voglia di uniformarsi a un modello che riteniamo sia quello che ci esprime al meglio e che quindi ci farà sentire parte di un "gruppo sociale", allontanando da noi coloro che sono differenti (quello che in antropologia si chiama l'altro da sé) e facendoci sentire automaticamente accettati dalla maggioranza del gruppo che appunto ci interessa.


Riportando la questione su un piano meno teorico bisogna dire che in Italia la questione del look è maggiormente sentita rispetto ad altri paesi, è come se la possedessimo nel Dna e ci porta comunque a curare la nostra immagine più di quanto succeda negli altri paesi. Bisogna però anche sottolineare che girando nelle nostre città spesso vediamo copie sbiadite di modelli che la gente vorrebbe copiare arrivando a pensare che indossando un abito gessato (ma mai di Caraceni) e un paio di Car Shoe viola si sarà come Lapo Elkann, che indossando un paio di scarpe da ginnastica con paillettes e gli skinny si sarà come Mika e indossando un paio di occhiali da sole anche per dormire saremo come Anna Wintour.


Ebbene, non è così. Bisogna tentare di creare uno stile che sia proprio, magari riconducibile a dei modelli comuni, ma che sia il più possibile declinato in base alle nostre esigenze di vita e al nostro fisico.


Secondo voi è possibile sfatare il mito che i maschi omosessuali hanno tutti buon gusto?
Dovremmo tentare di non essere vittime di luoghi comuni: basta girare per le città e studiare come la gente si veste. Lo stancante luogo comune sul fatto che gay equivale a buon gusto andrebbe eliminato, perché è ovvio che il cattivo gusto è assolutamente trasversale.


E per trasversale si intende anche gli addetti ai lavori, che dovrebbero aver fatto del buon gusto la bandiera di appartenenza e che invece si propongono ai nostri ormai stanchi occhi con delle mises che francamente facciamo fatica a definire di buon gusto, eleganti o anche solo passabili. Per avere un'idea di questo il consiglio è quello di andare a dare un'occhiata a www.thesartorialist.blogspot.com per notare ottimi e pessimi risultati di stile, e fra i pessimi risultati possiamo citare quello di vari personaggi famosi e non.


Vogliamo parlare di Karl Lagerfeld da stilista orso per Chanel a "sekka orrenda" con tanto di libro sulla sua drastica dieta?
Karl Lagerfeld e la sua trasformazione sono l'ennesimo segreto di Fatima. Inspiegabili per lungo tempo, fino al momento in cui Kaiser Karl ha ritenuto fondamentale farci conoscere ogni particolare del suo cambio di stazza...anche no! Ma in realtà Herr Lagerfeld è in buona compagnia, infatti il fondatore e direttore della rivista "Citizen K", che risponde al nome di Kappauf, ha seguito una dieta persino più impressionante di quella di Lagerfeld, che gli ha talmente cambiato i connotati da creargli non pochi problemi con le autorità per farsi imbarcare sul volo di ritorno dalla Cina (dopo la sfilata di Fendi sulla Grande Muraglia), in quanto la foto sul passaporto (pre-dieta) non coincideva minimamente con l'uomo che la polizia aveva davanti. Last but not least: Mr Alexander McQueen che facendo altalenare la sua circonferenza da una taglia 60 ad una 46 per tornare da dove era partito, come le vecchie pendole a casa della nonna, ci fa capire che la schizofrenia con la quale cambiamo il nostro giro vita è equivalente alla contrazione presente nel cranio. Magari in questi tre casi no, però avremmo molti esempi presenti nello showbiz che potremmo portare a suffragio della nostra teoria.


Passiamo ora a Costantino Della Gherardesca, opinionista "fisso" nelle trasmissioni di Piero Chiambretti in cui sfoggia sempre look molto ben studiati che denotano un rapporto intenso, per quanto fuori dagli schemi, con l'eleganza.

La tua ultima "reincarnazione" a Chiambretti night è il radical chic: steso su una dormeuse indossi occhiali dalla montatura trendy e una strabiliante t-shirt con l'immagine di Franca Sozzani, la direttrice di "Vogue Italia".

Quanto sei un vanity bear nella vita reale?
Credo di essere la Ulrike Meinhof dei Vanity Bear. La maggior parte degli orsi che conosco fanno lo sbaglio fondamentale di mettere il "sesso" prima della "moda". Vogliono sembrare maschili ed attraenti, e quindi si conformano a degli stereotipi pensando di diventare più "normali" e quindi "sexy" seguendo la logica che le fantasie sessuali altrui si basano su dei modelli pedestri di "maschio". Facendo questo la maggior parte delle volte non risultano "sexy" bensì sembrano semplicemente degli sfigati.

Bisogna accettare la propria perversione. Bisogna accettarsi allo specchio, e non concentrarsi sulle incongruenze fra la nostra immagine e la realtà di come ci sentiamo. Gli orsi che hanno paura di essere "vanity" devono leggere Lacan.

Se l'eleganza si vede dal dettaglio, secondo te la comunità bear potrà mai essere hip o è condannata a essere uno stereotipo antiestetico a oltranza?
La trovo già nettamente più hip di quella dei palestrati che vanno alle discoteche col techno o la house music. Meglio un orso, anche non "vanity", di una discotecara. I meno hip sono i gay che ascoltano Madonna e vanno in discoteca en masse. Non si rendono conto che fanno congelare il sangue da quanto sono poco giusti.

Molti gay orsi sembrano Giove ma appena aprono bocca o si muovono diventano Giunone. Una contraddizione di scarso gusto o una giusta appropriazione politica del proprio più intimo sé?
Mah, io sembro estremamente frocio quando parlo. Tanto appena un uomo mi conosce meglio si rende conto che sono io il maschio alfa. Fin troppo. Non stiro, non cucino, non lavo i piatti, non faccio nulla di domestico. Non saprei dove cominciare. Oltretutto detesto i bambini dopo 20 secondi. Non mi sono mai fatto mettere i piedi in testa dagli altri uomini, mi sono sempre sentito in obbligo di confrontare la gente quando è necessario. L'uomo non sta nella maniera bensì nei fatti.

Per la sfilata della sua collezione uomo primavera/estate 2010 lo stilista belga Walter Van Beirendonck deve aver scelto gli indossatori sul sito bearwww.com Secondo te è l'inizio di una nuova era o un fuoco di paglia?
Mah, non si può mai essere certi di queste cose. Si entra in dei discorsi di identità sessuale troppo complicati. Il povero Foucault si rivolta nella tomba tutti i giorni per via di quanto sono conformisti i gay contemporanei. Comunque il modello di riferimento sessuale è totalmente soggettivo, cambia a detta delle mode di pensiero. Basti pensare a quando, in passato, andavano di moda i ragazzini magri, le donne grasse, i vecchi ecc. La cosa veramente importante che bisogna capire è che i propri gusti sessuali non sono personali ma fanno parte del condizionamento che il linguaggio e la società hanno sulla nostra mente. Non è un caso che i nostri pensieri più intimi siano condivisi da milioni di persone.

La prossima volta che aprite l'armadio quindi, quale che sia la spesa che dedicate al vostro guardaroba ricordatevi di declamare: "To bear or not to bear? This is the question".

Jeffrey Costello e Robert Tagliapietra

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