Per un catalogo delle foto di Wilhelm von Gloeden

(ovvero: tutto quel che ho imparato fin qui sulla loro catalogazione)

Un tentativo di catalogazione su WikiCommons

[Nota: Se i link da questo sito non funzionano, si consulti il testo sul sito di pubblicazione originaria].


Questa è una premessa al progetto di catalogo delle immagini di Wilhelm von Gloeden che ho iniziato su WikiCommons qui.

Le immagini sono elencate usando il numero di catalogo indicato sul retro, che serviva ai clienti di Gloeden per ordinare stampe e ristampe (Gloeden produsse, come molti fotografi della sua epoca, campionari di miniature dai quali era possibile scegliere e ordinare, anche per corrispondenza, l'ingrandimento preferito).

La numerazione non ha purtroppo carattere cronologico: quando Gloeden inaugurò il catalogo (possiamo ipotizzare, "a naso", che ciò sia potuto avvenire tra il 1895 [1], quando iniziò l'attività commerciale, e il 1899, quando effettuò il deposito legale delle sue immagini) v'inserì infatti alla rinfusa una scelta accurata di foto scattate nel decennio precedente con criteri grosso modo tematici: infatti il catalogo esisteva anche fisicamente sotto forma di libroni che venivano esibiti ai clienti (che io ho potuto vedere di persona da ragazzino: sì, ho vissuto a Taormina) e per ovvi motivi di "opportunità" le foto di nudo non erano mescolate a quelle di ritratti o di paesaggi, o di seminudo.
Questa circostanza potrebbe spiegare in parte le "strane" sequenze del catalogo, dove foto palesemente tratte dal medesimo servizio sono sparpagliate fra numerazioni anche molto lontane fra loro, ma dove i nudi integrali tendono a stare in gruppo, anche se non necessariamente in sequenza.


Per ultimo, una sgradita sorpresa che è emersa man man che, procedendo nella catalogazione, i doppioni si moltiplicavano. Qualcuno poteva essere nato da una svista o da un refuso, ma molti si ripetevano anche con fonti diverse.
Infine è stato possibile verificare che sul retro di stampe diverse dello stesso scatto c'erano effettivamente scritti numeri differenti, ma sempre gli stessi due.
Ci si è perciò dovuti rassegnare all'idea che il catalogo non era unico, ma plurimo, diviso a seconda delle dimensioni delle negative in vetro, alloggiate in cassettine in legno in gruppi omogenei per dimensione.

Oltre al catalogo "di medio formato" (Gloeden possedeva tre apparecchi fotografici, che usavano lastre di formato diverso) che oltrepassava il numero 3200 e quello assai più contenuto di "grande formato", che arriva a 300 circa, esiste un terzo "catalogo speciale", forse di opere di altri autori commercializzate da Gloeden, marcato con la lettera "B".
La logica richiede che esista anche un quarto catalogo, destinato al "piccolo formato", e in questo istante (marzo 2012) i miei corrispondenti ed io stiamo cercando di riconoscerne le tracce per separare la numerazione "piccola" da quella "media". Cosa non facile, dato che spesso non è dato conoscere le dimensioni del positivo da cui è stata scansita l'immagine virituale.

Un catalogo molto "ospitale" - La sigla "B"

Il problema più grave nella messa a fuoco del lavoro artistico di Gloeden è stato, fino a pochi anni fa, la costante confusione delle sue opere con quelle di Wilhelm von Plüschow e di Vincenzo Galdi.

Nel XXI secolo è per fortuna sempre più raro e sempre più impensabile che uno studioso o un gallerista serio proponga un'attribuzione d'una foto non timbrata con l'incoscienza e la leggerezza dei decenni precedenti, anche se le case d'aste hanno ancora la tendenza a pendere sempre, in caso di attribuzione dubbia, verso il nome più redditizio, cioè quello di Gloeden. Ma se non altro ormai specificano sempre se sia presente un timbro o una firma o meno, quindi anche questi errori che chiamerò "semi-intenzionali" sono sempre più facili da espungere dal catalogo.

Una volta liberatici dalla produzione dei due fotografi appena citati, però, ci rendiamo conto del fatto che nel catalogo di Gloeden sono ancora presenti immagini la cui estetica stride con quella del resto del corpus.
E in effetti la spiegazione non è stata difficile da trovare: nel catalogo di Gloeden, sono presenti, soprattutto nei primi cento o duecento numeri, opere di altri fotografi ancora.

Salta subito all'occhio il fatto che alcuni dei primi 150 numeri (grosso modo) hanno doppioni seguiti o preceduti dalla lettera "B": si tratta d'immagini di Gloeden che hanno la tendenza a ripresentarsi nei cataloghi di altri fotografi, specificamente Crupi e Bruno, e in due casi anche di Plueschow.
(Attenzione, la regola vale solo per i primi 150 numeri: nelle ristampe tarde e del dopoguerra (riconoscibili dalla diversa tecnica di stampa) la "B", appare in foto sicuramente di Gloeden. Io ipotizzo perciò che qui possa essere semmai legata all'iniziale del cognome di Buciunì, l'erede di Gloeden).

Ho inteso la "B" come iniziale di "Bis"; tuttavia è spuntata una "C" con lo stesso carattere su una foto di Crupi, ed una "A" è segnalata su alcune foto vendute online, anche se in nessuna era fornita la scansione del numero. La mia spiegazione, a questo punto? Che la "B", come la "A" e la "C", potrebbe indicare non un autore ma un formato (o una busta, se riferita ai positivi) diversi, e quindi separati dagli altri prodotti da Gloeden.

In qualche caso le foto "B" si rivelano addirittura opera di altri fotografi (per i quali Gloeden avrà agito da distributore locale?): appare infatti una "B" perfino su due foto di Plueschow, timbrate da Gloeden coi numeri 70 B e 71 B (attualmente nella collezione di Jacques Desse a Parigi), i numeri 247 e 248 rappresentanti due ciociaretti fotografati a Roma (lo rivela, come ha scoperto Raimondo Biffi, la base delle statue del Pincio che appare in un'altra foto della serie, la numero 249).

Un catalogo molto "ospitale" - Giovanni Crupi

Il rapporto fra i due artisti/amici/concorrenti è complicato dal fatto che una parte delle immagini di Gloeden riporta in basso la medesima "banda nera", usata in tutte le sue foto dall'amico e collega Giovanni Crupi, sulla quale è scritto il titolo della foto e la firma del fotografo, com'era d'abitudine all'epoca per le immagini destinate al mercato dei souvenirs d'arte.

Queste foto con la "banda nera" seguono una numerazione che fa parte d'un catalogo separato rispetto a quello generale di Gloeden (i numeri si sovrappongono infatti a quelli del catalogo generale di Gloeden, duplicandoli), e riportano o nel titolo o sul retro (sotto forma di lettera maiuscola piuttosto grossa impressa con un timbro) la lettera "B".

I miei corrispondenti ed io abbiamo discusso parecchio sul significato da dare a questo gruppo d'immagini, che a me a un certo punto era parso possibile spiegare come frutto di un'acquisto d'immagini crupiane da parte di Gloeden (magari allo scopo di aiutare l'amico in difficoltà) nel momento in cui il primo chiuse l'attività nel 1899.

Tuttavia, dopo che ho creato su WikiCommons sia il catalogo delle foto di Gloeden sia il catalogo delle foto di Crupi è stato possibile verificare, proprio grazie a questo lavoro, che finora non è mai apparsa o sul mercato o in un libro alcuna delle foto "B" di Gloeden con la firma di Crupi: tutte quelle foto hanno fin qui circolato solo col timbro di Gloeden.
Anzi, in due o tre casi la foto "B" di Gloeden duplica un mumero già presente nel catalogo crupiano, cosa assurda se davvero l'escamotage della B fosse servito a trasferire senza doppioni (in quanto "bis", come detto sopra) le foto dal catalogo crupiano a quello goedeniano!

Per questi motivi la spiegazione dell'acquisto di un blocco di negativi da Giovanni Crupi mi appare ora improbabile, al punto che forse le misteriose foto "B" si possono meglio spiegare come immagini prodotte appositamente da Gloeden per lo smercio commerciale presso terzi (magari proprio presso il negozio di Crupi) prima d'avviare un'attività commerciale in proprio (verso il 1895). Si spiegherebbe così perché nella fascia in basso tutte le foto siano deliberatamente prive della firma, a differenza di quelle di Crupi, nelle quali è sempre presente: proprio per poter essere vendute da terzi.

La questione sembrerebbe risolta in questo modo... ma purtroppo non lo è, dato che poi si verificano casi come questo, nel quale Gloeden aggiunge tranquillamente un secondo timbro a una foto che già ne possedeva uno di Crupi (o viceversa!), oltre a una "B" timbrata prima del numero di catalogo (162 B). E non si tratta d'un caso isolato, perché si ripete anche su questa immagine, che porta il numero 122 B. E il significato da dare a questo doppio timbro, così come alla sigla "B", purtroppo per ora mi sfugge.
E nel catalogo gloedeniano più ricco finora pubblicato, quello del libro Auch ich in Arkadien, sono molte le immagini per le quali è segnalata l'esistenza di ben quattro timbri sul retro; purtroppo però non vi è mai specificato quali! La possibilità quindi che le foto con doppio timbro di Gloeden e Crupi siano più numerose delle due fin qui rintracciate, esiste.

Non basta. Un'immagine di due ciaramiddari calabresi fu pubblicata a nome di Gloeden col titolo di "Pifferari" nell'articolo di Theodor Trede, Volksleben in Süditalien, apparso nella ''Velhagen & Klasings Monatshefte'', XII 1897-98, p. 458.

Ma qui accanto riproduco anche uno scatto estremamente simile dei medesimi modelli nella medesima località, pubblicato sotto forma di cartolina dalla ditta Galifi-Crupi (cortesia: collezione Malcom Gain).
Palesemente qualcosa non quadra: o Gloeden pubblicò come propria un'immagine di Crupi, o viceversa.
E a mio parere non è pensabile che ciò sia avvenuto come atto di pirateria (non fra persone che erano amiche, che vivevano a poche centinaia di metri di distanza e s'incontravano più volte al giorno): chiunque dei due abbia pubblicato il lavoro dall'altro lo fece con il consenso della controparte.§

Una spiegazione andrà infine trovata anche per un servizio piuttosto precoce di Gloeden (l'influsso di Michetti, e ancor più di Bruno, vi è ancora forte), che presenta una serie di bozzetti con "tipi siciliani" (il frate che dà i numeri del lotto, il ciabattino, la dama mantellata) scattata in via Case Pinte a Taormina. Il volume Sicilia mitica Arcadia pubblica acune di queste immagini dando come provenienza... l'Archivio Crupi. Daccapo!


Un catalogo molto "ospitale" - Giuseppe Bruno

Un altro "ospite" è il maestro stesso di Gloeden, Giuseppe Bruno.
Sono ormai emerse alcune immagine che furono di volta in volta commercializzate sia sotto il nome di Gloeden che sotto quello di Bruno: per esempio la numero 38 B, che riproduco qui sotto (e si noti che la continua apparizione della "B", in queste immagini d'attribuzione vacillante, spinge a pensare che sì, la "B" indicasse una specie di "catalogo dei fuori catalogo").

Questo scatto fa parte d'un vero e proprio reportage scattato nel paesino montano di Limina, alle spalle di Taormina, la cui attribuzione è piuttosto confusa: una di queste immagini è apparsa a un'asta di Bloomsbury e riporta sul retro il timbro di Bruno, ma altre immagini con i medesimi modelli sono segnalate fra le immagini di Gloeden. In almeno un caso la Fondazione Alinari possiede il negativo, proveniente dall'archivio di Gloeden!

Questo reportage si configura come un nucleo coerente d'immagini (quasi tutte ritratti di popolani) che contrasta con l'estetica del resto dell'opera di Gloeden (si vedano come esempi questa, questa e questa).
Mentre infatti l'opera di Gloeden, aderendo a un'estetica che è ancora pienamente neoclassica, idealizza il mondo reale e aspira al Bello Ideale, in questo "servizio di Limina" prevale il gusto Romantico per il "pittoresco", anche laddove esso si nasconde nella rovina o negli stracci.
Nel "servizio di Limina" notiamo una vera ossessione compiaciuta per le persone straccione, spettinate, non lavate, che deriva da una concezione sprezzante della povertà come condizione umana semplicemente "pittoresca", addirittura divertente.

In queste foto manca infatti qualsiasi intento di denuncia sociale, semmai prevale lo sguardo dello spettatore allo zoo.

Al contrario per Gloeden i popolani sono umili, sì, pittoreschi, certamente, e talora colpiti dal destino come nel servizio scattato nel 1908 a Messina dopo il terremoto, ma comunque dignitosi e composti, insomma all'altezza delle idealizzazioni di Teocrito e Virgilio che sono chiamati a incarnare. E se non ci fossero gli studi storici, niente ci farebbe sospettare che nella realtà la Taormina "arcadica" e serena di Gloeden era una terra tanto disperatamente povera da perdere, per emigrazione, addirittura un terzo dei suoi abitanti nel solo periodo del suo soggiorno!

Anche in questo caso, insomma, è necessaria una spiegazione.

Come se tutto ciò non bastasse nel catalogo si nasconde ancora, come vedremo fra poco, anche un nucleo d'immagini di Pancrazio Buciunì.

Un ordinamento non cronologico

Gloeden arrivò a Taormina nel 1878 e si dilettò di fotografia da subito. Nel 1880 fu incoraggiato da Francesco Paolo Michetti a proseguire a fotografare.

Nel 1893 Gloeden vinse la sua prima medaglia a un'esposizione, a Londra, e pubblicò le sue prime foto di nudo sulla rivista "The studio".

Si noti che nello stesso anno Gloeden aveva già rivenditori che pubblicizzavano le sue immagini [2], il che induce a pensare che il quadro del nobiluomo redditiero che non si "sporcava le mani" con il commercio di fotografia, tramandato dalla vulgata, non corrisponda interamente al vero. Gloeden fu commerciante di fotografia (anzi, "editore d'arte", come proclamano in tedesco i suoi timbri) anche prima della fatidica data del 1895, quando fu costretto dal tracollo finanziario della famiglia a far della fotografia la sua unica professione.
In ciò aiutato, nel 1896, dal dono d'un mecenate: la costosa macchina professionale, la terza e più costosa, per foto di ampio formato, che oggi è posseduta dalla Fondazione Alinari di Firenze.

Un grosso blocco d'immagini, scattate come minimo nel corso d'un decennio, e forse più, ottenne il "deposito legale" nel 1899 e riporta nel timbro sul retro l'indicazioni di varie date (compreso il 30 febbraio!) con una formula del tipo: "deponirt 11-3-1899", che non indica quindi la data di realizzazione ma solo quella di registrazione.

La presenza di questo timbro permette comunque una datazione almeno ''ante quem''.
Ebbene: sui circa 3100 numeri del catalogo di Gloeden, almeno 1412 risultano eseguiti prima del febbraio 1898, almeno 1921 risultano eseguiti prima del novembre 1899, e addirittura almeno 2645 entro il 1903 (data di un'ulteriore ondata di registrazioni), ossia entro i primi 8 anni dall'inizio della sua attività commerciale. I rimanenti 27 anni di vita e attività videro l'aggiunta di appena un 10-15% della produzione, e probabilmente anche meno, tenendo conto della presenza fra gli ultimi 500 numeri di molti scatti palesemente risalenti a servizi già catalogati in precedenza. Se Tosca poteva cantare "vissi d'arte", Gloeden avrebbe potuto parafrasarla con un: "vissi dei servizi scattati in gioventù".

Del resto questa immagine, che porta la data di stampa del 1914 ma anche il timbro dell'erede Pancrazio Buciunì, indica che alla morte di Gloeden (1931) questo foglietto risultava ancora invenduto. Un segnale tangibile di un fatto già noto per altre vie, ossia che lo scoppio del primo conflitto mondiale segna l'inizio del calo, prima, e del crollo, poi, delle fortune di Gloeden. Semplicemente, era "passato di moda".

Oltre a ciò io sospetto che ci fosse anche dell'altro, ossia che il clima sociale attorno a lui stesse cambiando, tanto che in un qualche momento successivo al 1903 (o al 1906, quando ricevette ancora la medaglia del Ministero della Pubblica istruzione) la sua libertà di movimento si fosse ristretta.
Noi tendiamo ancora a prendere per oro colato la descrizione del romanzo Eccentrici amori scritto da Peyrefitte, che racconta una relazione idilliaca fra Gloeden e la popolazione, sempre tollerante e indulgente verso di lui e i suoi traffici coi ragazzi. Ma un articolo del 1908 ricorda che egli aveva già vinto "due o più" processi per diffamazione contro compaesani (fra loro, nel 1894, l'ex sindaco Ottone Geleng, colui che gli aveva fatto conoscere Taormina!) che avevano osato affermare che egli era omosessuale. E proprio nel 1908 (non un anno qualsiasi, bensì quello dello scandalo Moltke-Eulenburg) Gloeden fu il bersaglio d'una campagna stampa, nella quale fu accusato di esercitare un vero e proprio "mercato di carne umana".

Non occorre un genio spiccato per immaginare che il nostro possa essere stato "invitato", da qualche autorità paesana, a comportarsi in modo più prudente, se non voleva far la fine del cugino von Plüschow, anch'egli fotografo, processato proprio nel 1908 e infine espulso dall'Italia nel 1910 per i suoi traffici coi ragazzi. Del resto, l'articolo del 1908 chiede apertamente che anche a Gloeden sia riservato lo stesso trattamento del cugino.
Dunque, diciamo che non mi stupirei affatto se in futuro riuscissimo a dimostrare che il crollo della produzione dopo il 1903 abbia avuto a che fare anche con la necessità di mantenere un profilo più basso con i paesani.


Tornando alle immagini con l'indicazione "deponirt" aggiungerò che esse non appaiono in sequenza cronologica, e neppure raggruppate per servizio, ma costituiscono palesemente una "antologia", scelta come la parte maggiormente meritevole della spesa del Deposito legale.
(Del resto Gloeden per tutta la vita mantenne l'abitudine (pessima!) di datare le immagini non in base all'anno di produzione del negativo, ma di quello di stampa del positivo. Dunque, immagini scattate nel 1893 possono tranquillamente riportare una data degli anni Venti del secolo successivo).

Dopo il primo migliaio d'immagini, più o meno, nel catalogo di Gloeden inizia infine ad apparire una certa tendenza al raggruppamento fra scatti simili e quindi coevi (si veda come esempio la lunga sequenza ai numeri 1206-1244, che presentano gli stessi modelli e gli stessi luoghi), segno che dopo aver catalogato un grosso arretrato, il fotografo aveva iniziato ad aggiungere nuovi servizi man mano che li realizzava.
Ciononostante Gloeden non rinunciò mai ad inserire scatti appartenenti a servizi di molti anni prima nel bel mezzo di sequenze grossomodo cronologiche. A me è venuta un po' l'impressione che qui puntasse a "rinnovare" l'offerta con scatti simili, ma diversi e inediti, per rimpiazzare immagini che avevano avuto molto successo, ma proprio per questo davano un'impressione di "già visto". E magari rimpiazzare pure qualche negativo che s'era rotto (succedeva...) con uno simile.

Come si vede, tutti i criteri elencati fin qui denunciano il fatto che la numerazione di Gloeden aveva intenti strettamente commerciali, mirati esclusivamente a permettere una più rapida individuazione della cassettina nella quale era archiviato ogni negatrivo, e non era intesa come "catalogo dell'artista".

Diamo un po' i numeri

Per una buona parte (anche se le mani, le firme e le matite sono diverse), le immagini di Gloeden che riportano sul retro il numero di catalogo scritto da Gloeden stesso (o dai suoi assistenti di laboratorio [3]) mostrano l'uso d'una tipica matita blu a punta grossa (di quelle rossoblù da "maestro di scuola").
I numeri di catalogo scritti con essa arrivano a malapena al numero 3.100, che deve quindi essere considerato il numero approssimativo massimo di lastre usate commercialmente in vita da Gloeden.

Attenzione però: un paio di duplicazioni che riguardavano numeri scritti in entrambi i casi con una matita blu, si sono risolti quando ho scoperto che una delle due copie era un'immagine di Wilhelm von Plüschow, che usò anch'egli di preferenza una matita blu per numerare i positivi. In entrambi i casi l'attribuzione a Gloeden era opera d'un gallerista un po' troppo "creativo", e ciononostante abbastanza onesto da permettermi di verificare sul suo catalogo che sulla foto, oltre al numero, non era presente anche un timbro, e quindi si trattava solo di un'attribuzione.
(In genere le foto dei due compatrioti sono sufficientemente diverse da essere ben distinguibili, ma Gloeden risiedette per un periodo a Napoli e utilizzò la terrazza Plüschow a Mergellina (Posillipo), quindi per tutto questo gruppo d'immagini occorre ragionare caso per caso).

Oltre a ciò, sul mercato antiquario (soprattutto su Ebay) sono state offerte numerose stampe con numeri superiori al 3.000 (di solito, scritto in normale matita copiativa grigia), che in gran parte sono palesemente ristampe più recenti su carta fotografica baritata, moderna (e non sulla carta albuminata o salata utilizzata da Gloeden) e prive di viraggio.
Le più facili da riconoscere sono quelle tuttora commercializzate dall'agenzia francese Roger Viollet, che ne riportano sul retro il nome o la siga R.V., assieme a numerazioni di cinque cifre.
Quest'azienda, sotto il suo nome primitivo di Olivier, fu a lungo distributore internazionale delle albumine di Gloeden, e nel dopoguerra acquistò una parte consistente delle negative da Buciunì (che sono ancora in suo possesso) [4].

Fra le ristampe appaiono poi quelle prodotte dall'erede stesso Pancrazio Buciunì, che potrebbe forse aver prodotto (ma a mio parere è più probabile che si trattasse di semplici "fondi di magazzino", ereditati e poi venduti col proprio timbro) ancora qualche stampa all'albumina, ma che si convertì decisamente per la massima parte alla più pratica stampa sulla carta fotografica moderna. Queste immagini, prive di viraggio, pur non essendo tecnicamente "ristampe" dato che sono tratte dai negativi originali, sono ovviamente anche cromaticamente diverse dalle stampe più vecchie (Gloeden sperimentò per tutta la vita con i viraggi delle sue foto, che variano dal rosa al seppia al bruno al blu al violetto pallido), e sul mercato antiquario sono trattate alla stregua di "ristampe".

Un nucleo abbastanza consistente di queste immagini è stato messo in vendita online provenendo dalla ex collezione Roger Peyrefitte, che è logico immaginare le abbia acquistate da Pancrazio Buciunì durante o dopo la stesura del suo romanzo su Gloeden e i suoi soggiorni a Taormina.
Alcune di queste tirature a volte riportano la sigla BP, o B, o M.<oro?>, a volte portano il timbro di Gloeden, altre un timbro apposito di Buciunì, ma altre volte sono prive di timbro (e di numerazione, quindi non le ho inserite nel catalogo).

Come anticipavo poco sopra, la lettera "B" posposta al numero di catalogo è abbastanza frequente nelle scritte in matita grigia in scrittura "angolosa", che io ipotizzo (ma non ho nessuna prova che mi permetta di dimostrarlo e potrei sbagliarmi) possa essere quella di Pancrazio Buciunì.
I riscontri che ho potuto fare con numeri di catalogo certi, perché presenti nei campionari prodotti da Gloeden, mostrano in tutti i casi la corrispondenza fra i numeri scritti da questa mano e quelli del catalogo. Chiunque fosse o sia questa persona, quindi, aveva o ha tuttora accesso alla numerazione di Gloeden ed usa quella, e non la numerazione d'un distributore o ad hoc.
Per questo motivo, a mio parere, la numerazione indicata dalla mano "angolosa" in matita a mina grigia è attendibile.

Un caso a sé è infine costituito da un piccolo nucleo d'immagini con numero non in contrasto con il resto della numerazione di Gloeden, ma che stilisticamente fanno a pugni con il resto della sua produzione (in genere le pose sono decisamente sgraziate, e nessuna cura è dedicata all'espressione del viso, a cui Gloeden teneva molto, mentre qui i modelli spesso ostentano un'aria annoiata e perfino ostile), ma che ne portano a volte il timbro, associato a una numerazione alta.

Raramente queste opere si rivelano, a un secondo esame, opera di Galdi o Plueschow, che tecnicamente non erano inferiori a Gloeden, tanto più che a volte il taglio dei capelli di queste immagini "anomale" ci suggerisce gli anni Venti, quando ormai questi due fotografi avevano cessato l'attività.

Sappiamo inoltre che Gaetano D'Agata, ottimo paesaggista commerciale ma goffo ritrattista di nudo maschile, da giovane fu assistente presso la ditta di Gloeden: alcune di tali foto potrebbero perciò essere state scattate da lui durante il suo apprendistato, e "inglobate" nel catalogo del proprietario della ditta.
Del resto, molti goffi nudi di "Gloeden" non timbrati, provenienti dai siti d'aste, si rivelano, confrontandone i modelli con quelli delle immagini timbrate da D'Agata, edite nella benemerita monografia Auh ich in Arkadien, opera sua.

Tuttavia un'altra spiegazione plausibile punta in un'altra direzione: l'erede Pancrazio Buciunì ammise espressamente di avere scattato, nell'anteguerra, alcuni ritratti di nudo maschile, che però egli stesso aveva giudicato di qualità inferiore a quelli prodotti dal maestro.
In linea d'ipotesi, quindi, questi scatti "anomali" potrebbero essere opera di Buciunì (del quale però non è ancora noto alcun nudo maschile certo, a differenza di quanto accade col D'Agata) a cui potrebbe forse, in futuro, essere intestato un "gruzzoletto" d'immagini oggi circolanti sotto il nome del maestro. Di ciò mi ha convinto un controllo di tutte le immagini "anomale" di Gloeden in mio possesso, che m ha fatto scoprire che tutte, senza eccezione, o non riportano un numero di catalogo, o ne riportano uno alto (sopra il 2500), collocandosi così "in coda" al catalogo.

Sopra il 3000

È fra le "ristampe" (o "stampe del secondo periodo" che dir si voglia), che appare una numerazione spesso diversa da quella originale, e molto più alta della precedente.
L'ipotesi che può essere fatta in proposito è che Buciunì potrebbe aver sentito il bisogno di rinumerare l'archivio rimastogli fisicamente in mano dopo i danni causati dal sequestro della polizia fascista, nel corso del quale diverse centinaia di lastre di vetro (e c'è chi dice: più della metà di esse) furono restituite rotte e quindi inservibili.

Inoltre, Buciunì ammise espressamente di avere scattato, per colmare i vuoti, con la macchina originale di Gloeden che aveva ereditato, nuovi ritratti di nudo maschile, che però egli stesso giudicò di qualità inferiore a quelli prodotti dal maestro.
Questa circostanza spiega la presenza d'un piccolo numero di nudi integrali, che per stile non coincidono con quello di Gloeden (in genere le pose sono decisamente sgraziate, e nessuna cura è dedicata all'espressione del viso, a cui Gloeden teneva molto, mentre in queste immagini i modelli spesso ostentano un'aria annoiata e perfino ostile), ma che ne portano a volte il timbro, associato a una numerazione alta.
In linea d'ipotesi, questi potrebbero essere gli scatti di Buciunì (anche se potrebbero in alternativa essere anche opera d'un altro artista, per esempio il goffo Gaetano D'Agata, falsificate come opere di Gloeden nei "ruggenti anni Settanta", nei quali tutto ciò che era nudo ed era anteriore al 1945 era automaticamente Gloeden).

A lato di questo discorso, una fonte di discrepanze della numerazione che non va sottovalutata sono gli errori di lettura, molto più comuni di quanto si possa immaginare, specie fra galleristi e venditori su Ebay. Ho per esempio notato che i venditori americani (che
evidentemente sono più spesso rigattieri che antiquari) confondono con facilità l'"1" disegnato all'europea, cioè non come una barretta ma con un "naso" sulla sinistra, con il "7", che invece Gloeden disegna con un trattino orizzontale e con la parte superiore piatta e non diagonale. Basterebbe avere una cultura che vada oltre a quella fornita dalle elementari del Wyoming per evitare questi svarioni, ma evidentemente il mondo va così.
Inoltre, quando ho conflitti di numerazione spesso sono coinvolti i numeri 3, 8 e 9, che quindi a quanto pare tendono ad essere confusi.
Spiace dirlo, ma questi errori coinvolgono anche galleristi che hanno prodotto cataloghi a stampa.
Anche di questa possibilità, quindi, andrà tenuto conto, anche se sarà buona cosa non abusarne per "spiegare" tutto e "forzare" un'immagine a stare dove non dovrebbe ma dove noi vorremmo.

Per quel che riguarda poi le numerazioni molto elevate (anche 60.000!), sempre e senza eccezioni in matita grigia, esse possono essere spiegate come i numeri del catalogo dei distributori (Gloeden ne ebbe parecchi, sia in Italia che all'estero: per esempio, alcune foto certamente sue portano il timbro della ditta Brogi).

Infine, alcuni numeri, specie fra le ristampe che vengono commercializzate su "Ebay", riflettono semplicemente il numero di catalogo delle ditte contemporanee che hanno effettuato le ristampe, non dai negativi bensì da positivi rifotografati.
Per esempio, negli anni Settanta/Novanta del secolo scorso lo studio fotografico Malambrì di Taormina, nell'ambito d'una riscoperta del lavoro di Gloeden, produsse e commercializzò (dichiarando espressamente che si trattava di ristampe, cosa rivelata anche dal prezzo molto contenuto) una buona quantità di stampe fotografiche in bianco e nero e su carta fotografica moderna, tratte da positivi, reperiti sul mercato. (All'epoca le negative erano ancora in mano agli eredi di Buciunì, che gelosamente non permettevano di trarne ristampe).
Io stesso ne acquistai un lotto di un centinaio di pezzi per il libro Von Gloeden ieri e oggi, che curai nel 1993 per le "Edizioni Babilonia". Che si trattasse di positivi rifotografati me lo mostrò il fatto che uno di essi aveva immortalato sbadatamente, in un angolo, una mosca posata sull'immagine!
Infine, il fatto che si trattasse di positivi reperiti sul mercato (e bisogna dire, con un'acribia e un amore che avrebbero meritato maggiori apprezzamenti) lo mostra il fatto che tra le immagini che acquistati, due (fra cui quella del ragazzo col berretto con cui si apre il volume) si rivelarono essere di Wilhelm von Plüschow.

Dopo averle detenute per alcuni anni ("sotto a un letto!", come mi fu rivelato quando ne feci ricerca) gli eredi degli eredi di Pancrazio Buciunì avrebbero infine venduto le lastre dei negativi (che il Comune di Taormina rifiutò di acquisire) al gallerista napoletano Lucio Amelio, che eseguì e mise in commercio una tiratura limitata di alcune immagini con le tecniche originarie all'albumina, con le quali produsse anche un catalogo a stampa che si fregiava d'una prefazione di nientedimeno che Roland Barthes.

Il "mistero" del catalogo Alinari

Alla morte di Lucio Amelio le lastre passarono alla Fondazione Alinari di Firenze, che commercializza tuttora ristampe (dichiarate come tali) su carta fotografica comune sia senza che con viratura, a richiesta. Nello smercio di queste ristampe la Alinari usa una numerazione di catalogo ancora diversa, di propria concezione.
A una mostra su Gloeden tenuta a Milano ebbi occasione di parlare di ciò con un'addetta della Fondazione, che dimostrò di non tenere in alcuna considerazione la numerazione "blu" sul retro dei positivi e aggiunse addirittura che i numeri che appaiono sul retro dei positivi (a dir suo) non rappresentano affatto il "vero" catalogo di Gloeden, dato che la fondazione possiede un catalogo con una numerazione diversa.
Sulla natura di questo catalogo l'addetta non volle o non seppe dirmi altro, limitandosi a dire che era "il catalogo vero". Punto.

Poiché però la catalogazione di Gloeden aveva una funzione eminentemente pratica e '''commerciale''' (sapere quale negativo andare a prendere e in quale cassetta, per effettuare la ristampa) io non riesco a credere che Gloeden abbia lavorato per tutta la vita indicando sul retro delle immagini una numerazione che poi non coincideva con quella del presunto catalogo "vero" che egli avrebbe usato per sé. La cosa è palesemente insensata. Tanto valeva indicare direttamente il numero del presunto "catalogo vero".

La presenza di un catalogo diverso fra le carte di Gloeden comprate dalla Fondazione Alinari si può, quindi, spiegare in molti modi: potrebbe essere un catalogo ri-creato da Buciunì per fare ordine tra quanto rimasto dopo il sequestro che causò la rottura di una buona parte delle lastre, oppure di quello d'inventario di Lucio Amelio (diverse lastre furono vendute singolarmente dagli eredi di Buciunì "per sopravvivere", prima che Amelio rilevasse il tutto, quindi un nuovo inventario era d'uopo).
Oppure ancora essere il catalogo di deposito legale (quello del famoso "deponirt"), oppure ancora un catalogo in ordine cronologico che, questo sì, avrebbe avuto senso come catalogo distinto rispetto a quello commerciale...

Tutte illazioni, e tutte altrettanto probabili.
Esiste un solo modo per chiarire quale fra esse sia quella giusta: prima o poi qualcuno dovrà chiederlo direttamente alla Fondazione Alinari. Auguri...

Cum grano salis

Quel che è certo è che la presenza di diversi tipi di numerazioni crea confusione e conflitti, specie laddove nelle aste online (la principale fonte di nuove "scoperte", accanto ai rari libri a stampa prodotti da studiosi sufficientemente scrupolosi - come fa la benemerita galleria parigina "Au bonheur du jour" - da indicare sempre il numero, laddove esso appare) non viene indicato se si tratti di numero "blu" o "grigio".

Il catalogo che sto cercando di creare, pertanto, è soggetto a correzioni e modifiche, e i numeri di catalogo indicati vanno presi sempre cum grano salis e con beneficio d'inventario.


Resta in sospeso l'ipotesi che Gloeden possa aver rinumerato dei negativi, proposta per spiegare i doppioni. Ne ho discusso con altri studiosi di Gloeden ma senza arrivare a una conclusione condivisa.
Il mio parere (che è opposto a quella dei miei interlocutori) è che Gloeden non rinumerasse i negativi, e che le incongruenze che abbiamo oggi nella numerazione (vale a dire la stessa immagine, ma con due numeri di catalogo diversi, oppure due diverse immagini col medesimo numero) derivino da errori nostri di registrazione del numero.
La mia ipotesi è che col tempo, avendo accesso a esemplari di cui sia possibile avere notizie relative al tipo di numero presente sul retro, queste incongruenze spariranno.
In un paio di casi che ho riscontrato io, il numero "blu" concordava per soggetto con i numeri vicini, mentre quello "grigio" era fuori contesto. Questo mi ha suggerito che sia consigliabile, laddove possibile, dar la preferenza all'indicazione del numero "blu".

Quanto ai "doppioni" (due immagini diverse con lo stesso numero) li attribuisco al medesimo fenomeno: in tutti i casi non ancora risolti non conosciamo il tipo di numerazione presente sul retro (se "blu" o "grigia"), in compenso la presenza d'immagini palesemente ristampate (prive di viraggio) fra questi doppioni è alta. Dunque si tratta di numeri non presenti originariamente nella numerazione di Gloeden.

Ciò premesso, la "strana" concentrazione di "doppioni" nei primi cento numeri del catalogo gloedeniano ha attirato l'attenzione mia e dei miei corrispondenti, dato che è vero che non siamo perfetti e siamo tutti soggetti a errori, ma perché insistere a sbagliare soprattutto in quei numeri? Non è che magari esistono foto di Gloeden che intenzionalmente, per un qualche motivo, riprendono la numerazione da uno a cento per una seconda volta?
Malcom Gain, collezionista e webmaster di un sito su Gloeden, ha ipotizzato che potesse esserci una numerazione a parte per le immagini di formato speciale; Jacques Desse, anch'egli collezionista e librario antiquario, ha fatto di persona una verifica sugli originali, scoprendo che sì, le immagini di Gloeden di grande formato hanno tutte effettivamente una numerazione loro propria, che non eccede il centinaio di numeri.
Dunque, ciò spiega la presenza di tanti doppioni sotto il numero cento, e segnala la necessità di stilare un catalogo numerico a parte per queste negative. Purtroppo io non avevo mai pensato di prendere nota delle dimensioni delle foto, ammesso che appaia nelle mie fonti, quindi non sono per ora in grado di iniziare questo setacciamente ulteriore, però è importante che siamo almeno arrivati a questa scoperta.

E tuttavia almeno due casi certi di rinumerazione mi sono noti: uno è questo, in cui il n. 714 è stato cancellato e sostituito col 694. Personalmente lo spiego però con un errore di copiatura fatta nel corso del processo di stampa, corretto alla bell'e meglio quando chi compì l'errore se ne rese conto. In effetti, se si rinumera una foto, è sul negativo che occorre intervenire, non sui positivi. E se si sposta una foto rinumerandola, logica vuole che al contrario di quanto avviene in questo caso le si dia un numero più alto del precedente, utilizzando il primo numero successivo disponibile, e non certo più basso, visto che a rigor di logica i numeri precedenti sono già occupati...
Il secondo caso è questo: guardando in alto emerge che il negativo era stato numerato come 66: in un secondo momento, dopo aver cancellato questo numero ne è stato attribuito uno nuovo, il 1001. Stavolta la rinumerazione è stata fatta secondo logica... Andrà verificato quindi se si tratta di un caso sporadico, o se sia indice di una prassi più diffusa.

Diverso è ancora il caso della doppia numerazione, nel senso di un secondo numero aggiunto e non sostituito, che appare in alcune immagini, per esempio quelle del sopra citato Metropolitan Museum: a puro titolo d'esempio questa foto riporta sia il numero 893 che il numero 7584.
Il primo è chiaramente quello del catalogo commerciale. Ma il secondo?
Io penso che sia semplicemente di quello del catalogo d'un distributore, o forse d'un catalogo di libreria antiquaria o casa d'aste moderna, dato che di norma tutti gli altri positivi di Gloeden riportano solo un numero, mentre tutti quelli del Metropolitan ne hanno due. Oltre a ciò, i secondi numeri sono distribuiti su un range molto ristretto (7551, 7568, 7584, 7590, 7610, 7604...), nonostante si tratti di opere scattate in periodi diversissimi, e con la numerazione che non segue l'ordine cronologico di effettuazione (ragione per cui non può trattarsi d'un eventuale "catalogo cronologico"). Infine, potrebbe trattarsi della numerazione di un collezionista che possedette le immagini prima che arrivassero al Museo.


Con tutti questi ''caveat'' in mente, è chiaro che il catalogo che ho iniziato ad approntare su WikiCommons è, fondamentalmente, solo uno strumento da usare come supporto utile alla corretta identificazione e attribuzione d'immagini prive di timbro e numero di catalogo. Anche per districare la confusione tuttora enorme esistente fra i lavori di Gloeden, Plüschow e Galdi.

Le sole persone che possono proporre un catalogo storicamente fondato sono i responsabili della Fondazioni Alinari, che possiedono 1000/1200 negativi sicuramente autentici, ma che a quanto pare sembrano convinte del fatto che i numeri sul retro dei positivi, o scritti sul bordo delle lastre di vetro, non costituiscano neppure "veri" numeri di catalogo.
In attesa che cambino idea, accontentiamoci perciò di questo inizio su WikiCommons.

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