Saggio riedito per gentile concessione dell'autore.
OSSERVAZIONI PRELIMINARI
L'indagine storica del rapporto tra arte e omosessualità non è affatto semplice. Le interpretazioni generalizzate, stereotipate, decontestualizzate e anacronistiche hanno portato spesso una certa diffidenza verso questo spazio di ricerca.
Una svolta rilevante è legata alla recente elaborazione teorica e metodologica, che prende le mosse dalle teorie di Michel Foucault. Fondamentalmente si è compresa la criticità del termine "omosessualità" - comparso solo alla fine dell'Ottocento - e che porta con sé concetti medici, psichiatrici, sociologici e culturali che connotano una condizione squisitamente contemporanea del desiderio omoerotico. Lo stesso discorso può valere per altri termini come "gay", espressione dell'attuale possibilità di auto-definizione degli individui omosessuali. Ogni indagine sul desiderio omoerotico, precedente alla creazione dell'omosessualità contemporanea, partirà dunque dalla necessità di concepire una diversa modalità discorsiva, un diverso modo di definire lo stesso oggetto di studio [1].
A questo si aggiunge un problema altrettanto articolato: chi produce i discorsi sul desiderio omoerotico? La risposta a questa domanda provoca irrimediabilmente una cesura tra livelli culturali diversi; alcuni studiosi hanno adottato una divisione tra cultura "egemone", quella eterosessuale, e sub-cultura, quella omosessuale.
In tale suddivisione, la cultura omosessuale solitamente emerge come "perdente" e "silenziosa" a causa del numero ridotto di discorsi prodotti, con rare possibilità di comprensione del modo in cui gli omosessuali percepivano se stessi e il loro rapporto con il mondo.
Vale a dire che nella maggior parte dei casi siamo costretti a definire il desiderio omoerotico, non sulla base dei discorsi prodotti dagli omosessuali, ma utilizzando quelli della cultura "egemone", solitamente impegnata nella condanna dell'omosessualità. Un'alternativa può derivare anche in questo caso da Foucault che incoraggia il valore della "polivalenza tattica":
«non bisogna immaginare un mondo del discorso diviso fra il discorso approvato ed il discorso rifiutato o fra il discorso dominante e quello dominato; ma qualcosa come una molteplicità di elementi discorsivi, che possono entrare in gioco in strategie diverse.
È questa distribuzione che bisogna restituire, con quel che implica di cose dette e di cose dissimulate» [2].
Si manifesta così il dialogo tra la "cultura egemone" e le possibili "sub-culture", per tale motivo sarebbe meglio parlare di compenetrazione tra livelli culturali. Anche la cultura "egemone" può celare - dietro i suoi silenzi e le sue condanne - informazioni sulla condizione sociale e culturale del desiderio omoerotico.
Difficilmente lo storico dell'arte sfuggirà a questi procedimenti critici, ma ne dovrà ricavare nuovi quesiti sull'uso delle immagini in una determinata società e il loro rapporto con il creatore, il committente e il pubblico [3]. In questa sede seguiremo un percorso tra XII e XIII secolo, mostrando come mutò in quel periodo la rappresentazione del desiderio omoerotico, con particolar riferimento al dibattito sull'omosessualità nei monasteri.
Terremo in considerazione soprattutto:
A) Le mutazioni sulle capacità di parlare del desiderio omoerotico.
B) L'uso discorsivo delle immagini nei contesti.
C) Il dialogo tra i diversi livelli culturali [4].
LE GENERALIZZAZIONI
Fu comunque dal Medioevo che il termine "sodomia" fece la sua comparsa e si affermò in riferimento agli individui omosessuali, indicandone il segno della condanna divina. Il termine derivava dagli abitanti di Sodoma, la città biblica distrutta da Dio assieme a Gomorra ai tempi di Abramo (Genesi 18, 16 : 19 1-29); le motivazioni della punizione non sono specificate, e nei primi secoli dell'era cristiana il "peccato" di Sodoma fu identificato con l'inospitalità e l'aggressività verso i forestieri [6].
Altro aspetto importante è l'inserimento dell'omosessualità all'interno dei sistemi più ampi. Ad esempio fu spesso considerata come attributo degli ebrei, dei musulmani, degli eretici, degli idolatri e dei pagani, un tema quest'ultimo particolarmente ricorrente già nelle parole di S. Paolo (Lettera ai Romani, I, 23-27) [8].
LE IMMAGINI E I TESTI
Le raffigurazioni più antiche del mito appartengono al mondo greco, dove Zeus e Ganimede divennero modello da seguire nei rapporti omoerotici pederastici all'interno del simposio. Attraverso i testi antichi e le loro rielaborazioni, il mito di Ganimede sopravvisse per tutto il Medioevo nelle biblioteche dei monasteri.
Jean Adhémar ha riconosciuto come fonte della raffigurazione di Vézelay l'Eneide di Virgilio (V, 249-255). Nel testo il ratto è descritto inserendo la presenza dei vecchi custodi e dei cani di Ganimede che si lamentano per il rapimento, elementi altresì riscontrabili nel rilievo [11]. Chi realizzò il capitello, ha organizzato le figure secondo una bipartizione concettuale della scena. A destra vi è Giove mutato in aquila, che con il becco afferra il giovane Ganimede, mentre stringe tra gli artigli un cane.
Dietro le ali dell'uccello fa capolino un demone dal volto grottesco [Fig. 3]. Nella parte sinistra del capitello si trova invece il custode, disperato e inerme davanti al rapimento [12].
Il capitello di Vézelay mostra la sopravvivenza di un tema antico e dunque l'esistenza di una certa conoscenza delle fonti classiche all'interno dell'abbazia; allo stesso modo l'identificazione del rilievo nell'etichetta iconografica di "Ratto di Ganimede" non spiega molto del reale significato dell'immagine.
LE IMMAGINI E I CONTESTI
D'altronde i testi antichi erano riprodotti nei monasteri; Ganimede - riesumato dopo secoli dal punto di vista figurativo - era in realtà una presenza nota, almeno nel mondo colto e all'interno della realtà culturale delle abbazie. Questo potrebbe motivare la scelta iconografica di Ganimede, come strumento di una particolare modalità discorsiva.
Nel 1049 circa, Pier Damiani scrisse un testo intitolato Liber Gomorrhianus, una critica ai comportamenti sessuali del clero con particolare denuncia delle pratiche omoerotiche, alle quali l'autore voleva far fronte imponendo ammende pesanti tra le quali la degradazione e l'allontanamento dall'ordine.
Nel De Miraculis di S. Pietro il Venerabile si racconta ad esempio di un monaco spinto all'azione pederastica dal demonio, la stessa figura del nostro capitello che sembra "spingere" Giove al rapimento.
NASCONDERE E RIVELARE
Esemplare è lo sviluppo di una poesia "omoerotica" che comprende nomi quali Marbodo di Rennes, Ilario l'Inglese, Baudri di Bourgueil. Anche nella raccolta poetica dei Carmina Burana troviamo un interessante racconto che ha come protagonisti due ecclesiastici amanti; uno dei due è gravemente malato e promette a Dio di farsi monaco pur di guarire, ma l'altro cerca di dissuaderlo a causa delle rigide regole monastiche.
Diverso è invece il caso di una miniatura di una Bibbia moralizzata conservata a Vienna e datata tra il 1215 e il 1230 [Fig. 6].
La dissimulazione del capitello di Vézelay, basata su un soggetto criptico noto all'osservatore interessato, qui è improntata su una narrazione che vuole oggettivare la tematica, mostrarla nella sua realtà con la voglia d'indicare con esattezza i comportamenti da evitare. La condanna rimane, ma viene presa in considerazione la possibilità di raffigurare il gesto omoerotico, dissimulandolo mediante la sua successiva disapprovazione.
PARLARE COME SODOMITA
Il codice di Vienna, che nello specifico fu realizzato per il Re di Francia, dunque molto probabilmente elaborato in modo sofisticato da un gruppo di teologi, mostra un'altra scena di sodomia [Fig. 7]. Questa è collocata in una pagina al confronto con altre tre scene per una serie di quattro medaglioni. I due inferiori mostrano Adamo ed Eva e la cacciata dal Paradiso. Il medaglione superiore di destra presenta invece la scena omoerotica in questione, non molto diversa da quella già vista all'inizio di questo contributo [Fig. 8, 1]. Due uomini, un chierico e un laico, giacciono in primo piano, mentre dietro di loro due donne si baciano, circondate da diavoli.
La figura del sodomita laico mostra alcuni elementi interessanti, come la cuffia in testa solitamente attributo degli ebrei o degli eretici; il suo vestito è inoltre sollevato lasciando intravedere la sottoveste nell'area del bacino, forse un richiamo al suo ruolo passivo nell'atto di penetrazione. Il medaglione superiore di sinistra, accanto alla scena di sodomia, mostra la Chiesa (Maria) e Cristo, una sacra unione che si contraddistingue dalla precedente per la diversità dei due protagonisti, la trascendenza e la quasi assenza di contatto fisico [19].
Rispetto alle immagini omoerotiche finora osservate, in questo caso assistiamo a una vera e propria casistica di atti, con una certa libertà dell'artista che ha raffigurato anche una coppia lesbica, e ha concesso ai due omosessuali una libertà di comportamento sorprendente. Come già proposto da Michael Camille, questa diversità potrebbe essere legata a un mutamento individuato nella storia della sessualità da Michel Foucault.
Secondo quest'ultimo, con il IV Concilio Lateranense del 1215 s'introdusse nella cultura occidentale cristiana l'esigenza della confessione.
Confessare i propri peccati, descriverli, elaborarli, raccontarli ed espiarli divenne un elemento centrale della nostra cultura, che comprese altresì la sessualità [20].
Già nel III Concilio Lateranense del 1179 si affrontò il tema delle pratiche omoerotiche provvedendo a fissare penitenze rigide sia per il clero sia per i laici, ma fu soprattutto il IV Concilio a prendere in esame l'argomento con una forte ripercussione nella società. Molti hanno notato che dal XIII secolo ci fu un aumento d'intolleranza nei confronti degli ebrei, dei mussulmani, degli eretici e dei sodomiti, anche se la sodomia era spesso usata per qualificare anche gli altri gruppi.
Questo è particolarmente vero per gli eretici, come nel caso degli Albigesi. Forse alcuni omosessuali aderirono veramente ai gruppi eretici per avere maggiore libertà, ma dobbiamo anche considerare che probabilmente molti omosessuali furono erroneamente accusati di essere eretici, e viceversa alcuni eretici furono accusati di essere omosessuali per inasprire le accuse contro di loro [21].
Grazie ai documenti processuali sono comunque giunte fino a noi molte informazioni sulla condizione della vita omosessuale del Trecento e del Quattrocento. Il caso più noto è quello di Arnaud de Verniolles, suddiacono e francescano liberato, processato da Jacques Fournier, vescovo di Pamiers, nel 1323.
Egli non riuscì a divenire prete e allora si finse tale, per questo motivo fu condotto davanti all'inquisizione, dove emerse anche la sua vita da sodomita. La sua confessione è una vera e propria indagine finalizzata a "costruire" l'origine del suo comportamento.
Egli raccontò di essere stato iniziato alla sodomia all'età di dodici anni quando fu mandato a studiare grammatica da un certo Maître Pons, divenuto poi frate predicatore. All'epoca dormiva nella sua stessa stanza e qui subì un primo abuso da parte del maestro. Ma la vera svolta ebbe luogo a Tolosa, dove si recò per i suoi studi. In città durante l'epidemia di lebbra ebbe un rapporto con una prostituta; credendo di essere stato contagiato dal morbo decise da quel momento di rinunciare a qualsiasi rapporto con l'altro sesso.
Iniziò dunque, sulla scorta di queste vicende, la sodomia di Arnaud, seduttore di giovani tra i sedici e di diciotto anni, spesso suoi scolari, ragazzi con i quali aveva rapporti frugali e in altri casi più cortesi, violenti o pieni di consenso. Arnaud era un uomo di cultura, conosceva i testi sacri, ma nei suoi racconti cita altresì la presenza dell'Ars Amatoria di Ovidio. Notevolmente egli non parla mai d'amore. Si trattò di una strategia difensiva, o di un vero e proprio vuoto: l'impossibilità di concepire un sentimento tra persone delle stesso sesso?[22]
Interessante è invece la strategia di difesa di Arnaud:
«Egli rispose che, sebbene pensasse che la sua natura lo facesse incline al peccato della sodomia, cionondimeno lo aveva sempre considerato un peccato mortale, ma pensava che fosse lo stesso che una semplice fornicazione e che la deflorazione violenta di una vergine, l'adulterio e l'incesto fossero tutti peccati più seri» [23].
Arnaud cerca di creare un posto per la sodomia all'interno della "gerarchia" del peccato sessuale, in cui eterosessualità e omosessualità viaggiano su uno stesso livello. Il processo di Arnaud non fu soltanto un momento di condanna delle pratiche omoerotiche, fino alla piena affermazione del concetto di sodomia, ma anche un'occasione per organizzare le conoscenze sulle stesse; per la prima volta un sodomita fu chiamato a difendersi, a descrivere i suoi atti, le motivazioni che lo spinsero a comportarsi in un determinato modo.
Dal parlare dei sodomiti come in Pier Damiani, si è giunti a "far parlare" i sodomiti stessi. Questo processo non rappresenta solamente la volontà di sapere della cultura egemone, che dovendo esercitare il proprio potere ha dovuto dar voce a quei corpi da disciplinare. Arnaud non è solo vittima di una volontà di sapere esterna ma anche artefice di una "volontà" interna di ricomporre la propria sodomia, di collocarla nella realtà esterna, di spiegarla a individui estranei a quella realtà.
Afferma Foucault:
«La sodomia - quella degli antichi diritti civile o canonico - era un tipo particolare di atti vietati; il loro autore ne era soltanto il soggetto giuridico. L'omosessuale del XIX secolo, invece è diventato un personaggio [...] Il sodomita era un recidivo, l'omosessuale ormai è una specie» [24].
Egli individua ancora una volta la grande distanza tra gli omosessuali e i sodomiti, questi ultimi non erano puniti in quanto tali ma per i loro atti, il loro era considerato un peccato dovuto all'eccessiva lussuria, non un'identità ma un'occasione.
Ma riflettendo sulla confessione di Arnaud ne emerge una consapevolezza molto diversa. Gli omosessuali di quei tempi non disponevano della nostra stessa organicità in fatto d'idee e senso di appartenenza, ma il processo di confessione diffuso dal XIII secolo portò per la prima volta a individuare i "sodomiti" come una categoria distinta da uno stesso "peccato". Potremmo dunque riassumere in tre punti le grandi trasformazioni messe in atto tra XIII e XIV secolo:
A) Chi praticava rapporti omoerotici fu costretto a prendere "sul serio" le sue pratiche o condannandole o accettandole.
B) I Sodomiti iniziarono per esigenza interna ed esterna a riflettere sulle loro pratiche, cercando di trovare delle risposte soddisfacenti.
C) La condanna esterna portò i Sodomiti a essere individuati come un gruppo.
Credo che in certi versi la Divina Commedia sia la conclusione di questo processo. Dante incontrò i Sodomiti nel terzo girone del settimo cerchio dell'Inferno, tormentati da una pioggia di fuoco (Canto XV, XVI vv. 1-90), e nella settima cornice del Purgatorio, dove i Sodomiti condividono lo stesso spazio dei Lussuriosi, tutti tormentati dalle fiamme che divampano dal terreno (XXVI canto).
Un'interessante illustrazione del canto dell'Inferno si trova nel manoscritto di Chantilly del 1335-1340 [Fig. 9]. Nell'immagine Dante parla con uno dei sodomiti - il suo maestro Brunetto Latini - mentre gli altri dannati sono raffigurati tutti assieme in preda ad una patetica frenesia. Tra di loro ancora un uomo con la tiara vescovile [25].
Non solo i Sodomiti sono qui individuati come gruppo, ma quel che è più rilevante è la tipica azione che coinvolge i protagonisti della Divina Commedia, chiamati a rivelarsi confessando e narrando le loro vicende.
CONCLUSIONE
Sicuramente il Medioevo ha segnato la condanna delle pratiche omoerotiche da parte della Chiesa cristiana, ma allo stesso tempo tale condanna provocò anche gli effetti contrari. Il Medioevo non fu l'epoca del silenzio, fu al contrario il momento di "apertura delle bocche" dei Sodomiti. Le immagini e le parole non ci raccontano solo della nascita di una grande condanna, ma anche quella di una grande libertà e di un nuovo tipo di esperienza, quella del "parlare" e "raffigurare" l'omosessualità; la creazione non soltanto di una volontà di sapere esterna ma altresì di una "volontà" interna, in grado di restituire forse un minimo di soggettività omosessuale, o comunque in grado di produrre significati e di organizzare la realtà omoerotica.
Qualsiasi analisi della Sodomia nei secoli successivi, e probabilmente anche dell'omosessualità dall'Ottocento a oggi, non può che partire dal considerare la grande variazione "discorsiva" generata tra l'XI e il XIV secolo. Vorrei dunque ricordare le parole di S. Bernardino da Siena, il predicatore del Quattrocento che spesso parlò della sodomia con toni di condanna, ma allo stesso tempo ricordando l'importanza delle parole:
«Tu dirai: Perché la nomini tu in prediche? Si fa come una utriaca, e una medicina alla soddomia; come nell'otriaca si mette il tiro velenoso per spegnere gli altri veleni, così la predica è il tiro dell'otriaca composta con molte cose per medicina a' soddomiti. In uno sermone di santo Agustino, dove il nomina, dice ch'egli è fatto il nominarlo in correzione, come un fuoco grande che purga la cattiva aire corrotta. Il fuoco col focoso parlare per riprenderlo, purga la corrotta aire della soddomia» [26].