La poesia e il teatro di Ciro Cascina

Intervista a Ciro Cascina, poeta e attore, cultore della tradizione orale.

Premessa

Ciro Cascina è uno straordinario poeta e uomo di spettacolo. Ogni volta che si assiste ad una sua performance ci si chiede perché un attore così bravo non sia diventato il grande attore che è anche nella percezione di un più vasto pubblico e perché non sia mai approdato nei grandi teatri.

Il fatto è che egli stesso è allergico a qualsiasi forma di compromesso o anche di inquadramento in una qualche regola e le sue esibizioni nascono quasi esclusivamente da situazioni in cui si sente pulsare la vita, in cui il teatro diventa happening collettivo.

Le sue poesie e le sue rappresentazioni sono un'originale e inedita contaminazione di cultura camp, di tradizione teatrale napoletana, di arte del travestitismo e di impegno politico.


L'inizio della sua attività risale alla fase eroica del movimento di liberazione omosessuale, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Novecento, quando tra campeggi gay, autocoscienze e assemblee, manifestazioni allora considerate scandalose e primi incontri con le istituzioni, egli ha interpretato e messo in scena gli umori, i desideri, la vita dei gay di quegli anni.


Un suo spettacolo, La Madonna di Pompei, è un cult e capita spesso di trovare dei giovani che chiedono notizie di questa Madonna di cui hanno sentito parlare e che vorrebbero vedere rappresentata, ma lui non ha intenzione di riprendere quello spettacolo. Dice che oggi non avrebbe senso. I suoi spettacoli nascevano in quella particolare situazione storica senza essere programmati,

senza testi scritti. Oggi l'atmosfera è un'altra ed egli recita in uno spettacolo sull'utopia e su Tommaso Campanella al "teatro delle palline" insieme a Gabriele Cerminara, altro bizzarro personaggio del nostro teatro, giudice in pensione, tra i fondatori di "Magistratura Democratica", grande artista, creatore di statue lignee di straordinaria bellezza.

Insieme a Cerminara sta preparando una rilettura del Don Chisciotte, sempre per il "Teatro delle palline" a Roma, una bizzarra realtà teatrale, seguita da un pubblico selezionato che ha una dimensione quasi privata e familiare.


Intanto Cascina ha partecipato al film Cerasella: ovvero estinzione della femminella realizzato da Massimo Andrei su commissione dell'Università di Napoli e nel corso di quest'anno ha tenuto un incontro con un gruppo di studenti all'Università di Roma "Tor Vergata". Le sue poesie e i suoi assaggi teatrali di straordinaria intensità (tra cui un bellissimo e recente monologo dal titolo Salvatore detto Samantha), la sua "lezione" sulla figura del femminiello, con excursus sulla cultura orale, sul movimento gay dei primi anni, sull'essere gay oggi sono lo spunto da cui nasce questa intervista, che tenta di recuperare la storia del suo fare teatro e dare un'idea di un personaggio straordinario, tra gli ultimi rappresentanti di una cultura orale difficile da documentare.

La forma dell'intervista viene però un po' stravolta. Ciro risponde solo in parte alle domande che gli vengono rivolte, preferisce conversare o sviluppare temi che affiorano da suggestioni del momento, e spesso esplode in esilaranti o drammatici momenti teatrali in un gioco che difficilmente si può riprodurre in un testo scritto. Anche la sua lingua, infarcita di locuzioni dialettali o gergali e accompagnata da una innata teatralità, nel passaggio alla scrittura perde buona parte della sua forza e della sua efficacia.

Intervista a Ciro Cascina

Dagli anni Settanta siamo in molti che ammiriamo le tue performances teatrali, ma di te, della tua formazione, del tuo modo tutto particolare di essere autore e attore, del tuo percorso teatrale non sappiamo quasi niente. Ci parli un po' di te? Chi è Ciro Cascina?

- Io non sono la persona adatta a parlare di me. Io so poco o niente. Non sono in grado di tracciare un percorso, c'è un mio modo di essere, diciamo teatrale, che è stato il mio modo per sopravvivere alla diversità. Mi spiego meglio: l'omosessualità non esiste, né esiste l'omosessuale, secondo me.

Esistono persone che a partire da una matrice che possiamo definire come un afflato sentimentale per una persona del proprio sesso, cercano di adeguare la propria vita a questo loro sentire. I modi possono essere tanti, uno lo fa vestendosi da donna, un altro mettendosi la cravatta, o facendo il prete o la drag queen o il papa. Io da bambino mi ero accorto che se dicevo "sono donna" suscitavo risate che, anche se bonarie, mi deprimevano. Però se recitavo Filomena Marturano (che ho recitato giovanissimo) la gente si commuoveva, mi riconosceva, riconosceva la mia parte femminile. Ho utilizzato questa dote, questa capacità, che fa parte del corredo dell'umanità, per sopravvivere.

Su questo torneremo, io però vorrei provare a delineare un tuo percorso umano e professionale. Vogliamo partire dalla tua infanzia ?

- D'accordo, nasco a Portici, poi però molto piccolo, a 5-6 anni, mi trasferisco a Torre Annunziata. È lì che comincio ad avere coscienza di me. Di Portici non ho ricordi.

È a Torre Annunziata che ho cominciato a raccontare storie. Lo facevo nel cortile dove ci si riuniva ragazzi e ragazze. Loro aspettavano che io raccontassi e io raccontavo... storie immaginarie che mi inventavo e a loro piaceva.

A Torre Annunziata hai frequentato le scuole? Fino a quando?

- Sì, certo, ho frequentato le elementari, le medie, poi ho smesso. Successivamente ho preso il diploma magistrale e mi sono pure iscritto all'Università dove ho fatto due anni di medicina, ma poi ho lasciato perdere. Non ero uno studente brillante, tutt'altro....

Non eri uno studente bravo, però avevi molto successo come narratore di storie e come attore

- Uh, sì...queste cose mi esaltavano... Poi ho cominciato a frequentare le case degli omosessuali e lì ho cominciato le mie vere e proprie rappresentazioni, perché nel Sud era così (io dico nel Sud perché è la realtà che ho conosciuto e vissuto, ma magari era anche di altri posti). All'epoca ci si incontrava nelle case, il capello fatto, un po' di trucco, si invitavano i maschietti. La padrona di casa

cucinava qualche cosa. E poi dopo la cena c'era di solito un'esibizione. Chi faceva lo spogliarello, chi raccontava una barzelletta, chi cantava una canzone. Io partecipavo facendo quello che poi, quando si sono aperti i primi locali, ho fatto in pubblico, davanti a più persone.

Queste case erano frequentate solo da maschi?

- No, eravamo sempre due o tre femminelle e poi c'erano i maschi.

Sì, immagino... io dicevo eravate tutti biologicamente di sesso maschile.

- Sì certo, assolutamente, e ognuno, sai come succede, recitava la sua parte: alcuni interpretavano il ruolo maschile, noi altri recitavano il femminile ... in questo tragico corpo maschile.....

E così l'esibizione teatrale era pure un mezzo per sedurre i maschietti ?

- Sì, certo, ma non era il solo modo. Sappiamo che i modi sono tanti. Senza scandalizzarci sappiamo pure che c'è un'omosessualità che vuole essere punita, pensa a chi la vive facendo il padre di famiglia o il poliziotto. Si tratta di persone che poi quando queste cose le vivono hanno bisogno di un calcio in faccia. Noi avevamo bisogno di essere riconosciuti per un sentimento. Poteva succedere

che a uno facevi un pompino e poi il giorno dopo non ti salutava nemmeno, però quel momento non era mai solo sesso, era desiderio dell'altro, della sua interiorità.

Ci stavano quelle più avventuriere che vestite della loro fragilità, ma corazzate di ferro, andavano a fare pompini ai poliziotti. Noi avevamo bisogno di questo sentimento, di avere la nostra ricompensa affettiva...

Tutto era finzione, naturalmente.... non è che il giovanotto che ti inculava o a cui facevi un pompino il giorno dopo ti presentava alla mamma o ti mandava i fiori, però c'era a volte una forma di innamoramento, c'erano alcuni che avevano una loro sincerità, e non ce la facevano ad essere ipocriti... Li incontravi, magari in un bar, ti salutavano, ti offrivano il caffè e se un cugino, un

amico diceva: "Ma comme! Tu cunusci a chella femminella?". Lui poteva dire: "Eh, ma tu nun sai...quello è un grande attore... cioè... sì, è una femminella, ma nun fa solo bucchini, fa pure questo, questo e questo... e quanno recita è favolosa, fa cierti spogliarelli che te lo fa rizzare...e tu non ci criri ca è n'ommo...".

Insomma erano anche incontri di complicità, tu volevi in qualche modo essere riconosciuto e dall'altra parte anche loro volevano una sessualità riconosciuta che implicava un coinvolgimento anche dell'anima E in alcuni casi si poteva anche giungere ad una forma di fidanzamento, magari clandestino, perché il maschio non doveva essere sputtanato.....

Vita e teatro...ma quando hai avuto la consapevolezza di essere un attore?

- Mai. Quando ho cominciato a fare le prime esibizioni in qualche locale, qualcuno ha scritto su un giornale "si è esibito l'attore Ciro Cascina...". Sono gli altri che hanno deciso che io fossi attore, per me era la mia vita... Io mi esprimevo, il mio essere attore è stata una cosa riconosciuta dagli altri. È come se ad un bambino che bacia un altro bambino, gli si dice: "tu sei omosessuale"... e lui si convince di essere omosessuale, ma non lo sapeva.... Quando mi hanno detto: "ma tu sei un attore...", io mi sono convinto di essere attore.

È cominciata così la tua carriera?

- No, hanno fatto tutto gli altri. C'erano quelli che facevano delle esibizioni...qualcuno mi ha detto "vieni anche tu....", io sono andato, ho vissuto quelle situazioni, però io fino ad oggi, non sono mai diventato un attore professionista, è una mia faccenda di fedeltà.

È come se io facessi la puttana senza mai professionalizzare il mio fare la puttana. Non è mai diventata una professione per me. Anche le mie ultime apparizioni o le mie esibizioni dentro il movimento di liberazione gay, sono sempre state come la prima volta. È sempre come se io sapessi che se parlo normalmente nessuno mi prende in considerazione o magari mi prendono in giro... Se invece "recito": "Ueh... femminéeee..." mi ascoltano. Questo ancora adesso. Io non sono mai stato assorbito dal teatro inteso in maniera professionale.

Le tue performances sono la tua vita, ma ti assicuro che a vederti uno si chiede in quali scuole hai imparato....

- Sì, certo una scuola c'è stata, io ho imparato nelle case dove ci si riuniva. Lì le esibizioni erano delle vere e proprie accademie, e era dura, perché lì avevi a che fare con grandi professionisti della rappresentazione... altro che accademia Silvio d'Amico o scuole di recitazione.... Io lì ho conosciuto femminelle che mi hanno dato un indirizzo e c'era una selezione spietata... Non è che tu eri femminella e ti esibivi.... Lì ho conosciuto attori grandissimi che nessuno conosce ovviamente...

Che so... Un esempio: Antonia a Fuchera, una grandissima interprete della canzone napoletana sceneggiata, femminella dal tono e dalla corposità sanguigna di una Anna Magnani, una di quelle donne che quando parlano della passione, ti strappano lacrime. Poi c'era 'A Millecinche, una ballerina di un'ironia straordinaria, 'A Pallona... e altre... Quello era un teatro straordinario...è

difficile rendere con parole quelle esperienze.

Queste persone poi che strada hanno preso?

- La maggior parte di loro, stanche, hanno abbandonato, ma stanche per via della trasformazione culturale che c'è stata. Come ti ho detto stiamo parlando di un periodo di passaggio dalle case ai locali. Io ho vissuto gli ultimi momenti di un mondo e gli inizi di un altro. E con i locali gay è cambiato lo status della femminella che si esibiva. È cominciata una forma di normalizzazione. È scomparsa la femminella che si metteva un lenzuolo addosso e diventava Sarah Bernhardt, ma veramente Sarah Bernhardt... con la sua anima. Poi con i locali è cambiato tutto, il vestito doveva essere quello, il trucco era il trucco... e da Torre Annunziata andavi a esibirti in città... perché i locali sono nati nelle città.... nell'ottica di una normalizzazione... E così alcuni si sono stancati, non si sono sentiti parte di questa trasformazione. Alcune sono diventate Star, dove però non c'era più la

femminella, magari con la barba e con imperfezioni di ogni genere che però con un vestito addosso era Sarah Bernhardt... No, ora via la barba, via tutto, dovevi essere donna completamente e poi l'esibizione doveva finire con la sorpresa che doveva choccare.... via la parrucca, e qualche altro armamentario e tutto doveva finire con la sorpresa che sotto c'era un pisello.

Questa messa in scena non mi apparteneva, mi stancava e come me stancava molti di noi. Detto così sembra un fatto di volontà, invece non era un fatto di volontà. Istintivamente sentivo di dover mantenere questa ambiguità, di non accettare questa normalizzazione.

Comunque alcune esibizioni nei primi locali gay napoletani, come Il Bagatto, tu le hai fatte?

- Sì l'ho fatto, c'era la femminella che cantava in play-back, l'altro ballava. Io facevo dei monologhi, recitavo...

Erano pezzi tuoi ?

- Alcuni sì, ma anche di altri, di Franca Valeri, soprattutto.

E tu non ti truccavi come gli altri....eri un femminiello molto anomalo..

- Sì, perché io avevo e ho questa pretesa, non di essere donna o di sentirmi donna, ma di mettere in scena e di sentire certe qualità femminili.

Quello che ti sto raccontando però - non dobbiamo dimenticarlo - è solo una piccola parte di infinite possibilità e risposte, era un modo di adeguarsi secondo una educazione, una sensibilità, secondo un modo di stare nel mondo.... Ma questo è solo un aspetto, uno dei tanti, magari nel portone accanto un altro stava rappresentando un altro modo, e un altro un altro ancora.....

In quegli anni nasce il tuo spettacolo più noto La Madonna di Pompei, era la metà degli anni Settanta, credo...

- Sì, più o meno, non so dirti le date. La Madonna di Pompei che hai visto tu nasce da vari tasselli: una cosa che avevo fatto a Pisa, un'altra a Bologna, poi quel tassello più un altro tassello... nasce come un insieme di piccoli monologhi che poi sono diventati La Madonna di Pompei.

L'idea semplice e geniale di questa mamma che dialoga con la madonna di omosessualità. Come nasce?

- L'idea mi viene sicuramente da una cultura. Qui bisogna fare un discorso antropologico sulla cultura proletaria e sottoproletaria. Quando succede un fatto grave in una famiglia del sud - e parlo di un sud proletario e sottoproletario che esiste ancora - si sa dove andare per risolvere un problema, si va nell'altro mondo. All'epoca si andava dalla Madonna di Pompei... ora magari si va da Padre Pio che è più di moda, ma allora al primo posto della Hit Parade c'era lei, la Madonna di Pompei.

È un modo di risolvere i problemi. Il borghese conosce, che so, il primario del Cardarelli, va a parlarci e ha un rapporto con la malattia materiale e razionale. Noi, dico noi come cultura, abbiamo un rapporto diverso, ci rivolgiamo ad una assenza. Questa entità può aiutarmi, può farmi quello che volgarmente chiamiamo grazia.

Allora credo che una mamma, che non era la mia, ma poteva essere la mia, quando si è trovata ad avere un figlio omosessuale, un figlio miezza-femmina, che fa? Si rivolge alla madonna.

Tutto quel mio discorso più che all'omosessuale era rivolto alle mamme. Tu, madre non devi sentirti sola, perché hai una grande compagna - anche lei con un figlio diverso - una compagna che tutti amiamo, la donna per antonomasia che è là, lei ha vissuto con un figlio diverso, le ansie che vivi tu... A questa madre tu non devi chiedere miracoli, ma compagnia, comprensione. Il miracolo tu lo vai a chiedere se sei isolata, ma tu non sei sola, anche Lei, la Madonna, è come te.

Alla madre napoletana poi tu affianchi la madre milanese in pellegrinaggio dalla Madonna per lo stesso motivo...

- Certo, perché le forme sono diverse, ma la sostanza è la stessa. Dietro queste diverse forme c'è una sola matrice, la capacità di comprendere l'altro. Poi se tu mi odi e sei fascista mi chiami frocio, se ti sono indifferente mi chiami omosessuale, se stai su un altro gradino verso un avvicinamento mi chiami in un altro modo ancora, se entri in me, se ti immedesimi tu puoi anche dire... sei una persona meravigliosa...

Questa era allora la tua forma di militanza nel movimento gay?

- Sì, il movimento omosessuale, come l'ho vissuto io e come era allora, nasceva non per dire "riconoscimi", ma per dire "riconosciti". Perché io già mi sono riconosciuto, ora qualsiasi cosa tu mi dici io i bucchini e vago a ffà... Sono solo infastidito, cioè la mia gamba diventa pesante nei movimenti perché tu mi metti continuamente lo sgambetto. Tu non vuoi riconoscerti e quindi non riconoscendoti te la pigli con me. Io debbo simboleggiare quello che tu non vuoi riconoscere.

Attraverso il disprezzo di me tu dici "io in questa faccenda non mi riconosco".

Torniamo alla Madonna di Pompei, io ho assistito ad alcune tue rappresentazioni ed erano sempre diverse.... esiste un testo scritto?

- No, non esiste. Io non sono un esperto di teatro, ma credo di poter dire che questo spettacolo non appartiene a un teatro in quanto testo. Diciamo che è un testo di canovaccio. Una volta sono stato costretto a scriverlo. Non ricordo la data, ma è stato quando ho partecipato ad una 6 giorni di monologo teatrale a Milano. Si trattava di una iniziativa organizzata dal comune di Milano.

C'erano vari partecipanti e per partecipare bisognava mandare un testo. La questione era difficile, non perché io non sappia scrivere. Il fatto era che il testo lo dovevo firmare io, e la cosa non era così, perché si trattava di un testo che aveva avuto tanti sceneggiatori, perché la rappresentazione di volta in volta assumeva aspetti diversi che scaturivano dall'umore del momento, dalla situazione e dagli spettatori. Io non me la sentivo di dire "è un testo mio". È un testo di un'epoca. Comunque fui costretto e misi giù un po' di cose che ricordavano il percorso dello spettacolo, perché la mamma davanti alla Madonna è uno dei percorsi... questo personaggio ti porta anche in altre situazioni, nei luoghi di battuage, nella famiglia, nel desiderio e poi culmina in questo incontro di madri.
Io allora entravo in scena molto travestito, non nel senso di travestito da donna, ma sovraccarico di oggetti, di tessuti, di scialli.... Arrivavo in scena e la prima cosa che facevo toglievo tutto, come se la scena dovesse avere una pulizia dove non dovevi travestirti. Iniziavo con qualcosa di classico e così all'inizio lo spettatore aveva l'impressione di essere a teatro. Io ora razionalizzo e do spiegazioni, ma allora mi veniva così... L'idea era... Ti potrei incantare con toni e testi teatrali e poi aspettare i fiori in camerino... Tutto questo non c'entra. Qua stiamo facendo un'altra cosa...

Appunto...parliamo di quest'altra cosa.

- Io non partivo dalla difesa dell'omosessualità, volevo far sentire una voce di umanità, perché tu ti possa permettere di essere umano con me. Se io mi propongo con un mio ruolo, tu assumi un altro ruolo. Se io mi propongo da frocio, tu, se sei fascista, mi dai un pugno, e recitiamo tutti e due la nostra parte. Quindi io facevo un'altra cosa.
Il teatro, prima di diventare quello che è con i suoi riti, il biglietto, da pagare, il luogo, ecc. faceva parte dell'esistenza. C'era chi faceva una cosa, chi andava a caccia, chi cucinava, chi intratteneva con le sue fantasie a tavola. Io forse appartengo a questo tempo. Storicamente sarà finita questa forma di teatro-esistenza, però c'è gente, tanti come me, che continuano a fare teatro in questo modo.
Tu dici a uno "Come sei stato bravo, come hai detto bene quelle cose.... perché non fai teatro?.... quello lo fa ma non ci pensa proprio".

Poi il teatro si è diviso dall'esistenza, è diventata una professione. Come c'era una volta un Socrate che tu incontravi in piazza e adesso devi fare una fila enorme per andare a sentire Galimberti.

Senza dare giudizi, brutto o bello, io appartengo più alla piazza dove c'è uno scambio di qualcosa, di pensiero, di filosofia, di ozio anzitutto. Le mie sono rappresentazioni di ozio e l'ozio per esprimersi ha bisogno di cordialità. L'argomento omosessualità mi porta cordialità perché lo trovo uno degli argomenti più umani che esistono.

Tu però hai partecipato anche a qualche spettacolo istituzionale?

- Sì, ti dico in che modo. Fui scritturato da una compagnia per uno spettacolo dentro gli scavi di Pompei. Il regista Sergio Pacelli, bravo, portava in scena l'Aulularia di Plauto e dato che allora era di moda l'attore en travesti (in molti spettacoli dell'epoca c'era) mi affidò il ruolo di una vecchia governante. Facciamo le prove, poi però la sera della prima io non mi presento. Non ero a Napoli e non mi andava di tornare. Il fatto è che non ci troviamo. Partecipare a questa cosa per me è l'esistenza e io in quel giorno ero da un'altra parte. Non ci incontriamo. Il regista mi ha cercato, io ci ho provato, ma non ci incontriamo. Come se uno dice.. va bene, mi sposo, tanto tutti sanno che sono frocio... Ecco, io non ce la faccio. Il momento che devi essere fisicamente lì non ci vai.

Quindi tu L'Aulularia non l'hai recitata?

- No, poi l'ho fatta. Sono arrivato la terza sera e poi le repliche le ho fatte tutte, ma questo episodio te lo sto raccontando per farti capire che non è un fatto di snobismo, ma si tratta di una difficoltà reale a sentire la mia recitazione come un mestiere... Se no uno dice "ma questo quanto è pazzo!"

Comunque un avvicinamento tra te e il teatro c'è stato...

- Sì, c'è stato, perché era un teatro che in qualche modo mi interessava, era un teatro di avanguardia, come si diceva allora, di ricerca. Io comunque continuavo a fare cose in qualche locale, nelle piazze. Alcune cose poi le ho fatte, certo, è come un fiuto, tu alcune cose le fai, altre no. Così, che so, a fare uno spettacolo in mezzo agli operai della Fiat in sciopero ci sono andato, nei centri sociali pure. Perché sentivo che lì c'era qualcosa che aveva a che fare con l'umanità.

Mi parli un po' di queste esperienze con gli operai o nei centri sociali?

- Ci vorrebbe qualcun altro a parlarne. Io queste cose non le vedo come se le avessi fatte io. Se uno mi dice hai fatto questo? Io dico sì l'ho fatto, ma non è che io ci metto una data... Era un movimento della vita, io stavo lì. Non è che avevo organizzato io lo sciopero degli operai, gli operai a quell'epoca scioperavano e io ero a Torino, c'era questo entusiasmo per queste forme di rappresentazioni e sono andato.

E come è andata?

- Ci stavano varie rappresentazioni, c'era pure Franca Rame. C'ero io con pochi altri a fare qualcosa sull'omosessualità, perché l'omosessualità all'epoca (come se oggi fosse cambiata qualcosa!!!...) non era proprio l'argomento degli operai. L'operaio, dicevamo allora, è per metà comunista, ma per l'altra metà i fascisti non li vede proprio... Siamo tutti compagni, ma dalla vita in su. Dalla vita in giù non si tocca e non si discute. E così io e il mio gruppetto di froci facevamo il nostro spettacolo e gli operai un po' lontani, poi a poco a poco si avvicinavano pure, si scioglievano un po', si divertivano pure e magari, anche se con qualche perplessità, pensavano che anche questo nostro modo di essere doveva forse entrare nella loro idea di rivoluzione.

E nei centri sociali?

- Lì è un po' diverso perché loro ti sono in ogni caso più vicini. Sai, lì più sei disgraziato, più ti applaudono, se poi sei frocio, cioè l'ultimo dei disgraziati, un loro calore te lo danno...In ogni caso, se racconti qualcosa di autentico, loro lo colgono e si crea una bella forma di intesa.

La tua esperienza col movimento è emblematica di un'epoca, un forte legame tra teatralità e movimento...tra gli anni 70 e 80.... Tu più intellettuale, ma c'erano pure le Pumitrozzole, Vinicio Diamanti.... molta partecipazione e una particolare forma di teatro che è finita.

- Sì è stata una cosa molto bella, ma proprio per questo è iniziata ed è finita. Tu ti accorgi della bellezza delle cose quando finiscono. Il movimento, come l'ho vissuto io, quello degli inizi, è stato grande perché era fatto da persone di un grande sentire. Poi sono venute altre generazioni, con altri discorsi. Dovevi essere figlio di quegli anni per avere quel sentire. Attenzione però... finire significa evolvere in un'altra cosa.

Tu hai tirato un po' le somme, hai chiuso una fase e hai fatto altro. Cioè?

- Sì, ma non è una cosa che decidi. Ho partecipato a qualche film, ho fatto ancora degli spettacoli in qualche locale, in qualche piazza. Non sono io che faccio un'altra cosa... tutto il mondo ha fatto un'altra cosa.

E poi è avvenuto l'incontro con Gabriele Cerminara e col teatro delle palline. Me ne parli?

- Sì, questa è una situazione un po' come ai tempi antichi. Che vuol dire tempo antico? un tempo senza tempo, un tempo che racchiude tutti i tempi. Io sto lì perché loro hanno un tempo che mi corrisponde. Lì una prova può durare tre ore, oppure non si fa proprio. Mi sento a mio agio. Una sera posso recitare così, un'altra sera in un altro modo. Nessuno mi dice niente, perché sono più pazzi di me, perché sono antichi come me.

È una cosa molto bella anche perché mi ha dato la possibilità di conoscere una grande esistenza che è Gabriele Cerminara.

Come è avvenuto l'incontro con Cerminara?

- Come tutti gli incontri miei, così...per caso, ma poi non è un caso, evidentemente. Io abito lì a San Lorenzo, con Carlo Poggioli, lì sotto c'era un'officina. Un giorno l'officina è stata venduta e l'ha comprata con i soldi della sua pensione Gabriele Cerminara. L'ha comprata per realizzare il suo sogno di creare uno spazio per le sue sculture lignee. Sono sculture di grande espressività che lui considera come in una trama teatrale, ma lui è un altro pazzo, perché le sue sculture starebbero bene anche da sole in un museo. Però nella sua mente sono momenti teatrali.

All'inizio io guardavo con curiosità sospettosa, però queste cose di legno mi piacevano molto, poi vedevo che dopo lo spettacolo si chiudevano dentro e mangiavano, bevevano, boh, mi sono detto, sarà una setta. Poi una sera mi hanno invitato, sono entrato, c'era bella gente, lui ha un bel pubblico, che se proprio dobbiamo definirlo, sempre perché abbiamo bisogno di etichette, possiamo dire di intellettuali di sinistra, però borghesi. Sai, tu lo vedi così... come una delle sue statue, ma lui è stato un grande magistrato, uno dei fondatori di Magistratura Democratica. Con lui ho fatto prima uno spettacolo di poesie sulla guerra, poi abbiamo fatto uno spettacolo molto bello sui migranti, poi l'utopia di Campanella e forse faremo un Don Chisciotte. Con lui ci sto bene, poi, diciamoci la verità, lui e gli altri della compagnia, sono gli unici che mi possono tenere. Ci teniamo a vicenda... 'o surdo e 'o cecato. Io mi appoggio a loro e loro si appoggiano a me.

Un'ultima cosa: chi era Samantha?

- Salvatore era un mio carissimo amico, quando è morto hanno scritto sui manifesti di lutto "Salvatore detto Samantha"... è come se la comunità avesse finalmente riconosciuto la sua femminilità. Aveva avuto una storia con il figlio di un boss della camorra e la storia era durata tanto tempo, poi il boss ha deciso di sposare una donna. Lei non ci ha visto più, era gelosa, parlava della sua storia e sai come è? La camorra non perdona..... Questo mio monologo è un omaggio a lei e alla sua vitalità....

Due testi di Ciro Cascina: 1 "Salvatore detto Samantha"

Salvatore detto Samantha

Amava le nuvole bianche

Libere, nel cielo terso d'aprile.

Samantha amava soprattutto l'estate

radiosa di azzurro e di giallo

profumata di caldo.

Samantha amava pescare

amava remare

amava tuffarsi

nelle acque profonde del golfo.

Samantha amava sdraiarsi languiiida

sullo scoglio nero di lava.

A mo' di sirena: scampolo finale

di un mito lontano.

Samantha maneggiava denaro ed intrighi

nel suo vascio a ridosso del porto,

profumato di muffa e di alghe marine

pulito, lustrato con AIAX SCHIFF e VARRECHINA.

Samantha era assoluta regina

in quei vicoli neri e contorti

dove con falcata spavalda

da cavalla indomata

avanzava

tra le grida sgraziate

di bimbi

già adulti

col bacino

che sbatteva come batacchio

di campane pasquali

avanzava

tra le bestemmie sguaiate

di donne barbariche - ferite

da un sogno troppo presto svanito -

con la schiena

flessuosa e sensuale

come un tango argentino

avanzava

tra i sorrisi ammiccanti

di maschi arrapanti

nei loro gesti

di guappi indolenti

(di cui Samantha conosceva i vizi segreti).

Samantha come mestiere

si vestiva di sogni

e spacciava menzogne

come se fosse una merce

Samantha parlava soltanto in dialetto

succoso come succo d'arancia

amaro come il lupino

sacro come una pigna

'gnurante come i friarielli.

Samantha aveva nel petto

un vulcano di fuoco

che incendiava di vita

la vita.

Samantha diventava bambina

quando pregava Maria della Neve

icona venuta dal mare

dal viso color cioccolata

precisa sua madre

Samantha amava in maniera smodata

pirati, poeti, banditi

detestando con tutta se stessa

come detestava la morte

le loro false promesse d'amour

In un bellissimo pomeriggio d'estate

stagione da lei molto amata

Samantha

Fu trovata impiccata

Per metà soffocata da suo stesso canto

Per metà assassinata.

Due testi di Ciro Cascina: 2 "L'amore"

L'amore

L'amore non va guardato

Con occhio attenti

Con occhio sensato

Con occhio chimicamente esatto

Lo si offende

Lo si aggredisce

Lo si comprime

Lo si ferisce

L'amore va guardato

Con occhio perennemente

Incantato.

E chi non ha l'incantamento?

Può vivere bene lo stesso

Non so

Può andare a caccia d'uccelli

Acchiappare farfalle

Ma chi in sé ha l'incanto

Può ridere, ridere tanto

Perché l'amore

Come il mondo

Si poggia su niente

Perché l'amore

Come il mondo

È un tappeto volante

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