Recentemente ho trovato una calamita per frigoriferi con un disegno in stile anni 60, di quelli estremamente pop che andavano per la maggiore nelle pubblicità di quegli anni, con raffigurato un giovane cow boy nella posa piuttosto classica con i gomiti su una staccionata e la testa girata in direzione di quella di un cavallo. La cosa più interesante è la didascalia. «Prima di essere alla moda ero solo un cow boy gay». Il riferimento ovviamente è ai protagonisti del film di Ang Lee I segreti di Brokeback Mountain. Film molto apprezzato dalla critica e dal pubblico, che ha regalato notorietà ai suoi protagonisti e diversi premi al regista. Una storia che ha avuto anche il pregio di introdurre una forte variante all'eterna raffigurazione del macho dedito alla transumanza del bestiame e a lunghi momenti di intimità forzata tra maschi nelle solitarie notti vuoi del west iconografico come delle montagne di tanto immaginario cinematografico. Un genere, quello western, che ha regalato al cinema grandi opere, molti soldi in termini di ricavi e una serie di divi eternati con cappello d'ordinanza, la stella al petto o il lazzo alla cintura. A questo genere particolare un grande contributo l'ha offerto anche l'Italia, quando le sue produzioni cinematografiche avevano ancora l'ardire di insegnare il mestiere, indicare la direzione, imporre le mode. Il così detto Spaghetti Western che ha visto in Sergio Leone il suo maestro e in molti altri dei gregari d'eccezione, capaci spesso di variazioni magistrali sullo stesso genere, fino alla nascita (atto finale) della parodia e della commedia dei vari Trinità e accoliti. Ma come è stato trattato negli Spaghetti western il tema dell'omosessualità? In molti (Tarantino compreso1) hanno riconosciuto un sottotesto omoerotico in molte di quelle storie, a partire proprio da alcuni soggetti del maestro Leone.
Sergio Leone disse in molte interviste che i personaggi femminili nei western non sono interessanti perché la cosa più importante è l’amicizia virile tra i personaggi maschili. Infatti è facile rileggere sottotesti omosessuali in tantissimi spaghetti western, basti pensare al film di Edoardo Mulargia, La taglia è tua… l’uomo l’ammazzo io, o a Se sei vivo spara di Giulio Questi…
Sì, è vero! È facile trovare tematiche omosessuali nei western e per me un sottotesto omosessuale rende solo un film di genere un po’ più divertente da guardare! (ride) Comunque capisco a cosa si riferisca Leone, perché ciò a cui lui è interessato è un codice d’onore: cosa deve o non deve fare un uomo in una certa situazione. Comunque in Il buono, il brutto, il cattivo quella tra Lee Van Cleef e Clint Eastwood è una vera e propria storia d’amore al maschile (ride).
Un critico americano, Chris Packard2, esperto di cinema come di letteratura e queer culture, in un suo saggio, mai tradotto nel nostro Paese, afferma che in tutta la tradizione cinematografica western il cow boy viene raffigurato come un personaggio ambiguo, che rifugge la comunità e i legami affettivi con donne, preferendo la solitudine o ingaggiando solide relazioni di amicizia con altri uomini. Amicizia che viene spesso presentata come una vera e propria relazione.
Considerato il padre degli Spaghetti Western, Sergio Leone, nei suoi film forse meglio esemplifica questa figura d’eroe prefigurata dal saggio di Packard. Dopo aver lavorato come assistente alla regia di William Wyler per il film Ben Hur (1959), (film noto per il suo sottotesto gay e di omoerotismo estremo – si veda a questo proposito Lo schermo velato di Vito Russo), Leone esordì alla regia con Il Colosso di Rodi (1961): un film mitologico appartenente al filone Peplum, estremamente popolare nell’Italia degli anni 60. Questo genere di film aveva per lo più come protagonisti dei bodybuilders professionisti, spesso succintamente vestiti che richiamavano alla mente degli spettatori più smaliziati le pose di riviste acquistabili per corrispondenza (Physique Pictorial su tutte) che molta parte ebbero nella formazione di un immaginario camp di chiaro stampo omosessuale.
Leone esplora «il tema dell’amicizia che può nascere tra due uomini»3 nel film Il buono, il brutto e il cattivo. I protagonisti, Tuco (Eli Wallach) e Blondie (Clint Eastwood), sono impegnati in un rapporto che sfida le norme eterosessuali. «Sulla base di una concorrenza economica, ma anche su qualche altra cosa che comporta riluttante ammirazione e rispetto, se non affetto e tenerezza»4, il loro rapporto ambivalente è al centro del film. Esempi evidenti di omosocialità, Tuco e Blondie raramente sono lontani l’uno dall’altro. Anche se quasi si uccidono a vicenda a volte è chiaro che la loro amicizia è essenziale «per garantire la loro sopravvivenza in un deserto ostile»5. Con nessuna traccia di femminilità, ciò che Leone chiama «un ostacolo alla sopravvivenza», il film assume un tono omoerotico simile a quella di tanta tradizione italiana: dal Rinascimento alla virilità esibita dalla scultura fascista. E, pur non essendo apertamente intellegibile come sessuale a tutti, un accenno di affetto tra i due uomini sicuramente esiste. Quando Tuco sta ricevendo un pestaggio orribile per mano di un prigioniero, Blondie sta fuori con gli altri detenuti, lo sguardo preoccupato sul suo volto in combinazione con il dolce movimento della musica, propone un emozionante intimità condivisa tra lui e Tuco. Alla conclusione del film, la loro amicizia si solidifica quando Blondie, archetipo del ribelle, rivela la sua fedeltà a Tuco uccidendo Angel Eyes (Lee Van Cleef). Una amicizia che può esistere solo allo stato selvatico (come l’amore tra i due cow boy di Brokeback Mountain!). Il rapporto tra Tuco e Blondie è di un tale omoerotismo che spesso passa inosservato, proprio come nella cultura classica italiana in cui l’omosessualità veniva trattata come quella cosa da nascondere e tacere nel modo più banale: lasciandola in bella vista senza dargli alcuna importanza.
Sempre nel saggio di Packard si parla di un altro Spaghetti Western dalle chiare implicazioni omosessuali oltre agli evidenti debiti al cinema di Sergio Leone. Si tratta di Quién Sabe?, film del 1966, diretto da Damiano Damiani e conosciuto negli USA come A Bullet for the General. Tate (Lou Castel), un americano in Messico durante la Rivoluzione, incarna l'outsider per eccellenza a partire dal suo costume bianco lucido, con guanti e scarpe in tono che tanto assomiglia alla tenuta del dandy omosessuale nel cinema ai suoi esordi. Tate non ama le donne ed è sfuggente quando Chunco (Gian Maria Volontè) lo interroga al proposito. Torna qui il tema del mondo western costruito sul celibato e la libertà dell'uomo di essere ammirato anche per l’avversione alle donne. La chiave della lettura omosessuale getta infine maggior chiarezza anche sul finale del film stesso. In molti hanno azzardato un rifiuto a vivere apertamente la propria sessualità da parte del protagonista come il motivo che lo spinge al gesto che chiude il film.
Lasciando le analisi circa i vari sotto testi di alcune opere fondamentali per il genere in questione, all’interno di questo filone è possibile anche rintracciare degli omosessuali come coprotagonisti di alcuni film. Una rappresentazione in linea con i tempi: nessuna figura positiva, anzi, per lo più spietati assassini dediti al vizio e alla violenza senza alcuna possibilità di redenzione. È il caso di Se sei vivo spara del 1967, per la regia di Giulio Questi e conosciuto col titolo internazionale di Django Kill… If You Live Shoot! Tradito dai suoi compagni dopo una rapina e dato per morto, Hermano (Tomas Milian) ritorna dall'inferno per vendicarsi dei suoi assassini che si sono rifugiati in una cittadina devastata dalla violenza, dalla corruzione e dalla perversione. La presenza del bottino dei banditi scatena l'avidità degli abitanti, che non si fermeranno davanti a nessuna turpitudine pur di mettere le mani sull'oro dei fuorilegge.
Così parla di questo film il critico Francesco Moriconi6:
Atti di sadismo, uno stupro perpetrato da pistoleri gay, maltrattamenti su bambini, violenze psicologiche su donne represse, realistiche impiccagioni, violente esecuzioni sommarie, squartamenti, torture disgustose, tombe divelte, insomma Questi non si volle limitarsi a suggerire e per questo arrivò in sol colpo ad infrangere gran parte dei tabù cinematografici. Considerando che eravamo nel 1967, possiamo farci un idea dello shock provocato agli spettatori costretti ad assistere ad un simile concentrato di atrocità. Naturalmente anche la totale assenza di personaggi positivi contribuì ad alimentare la sensazione di straniamento. Non c’è dubbio che Questi si sia lasciato prendere un po’ la mano, ma più che stupire, il regista voleva raccontare a suo modo una storia surreale in cui hanno finito per confluire svariati riferimenti cinefilo-letterari, ma anche buona parte dei ricordi legati ai duri giorni della guerra partigiana.
Un film così estremo da non poter passare indenne tra le maglie della censura: i primi tagli furono apportati solo dopo pochi giorni dall’uscita nelle sale e riguardavano una sequenza in cui gli abitanti del villaggio straziano il corpo di un uomo crivellato con pallottole d’oro e quella in cui ad un indiano amico di Hermano viene preso lo scalpo. Nel 1975, anno in cui Questi rimise mano al film per permettergli un passaggio televisivo, le due scene incriminate vennero reintrodotte, ma anche in questa circostanza l’opera venne mutilata per questioni di durata. Nella nuova edizione il film circolò con il titolo Oro Hondo.
Nella decisione del regista di rappresentare i nemici dell'eroe come omosessuali una buona parte lo gioca sicuramente il passato da partigiano anti fascista di Questi. Le divise nere dei cow boy gay fanno riferimento all’abbigliamento dei gruppi fascisti conosciuti come le camicie nere. Organizzati da Mussolini e noti per il loro uso estremo della violenza furono imitati anche da Hitler quando creò le camicie brune naziste, conosciute anche come SA; le camicie brune sono state a lungo associate con l'omosessualità a causa dell’orientamento sessuale del loro capo: Ernst Rohm (impossibile non citare a proposito anche la rappresentazione della loro tragica fine ad opera delle SS messa in scena da Visconti nel suo film La caduta degli Dei). Il capo di questo gruppo di cow boy (chiamati muchacos) è Mr. Zorro: una evidente figura di dandy con una propria gestualità femminile, una passione per lo sciroppo di lampone, abbigliamento lucido, ricercato, con tanto di camicia in pizzo e affermazioni del tipo: «Lei non sa quanto i miei muchachos significhino per me, con le loro uniformi nere lucide». Gianni Amelio, aiuto regista di Questi, ha raccontato durante una presentazione del film al Festival del cinema gay di Torino “Da Sodoma a Hollywood” (di cui riparleremo alla fine), che: «C’era un’intenzione dietro le allusioni, gli ammiccamenti, le scene tagliate, i baci omosex: smantellare la figura del macho e mandare messaggi subliminali di cultura gay». Il film è ben girato: l’ambientazione credibile, la fotografia curatissima, le inquadrature fitte di primi piani a ricordare la ben assimilata lezione di Sergio Leone. Questi sembra divertirsi anche nella realizzazione di sequenze particolarmente ben riuscite, come ad esempio quella della sparatoria in un emporio quando Hermano, nascosto tra degli scaffali, alza e abbassa la testa nelle vicinanze di una mensola in cui ci sono dei cappelli, dando così l’impressione in prospettiva di indossare un copricapo diverso ogni volta che viene inquadrato. Tutta la sequenza in cui Mr. Zorro tenta di convincere Hermano ad entrare a far parte del suo gruppo di Muchachos è carica di sensualità omoerotica ed evidenti ammiccamenti al sesso tra uomini:
Mr. Zorro: Non ti tenta far parte della compagnia? Mangia, bevi e vedrai che ti sentirai nostro fratello. I piaceri della tavola aprono la porta ai sensi. I sensi alla fratellanza. La fratellanza alle imprese virili.
Di fronte alla reticenza di Hermano, preoccupato anche della sorte del giovane rapito dal gruppo dei Muchachos, Mr Zorro si lancia poi in una dissertazione sul crimine in cui, cambiando semplicemente il soggetto con la frase “sesso gay”, si ottiene un quadro assai più chiaro ed intellegibile dell’intera sequenza:
C’è forse qualcosa di più virile del crimine? Non mi dirai che tu non lo hai mai conosciuto? Spari troppo bene con la tua pistola. Se con qualcuno dei tuoi amici hai compiuto qualche crimine e non sei del tutto stupido allora puoi capirmi. Mangiare, bere e contemplare la propria vittima. Non c’è niente di più sensuale.
Altro film in cui si accenna all’omosessualità di uno dei protagonisti è Il Mercenario di Sergio Corbucci del 1968. Film balzato agli onori della cronaca dell’epoca anche perché durante la sua lavorazione pare fosse stato avvistato un UFO: il fatto accadde di giorno verso il tramonto nella località di Torrelaguna a pochi chilometri da Madrid in Spagna, terra d’elezione per i set di quasi tutti gli Spaghetti Western. La storia racconta di un gruppo di messicani capeggiati da Paco Roman (un divertente Tony Musante) che, dopo essersi ribellati ai proprietari della miniera per i quali lavoravano, si dedicano alla “rivoluzione”. Per meglio affrontare l’impegnativa missione assoldano il Polacco (Franco Nero), personaggio cinico, senza scrupoli, ma anche intelligente e di buoni principi, seppur sempre al soldo di chi meglio lo paga. Questi è a sua volta inseguito (per vecchi rancori) da un singolare cattivo detto “Ricciolo”, elegante e religioso dandy che deve il suo soprannome alla bizzarra capigliatura. Proprio questo personaggio presenta tratti chiaramente omosessuali: si fa ad esempio accompagnare da un giovane e aitante assistente biondo dall’evocativo nome di Sebastian, per il quale verserà calde lacrime al momento del suo assassinio. Non solo “Ricciolo” nel film presenta caratteristiche bizzarre, anche il Polacco non è assente da allusioni velate quanto sottili. In una sequenza viene interrogato da Paco rispetto ai suoi gusti in fatto di donne ma lui non risponde continuando imperterrito a contare i suoi soldi, finendo infine con l’offrire una vistosa collana da donna allo stesso Paco. È sempre vestito in maniera perfetta ed impeccabile, e in una scena lo vediamo vezzosamente curarsi la barba con un piccolo paio di forbici. Una toilette che stona alquanto in mezzo ai rumorosi, sporchi e rozzi messicani che si riciclano in rivoluzionari. Al di là delle allusioni c’è un dettaglio invece piuttosto chiaro che permette di identificare come omosessuale il Ricciolo: questi porta al bavero della giacca un garofano, che in alcune inquadrature è anche di colore verde, colore da sempre associato all'omosessualità e dovuto al garofano tinto (non esistono in natura garofani verdi) che Oscar Wilde amava ostentare e che Robert Hichens prese in giro nella sua satira del 1894. Al colore verde si richiamò anche il giornale Le Ore quando nel 1960 si cercò un nome allo scandalo gay che allora spaventò l’opinione pubblica mostrando che anche nel nostro Paese esisteva un mondo sommerso, ma vivo: quello degli omosessuali7.
La lista si allunga con un altro film curioso, La taglia è tua… l’uomo l’ammazzo io di Edward G. Muller (Edoardo Mulargia), primo film western in cui compare un bacio omosessuale! El Puro, questo l'altro titolo del film dal nome del protagonista, è considerato inoltre l'unico western zen. È la storia di un gruppo di bounty killers che danno la caccia ad un criminale pentito, appunto El Puro. La stranezza del film sta nelle attitudini dei protagonisti Mark Fiorini e Robert Woods, due personaggi new age che volevano dare un taglio inedito al film, con il beneplacito di Mulargia.
Il film è intriso di una certa violenza: Mulargia ha dato la precedenza alla caratterizzazione dei personaggi a discapito dell'azione facendo così risultare alcuni passaggi piuttosto noiosi. Ne esce una pellicola davvero fuori dal comune, da ogni schema classico o consuetudinario, in cui il regista, da più fonti accreditato come “aperto” ad innovazioni e proposte di novità registiche, si conferma degno della fama. Un film che è anche “mistico”: una sorta di percorso hippy nel vecchio west. El Puro è per certi versi lo svelamento delle caratteristiche essenziali di tutto lo Spaghetti Western, senza orpelli decorativi e altro. Desolazione, odio per le donne, insensatezza esistenziale a parte una irresistibile pulsione di morte. Lo stesso bacio omosessuale avviene in un contesto di morte e violenza: Mark Fiorini obbliga il proprio amante ad uccidere una donna a pugni e una volta avvenuto l’omicidio lo bacia con trasporto sulla bocca. Tra le curiosità del film anche l’attore Mario Braga nei panni di un pedofilo e il futuro terrorista nero Giusva Fioravanti.
Un’altra storia gay è presente nel film Dove si Spara di Più di Gianni Puccini (1967). Partito con l’ambizione di trasporre nel west l’immortale vicenda di Romeo e Giulietta, il film si arena ben presto fino a diventare, a detta di Gianni Amelio8, uno dei film più brutti della storia del cinema.
Un film così brutto è potuto venire fuori solo perché nessuno ci ha mai creduto veramente, andavano di moda quei film e, con pochi soldi e poche idee, lo si è realizzato. Puccini si starà rivoltando nella tomba: lui ha sempre detestato Dove si spara di più,odiava le pistole e aveva paura dei cavalli, potete immaginare! Girare qualunque scena è stato un incubo per lui, e lo hanno pure fregato perché gli avevano assicurato che il suo nome non sarebbe stato inserito nei titoli di testa (aveva scelto come pseudonimo Jeff Mulligan, inserito solo nei titoli internazionali).
I titoli di testa del film sono, racconta il regista, «tutti falsi per motivi di coproduzione, nessun nome corrisponde a realtà (a parte Puccini!), addirittura vi figura il nome di una signora spagnola che non esiste».
La storia è quella notissima delle due famiglie che continuano da tempo immemore una guerra sanguinosa, ovviamente in seno a quest'odio sboccerà l'amore impossibile tra il “piccolo” figlio dei Mountons e la bella figlia dei Campos. Naturalmente il punto forte della pellicola non è la trama Shakespeariana ma la presenza di personaggi di contorno particolari: il vecchio Lifty con mano uncinata (con la quale spara anche) che insegnerà al giovane protagonista tutti i trucchi e le tecniche del buon pistolero; la prostituta del saloon innamorata persa di Johnny “Romeo” Mountouns che, da donna ferita, per essere stata preferita alla giovane Juliette, prima spiffera la segreta storia d'amore al fratello pazzo di lei e poi ravveduta si fa uccidere per amore; lo sceriffo corrotto e il fratello di Juliette uniti in uno strano rapporto d'amicizia con accenni e sfumature gay spiegate velatamente nel flashback in cui in un conflitto a fuoco ravvicinato, le loro pallottole si erano incrociate ed erano cadute a terra, attaccate tra loro fuse l'una nell'altra. A proposito di questo episodio, sempre Amelio racconta:
Il responsabile degli effetti speciali, finito il suo lavoro, volle sapere a cosa sarebbe servito. Quando gli fu spiegato, dovemmo trattenerlo perché voleva spezzare il suo prodotto, era schifato dal doppio senso. Non voleva credere che potesse essere stata pensata una ca**ata così grande! Mi ricordo – spiega ancora il regista – che adattammo i dialoghi fino all’ultimo momento, anche durante il doppiaggio, perché chi voleva capire capisse ma il film non fosse vietato ai minori. E quando girammo la scena dei due proiettili che si penetrano, c’era chi si sganasciava dalle risate.
La cosa più incredibile, però, è che Dove si spara di piùincassò moltissimo: «L’equivalente di 8 milioni di euro odierni, una cifra immensa per un film che sarebbe stato meglio non vedesse nessuno!».
Nella stessa citata intervista Gianni Amelio ha invece ben altre parole per Se sei vivo spara di cui abbiamo già parlato:
Un gran film, che ai tempi piacque moltissimo e che tuttora è molto amato e venduto. Una sceneggiatura magnifica, con personaggi intriganti e una sana ironia nei dialoghi. Pur essendo completamente senza soldi, Questi riuscì a girare un vero film d’autore (e non volle assolutamente rinunciare al suo nome nei credits).Rispetto alla scena seguente allo stupro presente nel film, continua Amelio:
Ci fu una sorta di autocensura che impedì di girarla come Questi avrebbe voluto. La preparammo con scrupolo ma rapidamente perché eravamo a fine lavorazione e oltretutto fuori budget. È la scena nel cortile del ranch, di notte, coi pistoleros avvinazzati e il giovane Lovelock legato seminudo come San Sebastiano. Al termine della scena Milian avrebbe dovuto liberarlo sparando uno a uno ai vari legacci che lo immobilizzavano, ma prima di ciò una ragazza alta con lunghi capelli biondi si faceva largo a piedi nudi ballando tra i resti della cena. Muovendosi sensualmente, riusciva a sedurre ed eccitare lo stesso Milian, ubriaco, ma all’ultimo momento si toglieva la parrucca e svelava essere un uomo!.Fu una lite tra regista e produttore a far cancellare la scena:
Ma anche altre fecero quella fine, come quella in cui si doveva capire che Lovelock era stato stuprato dai suoi carcerieri. Questi riuscì però a lasciare alcune battute decisamente rivelatrici («Guarda con che appetito mangiano, con che sete bevono… e con che occhi scrutano il ragazzo…»). Altro che sottintesi!.
Alla fine del genere Spaghetti Western contribuirono in buona parte anche le varie parodie che sempre più toglievano pubblico alle storie di pistoleri, cow boy e indiani per regalare fama e notorietà a coloro che quei panni li vestivano per far solo ridere. Gioco forza, in questi film parodia, la presenza di personaggi sfacciatamente effemminati produceva di per sé ilarità andando a creare il perfetto contrasto con l’ambiente macho e virile di un west caricaturale. Tra tutte queste parodie, più o meno comiche o ironiche voglio ricordare solo Cipolla Colt: western commedia che in alcuni punti sfiora la demenzialità e in cui la presenza di due personaggi gay, i vice sceriffo, è affiancabile alla trovata di far parlare il cavallo del protagonista (un Franco Nero tristemente fuori parte) con spiccato accento romanesco.
Credits dei film citati:
Cipolla colt
Anno: 1975
Cast: Franco Nero, Martin Balsam, Sterling Hayden
Durata: 96 min.
Regia: Enzo G.Castellari
Dove si spara di più
Anno: 1967
Cast: Peter Lee Lawrence, Cristina Galbo, Maria Cuadra, Andres Mejuto, Piero Lulli, Peter Martell, Luis Induni.
Durata: 85 min.
Regia: Gianni Puccini
Il buono il brutto il cattivo
Anno: 1966
Cast: Clint Eastwood, Lee Van Cleef, Eli Wallach, Aldo Giuffre, Mario Brega.
Durata: 168 min.
Regia: Sergio Leone
Il mercenario
Anno: 1968
Cast: Franco Nero, Tony Musante, Jack Palance, Eduardo Fajardo, Giovanna Ralli.
Durata: 105 min.
Regia: Sergio Corbucci
La taglia è tua...l’uomo l’ammazzo io
Anno: 1969
Cast: Robert Woods, Maurizio Bonuglia, Mario Brega, Rosalba Neri, Aldo Berti, Fabrizio Gianni, Mariangela Giordana.
Durata: 88 min.
Regia: Edoardo Mulargia
Quien sabe?
Anno: 1967
Cast: Gian Maria Volontè, Klaus Kinski, Lou Castel, Martine Beswick.
Durata: 115 min.
Regia: Damiano Damiani
Se sei vivo spara
Anno: 1967
Cast: Tomas Milian, Ray Lovelock, Milo Quesada, Piero Lulli, Marilù Tolo, Roberto Camardiel.
Durata: 115 min.
Regia: Giulio Questi