La repressione dell’omosessualità nei paesi occidentali negli anni della Nato. Due casi: Italia e Francia a confronto 1952-1994

14 dicembre 2015

Il saggio è disponibile in formato PDF

Presentato nel 2011 qui: https://vimeo.com/20953577

Il quesito centrale della ricerca, i suoi presupposti

Questa ricerca ha come oggetto lo studio della repressione dell’omosessualità nei primi decenni dell’Italia repubblicana, analizzata in comparazione col caso francese, e individua come arco cronologico di riferimento gli anni dal 1952 al 1994, giungendo agli anni successivi alla caduta del Muro di Berlino. La periodizzazione è da correlare alla più complessa vicenda della Guerra Fredda, come una delle questioni la cui gestione andava di pari passo con la tutela della sicurezza dello Stato  in un ottica di alleanze internazionali; ma, come è emerso nel corso della ricerca, e sulla base di dati ancora in corso di analisi, il periodo esaminato è solo la fase finale di un fenomeno di portata più ampia, circa l'oggetto della repressione, e di più ampia periodizzazione, poiché giunge ad affondare le sue radici, in quanto a impegno degli stati nazionali, fino al 1903. Stiamo parlando delle operazioni di controllo della morale pubblica promosse dagli stati occidentali per tutto il corso del XX secolo e fatte proprie, a partire dagli anni Venti, prima dalla Società delle Nazioni, poi, nel secondo dopoguerra, dalle Nazioni Unite e che, sotto l'ombrello della lotta alla prostituzione clandestina e la tutela dell'infanzia, attuarono una vera e propria crociata morale contro i comportamenti sessuali eccentrici nel loro complesso. In questa vicenda, l'inserimento della Nato finisce per essere una breve parentesi, peraltro denunciata pubblicamente al Parlamento inglese nel 1957, e finalizzata a colmare un vuoto normativo creatosi all'indomani della II guerra mondiale, e che parecchi degli stati occidentali si preoccuperanno di colmare tra il 1958 e il 1960, non sempre con successo. Quanto appena affermato risulta da un “historique” redatto dalla Polizia francese, di cui riferiamo i dettagli e il contesto in appendice.

Il punto di partenzadi questa ricerca è posto nel momento in cui la repubblica italiana, a partire dal 1952 in avanti, si dedica con maggiore incisività all'opera di schedatura degli omosessuali, già intrapresa dal fascismo, e classificando gli omosessuali come sovversivi in quanto trasgressori della morale pubblica, in una neanche troppo inedita correlazione tra morale sessuale e ideologia comunista. In realtà la schedatura fascista non si era mai interrotta, come dimostra la testimonianza circa l'esistenza di fascicoli che rimangono aperti dagli anni del fascismo ancora negli anni Sessanta, e già nel periodo 1937-1940 aveva visto una intensa attività di repressione, come dimostrano le schede biografiche dei confinati omosessuali venute alla luce nel corso degli anni Ottanta da una ricerca dell’Anpi[1]. Tuttavia, dagli anni Cinquanta in avanti, come prova uno studio dello storico americano David K. Johnson, il controllo della pubblica morale venne operato anche attraverso delle precise direttive provenienti dagli Stati Uniti d’America, che dal 1952 in avanti imposero ai paesi membri della Nato, per motivi di sicurezza, l’epurazione degli omosessuali dalle principali istituzioni dello Stato, analogamente a quanto fatto oltreoceano[2]. Questa vicenda, attraverso alterne fortune, sembra abbia avuto un vero termine solo sul finire del 2011, quando il presidente Usa  Barack Obama ha definitivamente cancellato, con un voto del Congresso, un emendamento, approvato nel 1950 durante la presidenza Truman, che escludeva gli omosessuali dall’esercito americano. Il termine temporale della ricerca, peraltro ancora in via di definizione, è posto al 1994, data in cui Bill Clinton attuerà le prime aperture nei confronti degli omosessuali nell'esercito.
Il fenomeno analizzato, per quanto punti la lente di ingrandimento sugli omosessuali e sul secondo dopoguerra, è in realtà parte, come abbiamo appena anticipato, di una vicenda dai contorni molto più ampi, sia per la durata temporale (dall'inizio del XX secolo), sia per i soggetti e i fenomeni coinvolti nell'azione repressiva (omosessualità, prostituzione, pedofilia, pornografia). L'avanzamento della ricerca sta portando con sempre più chiarezza alla luce un diretto e attivo coinvolgimento della Società delle Nazioni nei progetti di ripristino della morale pubblica, poi riformulati dall'Onu, al punto che di recente è emersa dagli archivi la notizia di un progetto della SDN, che nel 1937 dava mandato agli stati membri per la progettazione di un piano per la tutela della morale, all'interno del fenomeno della tratta delle bianche, il cui culmine sarebbe stato un convegno internazionale nel 1940, che però non ebbe mai luogo a causa dello scoppio della guerra[3].

Questioni di metodo. La metodologia della ricerca

Una ricerca sulla repressione dell’omosessualità ha un duplice percorso sul quale avviarsi: essa infatti può inserirsi in due filoni, sia per gli aspetti metodologici, che per quelli relativi alle tematiche della storia:  il primo, per alcuni aspetti innovativo, è quello degli studi sul razzismo, il secondo, e il più praticato, è quello degli studi di genere.
Se il primo settore di ricerca studia gli omosessuali come oggetto di una persecuzione legata ai sistemi politici repressivi (nazismo, stalinismo e fascismo in particolare), il secondo, pur individuando forme di persecuzione, inquadra queste ultime come forma deteriore del controllo della morale pubblica leggendo il fenomeno esclusivamente all’interno degli studi culturali, e degli studi di genere in particolare. Pochi però hanno pensato che i due fenomeni si intersecassero tra loro e che l’unica cosa che differenziava le dinamiche repressive fosse l’intensità con cui esse si sono manifestate, a seconda che il loro sviluppo si verificasse sotto una dittatura o durante una democrazia.

Tralasciamo per un attimo il sentiero più percorso, quello degli studi di genere, per soffermarci su quello meno attraversato, almeno in Italia: quello dell’omosessualità come categoria “razzizzata”, per usare un termine coniato da Alberto Burgio[4].
Le  teorie scientifiche sulla sessualità che fecero da brodo di coltura per le persecuzioni naziste degli omosessuali erano di dominio comune, nell’Occidente, come avveniva per le teorie positivistiche o per il darwinismo sociale e l’eugenetica. Infatti, pur con un diverso peso, nel corso del Novecento, nei paesi occidentali, vi era stata una ricca produzione scientifica e filosofica su tematiche come le degenerazioni, la difesa sociale, l'identità nazionale, che amalgamava in un tutto unico questioni come razza, sesso, politica e religione; produzione affiancata da analoghi e coerenti piani di intervento statale da parte delle diverse realtà nazionali, che producevano, a seconda dei singoli casi, forme di intervento che potevano variare dalla forma estrema dell’annientamento fisico a quelle più blande del controllo sociale espresso attraverso i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario[5].

Le fonti scelte, proveniente in massima parte dalle carte del Ministero dell'Interno, orientano inevitabilmente l'occhio della ricerca verso l'attività esecutiva dell'autorità giudiziaria, ma non solo. Si presta una diretta attenzione all'azione degli operatori di polizia, che espletano la propria attività  in base a disposizioni di legge, impartite gerarchicamente, come è consuetudine nello svolgimento di un pubblico ufficio, e quindi agiscono in diretta applicazione delle leggi dello Stato, producendo, quando vi è una notizia di reato, un'azione giudiziaria, che vede il suo completamento nelle aule di tribunale.
Pertanto, la consultazione dei fondi del Ministero dell'Interno e delle istituzioni ad esso sottoposte è in grado di fornire una conoscenza del fenomeno che va ben oltre quella del semplice operato delle forze di polizia.

Tuttavia, quello che più interessa ai fini della ricerca è anche il contesto internazionale a cui queste disposizioni si sono ispirate. Senza queste considerazioni non sarebbero altrimenti comprensibili le ragioni che portarono, analogamente agli Stati Uniti, l’Italia e gli altri paesi dell’Occidente europeo ad attuare simultaneamente una politica di epurazione degli omosessuali da tutte le cariche e gli ambienti di lavoro aventi un importante ruolo istituzionale.

Vale inoltre la pena di soffermarsi sul rapporto tra repressione e uso degli stereotipi, come andiamo ad esporre.

Omosessualità e razzismo

Prendendo spunto da quanto teorizzato da George Mosse nella definizione del controtipo, possiamo provare a fare alcune sintetiche considerazioni, cercando di dare uno schema generale del processo di formazione dello stereotipo di tipo razzista (e sessista).
Il punto di arrivo della controtipizzazione dell'immagine maschile all’interno della Germania nazista, come espone Mosse a conclusione della sua analisi, è la lenta ma inarrestabile avanzata verso la politica dei campi di sterminio[6]. Timothy Snyder, in “Terre di sangue”, analizza quanto avvenuto tra le due guerre in quell’area dell’Europa compresa tra Germania, Russia e Ucraina, e si interroga su cosa mettesse in comune la repressione nazista con quella attuata dallo stalinismo. Secondo Snyder fu in entrambi i casi una strategia “per proteggere un leader dall’impensabile accusa di aver sbagliato”. Entrambi i fallimenti avevano bisogno di un capro espiatorio: per il nazismo gli ebrei, per lo stalinismo soprattutto kulaki, ucraini e polacchi[7].
La riflessione di Snyder pertanto vale per gli ebrei come per tutte le altre categorie che subirono la sorte dei campi di sterminio tedeschi e dei gulag sovietici. Tuttavia, era possibile impedire l’Olocausto e, insieme ad esso, fermare la politica dei campi di sterminio? Theodore S. Hamerow affronta questo dilemma nella sua opera “Perché l’Olocausto non fu fermato”. In realtà le democrazie alleate, Stati Uniti inclusi, nel corso della seconda guerra mondiale, erano al corrente delle politiche di sterminio attuate dalla Soluzione finale; però, riferisce Hamerow, temevano di trasformare la guerra in una crociata in difesa di una minoranza. Inoltre, riportando le parole dello stesso autore, “molti credevano, comunque, che gli ebrei avessero effettivamente acquisito troppa influenza in politica e in economia, e non soltanto negli Stati Uniti”[8]. In pratica, ci dice Hamerow, le democrazie occidentali, pur condannando i barbari metodi del nazismo, ne condividevano gli stereotipi negativi e i pregiudizi a  sfondo razzista[9].
Analogo discorso a quello fatto per gli Stati Uniti, ci dice Hamerow, può essere fatto per la Francia, dove “la retorica dell’antisemitismo francese durante gli anni Trenta era molto simile a quella dell’antisemitismo dell’Europa orientale e centrale”[10].
Tuttavia, ancora, come è possibile giungere ad accostare nel pregiudizio antisemita, e in tutte le altre forme di razzismo, regimi dittatoriali e democratici, la cui distanza, nelle scelte operate nella concezione dello stato e del cittadino sono incontestabili?
Per fornire una spiegazione a quella che, diversamente, sarebbe una superficializzazione del problema, giunge utile una serie di studi appartenenti alla psicologia sociale, improntati sullo studio degli stereotipi, e che hanno fatto scuola a partire dagli anni Sessanta e Settanta. Stiamo parlando in particolare degli studi di Henri Tajfel.

Tajfel,  nel 1986, insieme ad altri autori, dimostra come i gruppi sociali, una volta sviluppato un processo identificativo che li porta a riconoscersi come comunità, in genere comunità dominante in un dato contesto sociale, tendano a favorire i membri del proprio gruppo, rispetto agli altri, nei momenti di scarsità di risorse, ossia di crisi. Tale comportamento è assimilabile al concetto di identità sociale[11].
Non è quindi un caso che la fase più acuta del razzismo si sia avuta, nell’Europa del Novecento, all’indomani della crisi economica del 1929. Questa chiave di lettura spiegherebbe pertanto il filo che lega i fenomeni di discriminazione e razzismo, modulati nelle varie forme all’interno delle  società europee, fornendo una spiegazione su come si possano individuare le radici del razzismo in società le cui scelte politiche sono da considerare a una distanza abissale dalle dittature europee.

Omosessualità e studi di genere

Si getta inoltre uno sguardo veloce sul secondo possibile percorso teorico di questa ricerca, il campo degli studi di genere che, come in un sistema di scatole cinesi, vede al suo interno gli studi sulla mascolinità, dei quali i gay studies sono una costola.
Si parla qui di “gay studies” e non di “studi LGBTQ” facendo propria una lettura portata avanti da John Tosh, che vede l’omosessualità come parte costituente  della  mascolinità[12] e non come colonna di un modello culturale e politico che unisce, in un unico discorso sulle differenze sessuali, gay, lesbiche, bisessuali, transgender e le multiformi identità introdotte dal dibattito sul queer. Quest'ultima chiave di lettura, che si adatta benissimo alla storia dei movimenti politici, e quindi alla storia del movimento lesbico e gay, trova un pesante limite nella incapacità intrinseca del modello di interpretare i fenomeni antecedenti[13].

Il contesto storiografico nazionale e internazionale di riferimento

La repressione dell’omosessualità nel secondo dopoguerra è un tema per molti aspetti inedito, per la storiografia internazionale, e del tutto sconosciuto a livello nazionale. In Italia, a parte due saggi contenuti nell'opera collettanea a cura di Bellassai e Malatesta[14], l'unico vero contributo recente[15] è una raccolta di testimonianze, con rari cenni sull'attività di repressione e sulle collaborazioni, spesso poco nobili, di intelligence che collegavano servizi di sicurezza e ambienti omosessuali.
Risale a qualche anno fa, invece, il lavoro di Gabriele Ferluga[16], che ripercorre la triste vicenda di Aldo Braibanti, finìto in carcere con l’accusa di aver plagiato i propri amanti e in base a questo capo d’imputazione condannato nel 1968 a nove anni di reclusione.
Braibanti ricalcava in qualche maniera lo stereotipo del sovversivo e, durante il dibattimento, vengano usati contro Braibanti tutti gli stereotipi emersi qualche anno prima, tra il 1960 e il 1963, nei progetti di legge per la punibilità penale dell’omosessualità. Primo fra tutti, come fa rilevare Umberto Eco in un saggio scritto sull’argomento, un’identificazione tra rapporto omosessuale e idee marxiste[17].
Su un terreno analogo al tema di questa ricerca, gli studi di Marco Reglia sull'omosessualità nelle province istriane del secondo dopoguerra e la relazione congressuale di Francesca Cavarocchi sul movimento gay italiano[2]18.

Tra i testi stranieri (peraltro tutti non tradotti) il più vicino alla nostra ricerca è senza dubbio quello di David K. Johnson[19] che analizza il fenomeno del maccartismo e la sua anima omofobica, ma non individua né i dati quantitativi del fenomeno, né le caratteristiche di lungo periodo nel quale il fenomeno si inserisce. Al contrario Matt Houlbrook[20] conduce una ricerca approfondita, e all'interno di un arco cronologico più ampio, sulla repressione poliziesca contro i gay nei luoghi da loro frequentati; ma la chiave di lettura, interna ai “cultural studies”, legge il fenomeno come un segno dei tempi di natura eminentemente culturale: una storia della mentalità, quindi, apparentemente inconsapevole dell'imponente operazione politica che vi si celava, nonché della sua dimensione scientifica.
Di un certo interesse, inoltre, il dibattito in corso in Canada, basato sugli studi di Steven Maynard, Gary Kinsman e Patrizia Gentile, che hanno individuato gli aspetti principali della repressione maccartista cercando di portare la questione a livello di opinione pubblica e di ricerca d'archivio[2]21.
L'operazione in corso in Canada è stata già condotta alcuni anni fa, e con successo, in Spagna, ma solo relativamente al periodo franchista, come illustra la ricerca di Arturo Arnalte Barrera. L’autore giunge fino al 1975 e la sua ricerca è interessante per le numerose analogie con il caso italiano, ma anche con quelli statunitense, inglese e francese, per citare giusto gli unici casi finora confrontati su dati statistici ampi[22].
 Una menzione giunge opportuna anche per le ricerche di Derek Dalton, correlate al fenomeno di cui parliamo, relative all'”omocriminalità” in Australia nella seconda metà del Novecento[23].

In Francia gli studi sull'omosessualità sono pressoché inesistenti, analogamente al caso italiano. Fa eccezione l'attività di ricerca di Florence Tamagne, autrice di due opere sull'omosessualità tra le due guerre. La Tamagne pone molta attenzione alla comparazione dei dati, e pur non essendo riuscita a trovare niente in merito negli archivi francesi (i dati francesi oggetto di questa ricerca sono consultabili solo dal 2012), ella mette a confronto quelli dei casi tedesco e inglese, tra loro sovrapponibili[24].

Sul dibattito intorno all'omosessualità (e la sua repressione, la sua persecuzione) tra Ottocento e Novecento in Italia è presente una scarna attività di ricerca, essenzialmente inedita, che però permette di ricostruire una situazione sul lungo termine. Sempre partendo dagli studi teorici di genere e da quelli che in questo contesto affrontano il lungo periodo, si segnala, per gli aspetti teorici generali, il pionieristico saggio di John D’Emilio, pubblicato nel 1991, il quale confuta la tesi dei primi studiosi, che tendevano a vedere l’omosessualità come un continuum riconoscibile come categoria nel corso dei secoli[25]. Pochi anni prima, nel 1987, era stato pubblicato, a cura di Arcigay Nazionale, “Omosessuali e Stato” che, di fatto, è il primo libro che si occupi di storia dell’omosessualità in Italia, dando ampio spazio agli aspetti giuridici.
Nel solco dell'omosessualità come continuum, storicamente accreditato ancora alla fine degli anni Novanta, si muove ancora Gianni Rossi Barilli, affrontando in forma completa la storia dei diritti dei gay in Italia e cercando le origini di un movimento omosessuale nell’Italia dell’Ottocento[26].
Di omosessualità tra Ottocento e Novecento e del dibattito scientifico di quegli anni si sono occupati, in lavori in parte ancora inediti, Maya De Leo e Alessandro Scurti[27]. Il lavoro di Maya De Leo affronta, come quello di Alessandro Scurti, il rapporto tra scienza e difesa sociale per quella che al tempo è definita la “questione omosessuale”, al pari della “questione ebraica”, termine coniato dal dibattito tedesco, legato essenzialmente agli ambienti vicini a Magnus Hirschfeld, fondatore della sessuologia come scienza, nonché militante omosessuale di origini ebraiche[28].
È incentrato sullo stesso periodo, ma di respiro più ampio, essendo uno studio sulla pubblica morale, il lavoro di Domenico Rizzo, che analizza i processi per oltraggio svolti a Napoli sul finire dell'Ottocento[29]. Le casistiche riportate dall'autore sono varie e fra queste rientra, seppur sottotono, anche l’omosessualità.
Il tema più frequentato, tuttavia, dalla storiografia italiana intorno all'omosessualità è quello della repressione fascista. Esistono varie pubblicazioni, fuori dell'ambito accademico, come quella collettanea del Circolo Pink, associazione gay e lesbica di Verona[30].Ma l'opera più completa sul tema è quella di Lorenzo Benadusi. Benadusi, attraverso una ricerca presso l’Archivio Centrale dello Stato, tira le fila di tutta una serie di ricerche svoltesi nell’arco di vent’anni in Italia[31]. Il limite dell’opera è tuttavia, sottolinea Emilio Gentile nella prefazione, nella struttura interpretativa: la teoria del virilismo fascista come chiave che spiega tutte le cose non è infatti sufficiente a definire un fenomeno che coinvolgeva nella costruzione di un uomo, ma anche di uno stato nuovo, fenomeni come la natalità, il sesso, la famiglia, in una richiesta di dedizione del cittadino allo Stato. Ridurre tutto a un “modello di coerenza”, in cui il totalitarismo è un fine, e non una strategia, vuol dire fraintendere il senso stesso delle operazioni di un regime e vedere come fallimenti e contraddizioni tutti quegli eventi che si allontanavano dal progetto sociale dello stato fascista[32] .
Troviamo stesso periodo storico e stesso tema, puntando però la lente sul confino fascista, nel libro di Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio[33] . Sono questi due autori a individuare la definizione di “oziosi e vagabondi” usata per definire eufemisticamente gli omosessuali[34] (proveniente dalla legislazione postunitaria e poi ricalcata, nel titolo “Ley de vagos y maleantes” dalla legge antiomosessuale franchista del 1952[35]). L'attitudine a perseguire gli omosessuali come vagabondi, in mancanza di particolari reati, è un elemento ritrovato anche nella documentazione francese[36].

Gli studi finora menzionati privilegiano tuttavia, nella lettura del fenomeno, gli studi culturali e di genere.  Il discorso si fa un po' più ampio, se si contestualizza la questione come una persecuzione collettiva dell'Altro (termine usato da Alberto Burgio nei suoi studi sul razzismo), connessa ai periodi di crisi.
Saggi sul razzismo contro gli omosessuali sono contenuti anche negli studi curati da Alberto Burgio[37] , nei quali viene affrontato, in un contesto multidisciplinare, il discorso del razzismo italiano, costruito non solo contro gli ebrei, ma anche contro neri, poveri, donne, omosessuali, stranieri, meridionali, in una definizione che si amplia fino a inserire, innovativamente, anche il sessismo, e che vede il suo sviluppo attraverso un percorso che parte dallo stereotipo per giungere alla naturalizzazione e, alla fine, al razzismo vero e proprio.
Stereotipo, naturalizzazione, razzismo: questa, nel modello di Burgio, la via che porta alla definizione delle razze, dove per “razza” non si definisce solo una caratteristica etnica, ma anche l’appartenenza a un gruppo socio-culturale, religioso o politico[38]. Di qui la necessità di trasformare lo stereotipo in condizione innata[39]. Per fare ciò, però, bisogna fondere in un unicum biologia e morale[40].
Quella di Burgio è una vera e propria rilettura del fenomeno razzista, e parte della riflessione in atto, nel corso degli anni Novanta, su razzismo e persecuzione, specie nella società nazista, ma non solo. Un primo esempio di queste nuove riflessioni è, in quegli anni, il libro di  Michael Burleigh e Wolfgang Wippermann[41].
Al tempo, era stato aperto un vero e proprio varco nella riflessione storiografica, nel quale anche in Italia si sono inseriti altri autori. Tra questi, il libro di Riccardo Bonavita, che pone una relazione tra razzismo e stereotipi, tentando un ponte verso il sessismo[42]; come pure lo studio di Michele Nani. La “nazionalizzazione per contrasto” è il tema del libro di Nani, che analizza come il processo di definizione dell'identità nazionale italiana passi attraverso una particolare definizione dell'alterità che vede nell'Africa, nel sud Italia e nell'ebraismo tre fra i suoi principali elementi di differenziazione[43].
Comincia oggi inoltre a nascere una produzione storiografica che affronta il tema della pubblica morale in modo eterogeneo, privilegiando letture che, pur utilizzando gli archivi, prestano attenzione agli strumenti della comunicazione, come la stampa e la fotografia. Per affinità col tema, indichiamo la recente opera di Peppino Ortoleva sui media, che affronta tra l'altro il tema della repressione della pornografia in Italia, e, per la Francia, lo studio di Véronique Willemin sulla Brigade Mondaine, la Buoncostume francese, e sulla lotta alla prostituzione[44].

Per quanto riguarda gli studi di genere e la storia della sessualità e della mascolinità, in Italia, pur essendo nota l'opera di Michel Foucault[45], che ha fornito, insieme  ad altri autori, una importante chiave di lettura, gli studi sulla teoria di genere non sono particolarmente abbondanti. Tra quelli che si occupano marginalmente di omosessualità possiamo trovare i lavori collettanei a cura di Simonetta  Piccone Stella e Chiara Saraceno (1996) e quello a cura di Angiolina Arru (2001), entrambi contenenti un saggio dello storico della mascolinità John Tosh[46].
A queste due opere, si possono affiancare anche la raccolta di saggi curata da Raffaella Baccolini, e quella di Marco Pustianaz e Luisa Villa[47] che affronta i gay studies sotto la particolare lente della “queer theory”.
Per quanto si occupino di studi di genere, ma non trattino nello specifico il nostro tema, segnaliamo ancora le opere di Sandro Bellassai sulla “morale comunista” e sulla legge Merlin; in particolare il primo, sebbene non sembri in tema, è quello che offre più indizi: non solo perché esprime il punto di vista del Pci (e in particolare di Pietro Secchia) sull'omosessualità, ma anche perché narra di uno scandalo avvenuto nel 1952, un caso di molestie ai minori, poi rivelatosi una montatura, dalle dinamiche molto simili agli scandali omosessuali iniziati proprio in quell'anno, e probabilmente relazionabile alle stesse politiche di intervento sulla morale pubblica decise nell’ottica dell’alleanza internazionale del Patto Atlantico[48].

Le fonti e gli archivi e le questioni relative al loro uso

Questa ricerca si basa essenzialmente su fonti di archivio, pur mantenendo, nella sua struttura, una presenza di fonti più eterogenea. Nel progetto originario si era scelto di affiancare la documentazione istituzionale e le carte provenienti da archivi privati con una approfondita ricerca sul materiale a stampa, per completare il lavoro con alcune interviste orali, secondo il modello utilizzato per le loro opere sia da Johnson che da Arnalte. Tuttavia, la quantità e la qualità del materiale trovato hanno portato a riconsiderare i luoghi di reperimento delle fonti, inducendoci a circoscrivere i luoghi di ricerca, in Italia, essenzialmente all’Archivio Centrale dello Stato e agli Archivi di Stato di Modena e Bologna; documentazione che va ad aggiungersi a quanto già reperito presso l’Archivio di Stato di Napoli. Si è deciso di sostituire le ricerche di approfondimento nelle emeroteche e alcune fondamentali interviste orali con la documentazione a stampa trovata in archivio e con le interviste già pubblicate in passato da altri autori.
Alla ricerca italiana si aggiunge un lavoro comparativo sul caso francese, condotto presso gli archivi della Prefecture de police di Parigi, dove si stanno consultando, in particolare, i dati statistici sulla repressione dell'omosessualità nella capitale francese. La scelta è caduta su un archivio non nazionale perché lì era nota la disponibilità di materiale specifico per la ricerca, ma anche perché Parigi, in quanto capitale, è degnamente rappresentativa della realtà francese.

Pertanto, le fonti previste sono, per il caso italiano, i documenti provenienti dal Gabinetto del Ministero dell’Interno e in gran parte dalla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, depositati presso l’Archivio Centrale dello Stato, e i fondi della Questura (in particolare quelli depositati presso l’Archivio di Stato di Napoli), ai quali si affianca una ricognizione nel fondo della Prefettura conservato presso l'Archivio di Stato di Modena, e quanto verrà trovato nel fondo Questura dell’Archivio di Stato di Bologna, relativamente allo “Schedario delle persone pericolose per la sicurezza dello Stato”, completando un filone di ricerca ancora in corso.
L'integrazione della ricerca presso il fondo di Prefettura a Modena si è reso necessario a causa dell'eterogeneità e della discontinuità dei dati rintracciati presso l'Archivio Centrale dello Stato. Una discontinuità che non permetterebbe di andare oltre una ricostruzione, per così dire, a macchia di leopardo. I dati quantitativi, tutti presenti tra le carte del Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, sono infatti suddivisi in diverse serie archivistiche, non tutte versate fino ad anni recenti e non tutte complete nella conservazione dei dati. Spesso ci si è trovati davanti al caso di interessantissimi fondi già versati, ma non consultabili in quanto non completamente inventariati. In particolare si segnala il versamento di un fondo di polizia amministrativa che, pur riportando la datazione 1975-1985, conserva invece documenti, anche di un certo pregio (come un autografo attribuito a Mussolini), che coprono tutto l'arco del secolo; fondo al momento non consultabile per l'interruzione dell'inventario avviato nel 2011.
Al contrario, la Prefettura di Modena ha versato in archivio le sue carte fin dalla sua istituzione con regolarità, e il suo fondo di Gabinetto è attualmente conservato in archivio di Stato dalla metà dell'Ottocento al 1995, data della trattazione più recente finora consegnata. Ciò permette di avere la rara occasione di studiare le serie di archivio depositate a Modena in forma completa, individuando i dati da aggregare statisticamente per la nostra ricerca tra i mattinali del Gabinetto di Prefettura.

La continuità della serie modenese permette di ricostruire una tendenza locale, poi sovrapponibile, grazie ai dati trovati presso l'Archivio Centrale dello Stato, al caso nazionale, in modo da poter ricostruire, attraverso il caso locale, la tendenza nazionale nella sua completezza. Questa città peraltro si presta allo scopo, essendo una cittadina di dimensioni medio grandi, vicina a un grosso centro (Bologna), e quindi soggetto più che altri luoghi a comportamenti sociali più aperti; e soprattutto priva nel periodo esaminato, a quel che sembra, di particolari vicende scandalose che potessero incrementare in forma anomala l'intervento della polizia.
Merita inoltre una menzione il metodo adottato per “aggredire”, in gergo archivistico, i documenti. Infatti, tra le carte concernenti il controllo della morale pubblica, quelle sull'omosessualità sono anche quelle di più difficile accesso, per i motivi appena elencati. Si è quindi fatto riferimento, secondo quanto emerso nel corso dello studio, alle affinità presenti nei casi analoghi, come pornografia e prostituzione che, essendosi chiusi con più anticipo rispetto al fenomeno dell'omosessualità, hanno già visto la consegna completa dei fascicoli negli archivi e, spesso, la loro consultabilità.

Analisi dei documenti a stampa

 Si vuole inoltre dedicare un breve paragrafo alla produzione della stampa periodica, dedicando attenzione sia alla rappresentazione del dibattito scientifico di quegli anni, sia alla cronaca. Quest’ultima si rivela particolarmente interessante per quanto riguarda il rapporto stretto che emerge tra la repressione attuata e la costruzione di un consenso nell’opinione pubblica, frutto di una precisa strategia comunicativa condotta attraverso un appropriato trattamento dei fatti di cronaca [49].
Ciò avviene in particolare per il  periodo dalla  fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta. I quotidiani e i rotocalchi, che avevano sempre descritto l’omosessualità negativizzandola, iniziano in questi anni una vera e propria guerra dei media, in coincidenza, a quanto sembra, con la graduale politicizzazione delle questioni sessuali. Il fenomeno, a grandi linee, si mostra con maggiore evidenza a partire dal 1969.
La morale pubblica diventa, a partire da quegli anni, parte della storia dei movimenti politici di quel periodo. In occasione della nascita del movimento gay italiano, nel 1971, le operazioni di controllo raggiungono livelli mai visti prima, in un crescendo che in quegli anni vede anche lo svilupparsi della violenza politica come violenza di genere[50].

Le serie di archivio disponibili, anche in questo caso, non sono ancora in grado di descrivere la vicenda nel suo complesso. Vi sono ancora troppe lacune nei versamenti. È per questo motivo che un lavoro sulla stampa può essere utile a compensare quei dati che ancora non sono venuti alla luce, e di cui la cronaca, soprattutto quella dei quotidiani, è ricca. Quest’ultima, inoltre, incrociata con i dati di archivio, effettuando per così dire un “leggere tra le righe”, permette di ricostruire fatti che, per le loro caratteristiche, non sono ancora accessibili come documentazione[51].

Analisi dei documenti d’archivio

In questo lavoro ci è venuta incontro anche la struttura degli stessi fondi consultati, con la disposizione scelta per i fascicoli e la documentazione  in generale che ci interessa, e perfino nelle annotazioni e nei lapsus dei produttori delle carte, ossia i funzionari di pubblica sicurezza. È per questo che si ritengono particolarmente interessanti le riflessioni dell'archivista  Paolo Franzese.
Franzese ha dedicato la sua attenzione ai criteri seguiti dalla Questura di Napoli per costituire le cartelle e le connessioni tematiche nell'albero del proprio archivio, fino alla costituzione di un vero e proprio sottoarchivio organizzato per tematiche. Egli ha analizzato questo sottoarchivio con l’approccio tipico degli studi di linguistica, cercando quindi, in pratica, quali fossero le correlazioni concettuali che presiedevano alla formazione delle serie[52].

Risultati attesi, risultati conseguiti

La presente ricerca, partita parecchi anni or sono da quello che sembrava un isolato caso nazionale relegato agli anni dell'Italia repubblicana, ha quindi esteso nel tempo esteso il suo ambito geografico e cronologico, giungendo oggi a ipotizzare individuare una partecipazione attiva della Società delle Nazioni, e poi delle Nazioni Unite, sul lungo periodo: un quadro generale che, fatte salve le scelte individuali delle singole nazioni, ha interessato, nel secondo dopoguerra, tutti i paesi del Patto Atlantico, in un nesso causale che viene posto in essere dalla documentazione della polizia amministrativa, soprattutto francese, ma anche italiana.
Tuttavia questa ricerca si limita ad analizzare il periodo relativo agli anni della Nato, pur essendo consapevoli dell'esistenza di un orizzonte più ampio e dell'opportunità di approfondire la questione in futuro con un ampliamento della ricerca.
Pertanto gli obiettivi a cui ci si ferma limita al momento sono: 1) lo studio del fenomeno della repressione dell'omosessualità nel secondo dopoguerra, visto come parte di un fenomeno più ampio, sia come ambito di ricerca (la morale sessuale) sia come periodizzazione (il Novecento); un fenomeno più ampio di cui interseca la fase finale; 2) la produzione di un'aggregazione di dati statistici omogenei per il caso italiano e, in comparazione, con quello francese, da affiancare ai dati parziali già individuati in altri studi per i casi inglese e tedesco.
Vale la pena di dire che questa ricerca si pone anche degli obiettivi in una prospettiva che travalica i termini imposti dai tempi del dottorato. Produrre una prima e, al momento, sommaria comparazione con un caso all'estero, quello francese, è anche un modo per impostare le prime linee guida per giungere così a una ricerca comparata sull'Europa occidentale e sugli Stati Uniti, con l'obiettivo di individuare i dati statistici dei provvedimenti di polizia adottati nei singoli paesi occidentali, e per individuare una mappa completa di un fenomeno che può a ragione definirsi una persecuzione protrattasi, tra alterne vicende, per buona parte del XX secolo.
 Non meno difficile, anche nei Paesi con una legislazione patente contro l'omosessualità, sarà ritrovare i numeri, la quantità di operazioni condotte dalla polizia; per ottenerli sarà necessaria una ricerca certosina negli archivi. L'obiettivo finale, e sul lungo termine, di questa ricerca mira appunto a colmare questa lacuna, nella ambiziosa, ma legittima speranza che la repressione degli omosessuali, attraverso il tema di questa ricerca, possa essere promossa, specie in Italia da storia di una comunità, da storia individuale, a storia collettiva.

La struttura della ricerca

         Per limitarci all'ambito della ricerca di dottorato, come  accennavamo, nel 1952 l’omosessualità, insieme a tutti i “delitti sessuali”, era divenuta materia della XXI Assemblea generale della Commission international de police criminelle, meglio nota, dal 1956, come Interpol. Al pari della prostituzione, della pornografia e della pedofilia, essa fu oggetto di un dibattito che si concluse con l’impegno a operare per la repressione di tali pratiche.
         Non può essere considerata quindi casuale l’emanazione da parte del Ministero dell’Interno italiano, tre mesi dopo la partecipazione a quell'assemblea, di una circolare recante come oggetto la repressione dell’omosessualità.
         Ha così inizio, in Italia ma anche negli altri paesi del Patto Atlantico, una lunga serie di fermi, denunce e arresti che proseguirà dal 1952 in avanti, giungendo più volte, con toni scandalistici, sulle pagine dei giornali. Dalle tabelle statistiche ritrovate, nel caso italiano, per il periodo 1952-1969, risulta che le operazioni condotte per la repressione dell’omosessualità produssero agli inizi, solo in Italia, oltre un migliaio di provvedimenti per anno, per diminuire lentamente sul finire degli anni Cinquanta e poi ricevere nuovo impulso negli anni Sessanta. Tra il 1952 e il 1969 furono compiuti in Italia dalla polizia più di 23.000 provvedimenti, tra fermi, ammonizioni, diffide, arresti e invii al confino, nei confronti di omosessuali. E a questo conteggio mancano ancora i dati sugli anni Settanta-Ottanta, specie quelli sul periodo 1970-1972, nei quali, secondo quanto riportato dalle cronache locali dei quotidiani, il fenomeno repressivo fu uguale, se non maggiore, rispetto a quello degli anni precedenti, tanto da portare nel 1971, anno dalla nascita del movimento gay italiano, all'ufficializzazione sugli organi di stampa dell'esistenza di migliaia di schedature di omosessuali per ognuna delle più grandi città italiane. Questi venivano condotti negli uffici di pubblica sicurezza per l’identificazione e la creazione di un apposito servizio schedario. La schedatura degli omosessuali, da parte del Ministero, non è esplicitata; tuttavia, fin dalle prime circolari, compare il pressante invito a individuare “persone affette da omosessualità” con l’intento di reprimere il fenomeno, che, a una attenta analisi dei documenti, appare essere in effettiva prosecuzione con il confino fascista[53].
         Sia nel caso italiano, infatti, ma anche in quelli inglese e francese, per limitarsi ai più studiati, le carte mostrano una continuità nelle serie di archivio; in particolare ciò avviene per il caso italiano, per quanto riguarda la conservazione dei fascicoli personali, che scavalca le varie cesure politiche senza interruzioni e, sostanzialmente, evidenzia una certa continuità nella gestione dell’ordine pubblico, almeno nella sua prassi, e al tempo stesso mostra che la continuità con i modelli liberali è riscontrabile nella prassi amministrativa.
Circa i materiali finora consultati, l'analisi dei documenti francesi sta confermando la lettura del fenomeno emersa dalle carte italiane, sia per i dati statistici che per la dinamica della repressione.

La tesi, pertanto, nella sua attuale struttura, si compone di quattro parti: la prima, che tratta gli aspetti teorici del fenomeno, cercando di inserirlo nel contesto più ampio degli studi di genere, ma anche in quello sulla costituzione degli stereotipi, come studiati dallo psicologo sociale Tajfel, e degli studi sul razzismo, prendendo come punti di riferimento anche le recenti opere di Hamerow e Snyder.
La seconda parte è dedicata alla definizione dei caratteri generali del fenomeno, secondo gli studi di Johnson e sulla base delle recenti scoperte documentali emerse in Francia. Ad esso si aggiunge la documentazione statistica sul caso italiano.
La terza parte è invece dedicata ai “case studies” emersi dalla ricerca d'archivio, basata sui fascicoli ritrovati e sulle modalità di applicazione delle leggi, volte a reprimere il fenomeno dell'omosessualità spesso in maniera strumentale.
La quarta parte, infine, sarà dedicata alla comparazione col caso francese, con le statistiche della repressione dell'omosessualità nella città di Parigi.

Appendice

Le numerose osservazioni poste nel corso del dibattito svoltosi durante il workshop mi hanno indotto a integrare con questa appendice, metodologica e documentaria, il paper inviato. Si sentiva in particolare la necessità di integrare questo intervento con delle riflessioni più approfondite, che il ritrovamento di un “historique” francese, avvenuto nell'imminenza della consegna del paper, non aveva reso possibile. Quindi, un'appendice resa necessaria anche dagli stimoli giunti dal discussant, Lorenzo Benadusi, che, con lo spirito di chi lancia il bimbo nell'acqua per insegnargli a nuotare, mi ha invitato a fornire anche una sola prova del fenomeno che coinvolgerebbe Società delle Nazioni e Nazioni Unite.
Ecco dunque la prova. Si tratta di un documento, redatto dalla Polizia francese, che riassume tutte le tappe del controllo sulla prostituzione e la morale pubblica, che avevano condotto alle integrazioni di legge del 1958 e del 1960, e che avevano introdotto in Francia un'aggravante per gli atti osceni compiuti da omosessuali (introducendo di fatto il carcere per gli atti osceni in luogo pubblico) e introducendo una nuova infrazione, l'incitamento alla “debauche”, che, dall'atto della sua istituzione nei primi anni Sessanta vedrà, nella sola Parigi, la produzione di 50.000 denunce all'anno.
Il testo, allegato a una lettera del 5 giugno 1956, all'interno di un fascicolo intitolato “Rapport biennal de la prostituzion de 1953 à 1969”, è il seguente:

Historique succint de la convention

Le comité de la Traite des femmes et des enfants de la Societé des Nations, dans sa 6e session (April 1927), au vu du rapport d'un Comité d'experts chargé en 1923 par le Conseil de la S.D.N. d'une vaste enquete, pria le Secretariat de la SDN d'ètabilir “un resumé des legislations des differents Pays en ce qui concerne les sanctions à appliquer aux personnes qui vivant  partiellement ou en totalité des gains des prostituées”.
Aprés une étude approfondie comprennant notemment pluisieurs consultations d'experts et de  gouvernments, un projet fuit établi en 1937. La 19e assemblée de la SDN, cosntatqant que le projet était approuvé en général, reccomanda la convocation en 1940 d'une conference diplomatique, qui prendreit pour base de ses travaux, le 2éme projet de convention relative à la repression de la prostitution d'autrui.
Le trait essentiel de ce projet était de rendre punissable quiconque “pour satifaire les passions d'autrui et dans un esprit de gain, enbauche, entraine ou detourne […] meme avec son consentement, une personne majeure de l'un ou de l'autre sexe, en vue de l'exploitation de sa prostitution”. Etait également déclaré punissable celui qui tient une maison de prostitution, les souteners, et tous autres exploiteurs de la prostitution d'autrui.
La guerre empecha la réunion de conférence prévue pour 1940. Le 29 mars 1947 le conséil économique et social des Nations Unies chargea le Secrétaire Général de reprendre l'étude de convention de 1937, d'y apporter tous amendements necessaires pour le mettre à jour et reintroduire toutes ameliorations exigées par l'evolution générale depuis 1937.
Le projet ainsi établi […] comportait 3 inovations […]: interdire la mise en carte des prostituées […] encourager les services sociaux […]; declarer “infraction” le fait de s'offrir à la prostitution dans un lieu public […][54].

Questo historique, archiviato insieme a una copia della convenzione del 2 dicembre 1949 per la lotta alla prostituzione, letto così, è un testo alquanto neutrale. Nulla mette in dubbio che il solo oggetto di tali disposizioni sia la lotta alla prostituzione. Tuttavia, se si allarga lo sguardo ai documenti che descrivono le operazioni, alle circolari, alle relazioni periodiche, come pure alla ricerca d'archivio compiuta dal sociologo Jean-Michel Chaumont, dell'Università di Lovanio in  Belgio, emerge un fenomeno repressivo di portata ben più ampia che non la semplice repressione dei reati. In un arco temporale che ha inizio dal 1927-28 e nel corso degli anni Settanta è ancora in pieno svolgimento, la polizia, in Italia come in Francia, nel corso della lotta alla prostituzione, anche maschile, si assume il compito delle schedature anche di individui non imputati di reati. Il fenomeno si acuisce dal 1937-38, quando, anche stavolta sia in Italia che in Francia, vengono emanate disposizioni per la “repressione della pederastia”. Evidentemente, il fatto che in Italia vi sia una dittatura in corso, contrariamente a quanto avviene in Francia, non riesce a porre significative differenze a livello generale nel controllo della morale pubblica, almeno nell'oggetto delle circolari. Inoltre, sia in Francia che in Italia, dal 1952, si rileva una sistematizzazione e una esplicitazione della repressione dell'omosessualità. Allo stesso modo, tra il 1958 e il 1960, per quanto la chiusura delle case d'appuntamento abbia, in Italia e Francia, una storia e uno sviluppo temporale differenti, entrambi i paesi introducono modifiche di legge, o progetti in tal senso, miranti a reprimere prostitute e omosessuali, intento dichiarato anche attraverso gli organi di stampa, tanto che gli omosessuali, con la nascita dei movimenti gay, qualche anno dopo, contesteranno, tra l'altro, di essere equiparati alle prostitute dalla polizia e dall'opinione pubblica.
Ai riscontri provenienti dai documenti di archivio si aggiunge inoltre un aspetto per alcuni versi inquietante, ossia il fatto che il Rapporto prodotto nel 1927 dal Comitato della Sdn è un falso, una vera e propria manipolazione di dati con l'obiettivo di dimostrare l'esistenza della tratta a fini di prostituzione. Questa è la conclusione a cui giunge Chaumont, che ha studiato la documentazione prodotta dalla Commissione e conservata presso l'archivio delle Nazioni Unite a Ginevra. Come spiega il sociologo belga nella sua opera sulla “tratta delle bianche”,

[…] un discours militant a dénoncé l’existence d’un « fléau » d’ampleur mondiale. Ce discours mythique devient une réalité scientifiquement démontrée lorsqu’en 1927 un comité d’experts de la Société des nations publie un rapport issu d’une enquête internationale sur la question. L’examen de leurs archives confidentielles montre qu’ils ont complètement manipulé les résultats de l’enquête pour prouver la réalité de la traite. L’essentiel de mon livre est consacré à l’analyse des secrets de fabrication par lesquels le mythe a été « scientifiquement » confirmé : généralisations abusives, chiffres douteux, éléments occultés […]

Tuttavia, sottolinea ancora Chaumont, in un periodo in cui fenomeni come la prostituzione sono cavallo di battaglia delle argomentazioni del darwinismo sociale e del razzismo, il discorso si amplia presto fino ad includere altre categorie sociali:

Dans un premier temps, le mythe fut surtout l’œuvre de militants féministes et « droits de l’hommistes ». Ils visaient à abolir la réglementation de la prostitution : à savoir l’inscription d’office des prostituées, les visites médicales obligatoires et les maisons de tolérance. Mais, très vite, d’autres acteurs, notamment des associations puritaines et d’hygiène sociale s’en sont emparés et l’ont adapté à leurs fins: ils dénonçaient pêle-mêle le patriarcat, le capitalisme, l’immoralisme, les immigrés, les Juifs […][55]

Chaumont, nel suo studio, non analizza dati statistici, quelli che emergono dagli archivi della polizia. Tuttavia salta all'occhio come, ad ogni passaggio della vicenda, guidata da Sdn e Onu, e dalla Nato per quanto riguarda il periodo 1952-57, vi sia un concomitante cambio di registro nella documentazione che attesta l'attività repressiva delle forze dell'ordine. Nesso che era rimasto una semplice ipotesi di lettura, fino al ritrovamento dell'historique della polizia francese. Tale relazione ha aperto nuovi e interessantissimi filoni di ricerca su tutto il fenomeno della morale sessuale nei paesi occidentali durante il XX secolo, che meriteranno un approfondimento in future ricerche.

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