I frutti verdi di Lord Byron

30 maggio 2005, "Babilonia", n. 96, gennaio 1992 con il titolo "I frutti verdi di Lord Byron"

Quante volte abbiamo letto di artisti che per sconforto hanno distrutto alcune loro opere, come il fotografo Platt Lines, o di opere distrutte dal cieco furore di società repressive, come nel caso di Von Glöden? Cose perse per sempre, con più o meno rammarico. Ma cosa pensare di ciò che si è perso quando nel 1824 l'editore John Murray, con la complicità degli amici John Cam Hobhouse e Thomas Moore, bruciò con livore in un tragico rogo - dopo essersi assicurato che non ne esistessero altre copie - le memorie di Lord Byron, appena morto, perché ritenute troppo scandalose?


Di sicuro il contenuto di quel manoscritto di 400 pagine doveva essere eccessivamente forte se Murray rinunciò ad un cospicuo guadagno, vista la straordinaria fama del poeta ed il mai domo desiderio di dettagli scabrosi e piccanti da parte dei lettori, che già si erano cibati con avidità di tutte le sue numerosissime avventure sentimentali ed erotiche.

Purtroppo non potremo mai conoscere il contenuto di quel testo. Non ci resta dunque che immaginarlo. Sicuramente è facile, come si è sempre ritenuto, che Lord George Gordon Byron (1788-1824) vi raccontasse dell'incesto con la sorellastra Augusta. Ma, più che mai, è facile ipotizzare che avesse affidato a quelle sue pagine i suoi pensieri più nascosti ed inconfessabili.

Quali potevano essere? Non certo gli innumerevoli amori avuti con donne, al contrario. C'era poco da scandalizzarsi, anzi semmai da divertirsi nell'udire gesta inusuali dai tempi di Casanova. L'intera Europa sapeva di questo inesausto Don Giovanni, seduttore irrestibile per la sua bellezza ed il suo fascino, nonostante la deformità al piede che aveva dalla nascita e che anzi, a mo' di puntigliosa rivincita, lo spingeva a performance fisiche di eccezionale valore, come l'attraversamento a nuoto dell'Ellesponto o i bagni notturni nella laguna veneta.

No, molto più facile che si parlasse di altro, ossia dell'attrazione che Lord Byron sin dall' adolescenza provò verso i ragazzi; come Don Juan, l'eroe del suo più grande capolavoro (Don Juan, appunto), amava infatti quelli che soleva chiamare "i frutti verdi". Bisogna dunque parlare, oltre che della sua bisessualità, anche di pedofilia.

Cosciente del forte livello tragressivo della cosa, ma evidentemente incapace di dominarsi e di vincere la forza dei sensi, preferì tenere per sé queste esperienze, rivelandole a pochi amici intimi, tutti anch'essi omosessuali. D'altra parte nell'Inghilterra perbenista dell'epoca l'omosessualità era punita severamente, talvolta anche con la morte, ed in ogni caso significava finire screditati del tutto davanti all'opinione pubblica.


Ormai sappiamo tante cose sugli amori maschili di Byron, soprattutto dopo l'eccellente saggio dell'americano Louis Crompton: Byron and Greek Love - Homophobia in 19th-Century England (1985, Berkeley, University of California Press). Le numerose amicizie amorose che hanno tanto segnato la vita di Byron sono contrassegnate da tratti comuni, in particolare dopo che diventò adulto. I ragazzi amati - tutti di giovane età, al massimo di sedici anni, meglio quindici - appartenevano infatti a ceti più bassi ed erano il più delle volte a mala pena istruiti: le loro scarse lettere arrivate fino a noi sono semplici, usuali ed informate da una deferenza tipica di un servo verso il proprio padrone, ragion per cui sono quasi tutte cadute nell'oblio. Tutt'altra cosa dalle pagine che il poeta ha scritto per loro, raffinate, grondanti d'amore, per quanto quasi sempre schermate, perché persino il trasgressivo Lord Byron se l'è sentita solo di rado di definire apertamente di che tipo fossero le proprie pulsioni sessuali.


I primi amori Byron li ha avuti nella "sua bollente giovinezza" al Trinity College di Cambridge. Amori platonici forse, se non sicuramente, ma non per questo meno sentiti: George De La Warr, Lord Dorset, Lord Clare (incontrato per caso molti anni dopo a Bologna, cosa che per l'emozione lo fece piangere a dirotto e di cui dirà poi: "Non sento mai la parola 'Clare' senza che il mio cuore mi si metta a battere anche ora").

Ma fu soprattutto John Edleston, un corista biondo e dagli occhi scuri, che gli ispirò "un amore e una passione violenti, ma puri", amore che fu sicuramente corrisposto, tanto che sembra addirittura che i due abbiano abitato assieme a Londra. Certo è che il poeta se ne invaghì perdutamente: "Dapprima la sua voce attrasse la mia attenzione, quindi il suo aspetto la fissò, e i suoi modi mi avvinsero a lui per sempre (...) Io certo lo amo più di qualsiasi essere umano (...) Lui è certo più attaccato a me di quanto persino io lo sia a mia volta; durante tutta la mia residenza a Cambridge ci siamo visti ogni giorno estate e inverno, senza passare un solo momento di noia, separandoci ogni volta con riluttanza crescente. In questo momento scrivo con una bottiglia di bordeaux nella testa e lacrime negli occhi, poiché mi sono appena separato dal 'mio Cornelian', che ha passato la serata con me. Edleston ed io ci siamo divisi per il momento e la mia mente è un caos di speranza e di dolore". Per lui Byron scriverà alcune delle sue poesie più belle, celando il nome di Edleston dietro quello femminile di "Thyrza", in cui ormai tutti i critici identificano l'efebico corista. La notizia che Edleston fosse stato poi accusato di oscenità e quella della sua morte, consumato dalla tisi, raggiungeranno Byron in Grecia, prostrandolo enormemente.


Byron partì il Grand Tour nel 1809. Non era un fatto di per sé particolarmente originale, visto che tanti intellettuali anglosassoni lo facevano: l'Oriente era di moda, affascinava con i suoi esotismi e soprattutto permise la prima evasione da quella società europea che agli occhi dei romantici appariva sempre più meccanica e mortificante i valori dello spirito. Il Mediterraneo e l'Oriente sembravano infatti più schietti, più naturali e oltretutto permettevano tante cose proibite nell'Europa conformista. Byron visitò il Portogallo, la Spagna, Gibilterra, Malta, la Grecia, l'Albania, la Turchia e nuovamente la Grecia. Il racconto poetico di questo suo viaggio, Childe Harold (Il pellegrinaggio del giovane Aroldo), colmò l'immaginario di un'Europa stanca dei proprî miti, portando Byron ad una fama senza precedenti, che pochi altri hanno avuto in vita.

In procinto di partire scrisse una lettera ad un amico, comunicandogli scherzosamente che al ritorno avrebbe stilato un trattato dal titolo "I rudimenti della sodomia e i proventi della pederastia secondo gli autori antichi e la pratica moderna". Dietro la facezia non è difficile però leggere in controluce le sue reali intenzioni, come si può leggere in uno scambio di lettere con l'amico omosessuale Charles Skinner Matthews. Pur criptiche, affinché fossero comprese che dai pochi adepti, Byron confidò all'amico di "essere circondato da Giacinti (ossia il ragazzo amato dal dio Apollo, il quale senza volerlo lo uccise con un disco, n.d.A.) e da altri fiori della più flagrante natura" e di "voler cogliere un bel bouquet per poter fare un paragone con quelli esotici che spero di trovare in Asia". Da parte sua, Matthews gli raccomandò, continuando il gioco botanico, di cogliere "polyandria", ossia fiori di sesso maschile, e non "monogynia", fiori di sesso maschile, e di fargli sapere la classe e il nome di tutti i fiori raccolti.


In viaggio Byron si invaghì del suo giovane paggio al suo seguito, Robert Rushton, conosciuto probabilmente in un bordello per uomini a Londra. Presto preferì però rimandarlo in patria perché "si sa che i ragazzi non sono al sicuro tra i turchi". Ma non solo i ragazzi, a giudicare dai fatti. Quando in seguito Byron arrivò in Turchia, capì per mano quanto l'omosessualità fosse diffusa in quella nazione. Niente paura, comunque, visto che arrivò a dire di sentirsi più turco che inglese: "Non vedo molte differenze tra noi e i Turchi, tranne che noi abbiamo il prepuzio e loro no, che loro hanno gli abiti lunghi e noi corti, che noi parliamo molto e loro poco. In Inghilterra i vizi di moda sono le puttane e il bere, in Turchia la sodomia e il fumo, noi preferiamo una ragazza e una bottiglia, loro una pipa e un ganimede".

Arrivato in Albania, un brigante gli fece da guardia del corpo, chiedendogli un compenso "non in danaro, ma in natura". Il pascià del luogo, Veli Pascià, non gli lesinò le sue attenzioni, proprio come aveva già fatto suo padre Alì, con modi suadenti e fascianti, a cui difficilmente si poteva dir di no. Frederic Prokosh ha raccontato nella sua famosa "biografia immaginaria", Il manoscritto di Missolungi, come Byron si sottomettesse alla 'posizione ottomana', provandone sì dolore ma anche soave piacere.


In Grecia Byron ebbe una prima relazione con un ragazzo, Eustachius Georgiu, "pronto a seguirmi anche nella Terra Incognita, se la mia bussola indicherà questa direzione". Ma l'esasperata femminilità del ragazzo - "agghindato molto elegantemente in costume greco, con quei riccioli d'ambrosia che gli scendono sulla amabile schiena e con un parasole in mano per difendere la sua carnagione dal caldo" - unita ai suoi bizzarri ed infantili capricci, lo allontanarono dal poeta, che però notava che "in altre cose è molto disponibile".

Fu prontamente sostituito nel suo cuore da un affascinante ragazzo di sedici anni franco-greco, Nicolò Giraud, uno fra i tanti con cui Byron convisse nel convento cappuccino di Mendele, presso Atene, dove alloggiò. Nel convento praticò il sesso in maniera molto ludica, come poi confidò al suo caro amico Hobhouse - in lettere in cui utilizzava un codice di sicurezza - al quale raccontò di avere avuto più di "200 pl and opt CS" ("plenum et optabilem coitum", ossia rapporti sessuali).

Nicolò - cognato del pittore romano Giovanni Battista Lusieri (il quale lavorò al servizio di Lord Elgin nel trafugare i marmi del Partenone) - divenne in breve il suo inseparabile compagno nelle cavalcate e nelle nuotate al Pireo. In un'occasione di queste spiegò al poeta, incuriosito del fatto che i ragazzi greci non portassero il costume a differenza di quelli turchi, che il prepuzio faceva sentire i primi coperti da qualcosa, mentre gli altri, circoncisi, si sentivano irrimediabilmente nudi. Fu un amore profondo, appassionato - per il quale Byron disse "Ho impiegato la maggior parte del tempo oggi a coniugare il verbo baciare" mentre Nicolò prometteva al suo "padrone" ed "amico" di voler vivere assieme a lui fino a "morire insieme" - ma anche vissuto con trascinante sensualità se, come pare, il giovane Nicolò dovette andare da un medico per lacerazioni dello sfintere anale. Alla partenza, Lord Byron gli lasciò la somma, allora particolarmente considerevole, di 7000 sterline.


Il ritorno nel 1811 in Inghilterra significò per lo scrittore rientrare nei ranghi, rinunciando per un po' a queste esperienze così intense. Nonostante il matrimonio di convenienza con Annabella Milbanke, dalla quale ebbe la figlia Ada, ben presto si sparsero le notizie sull'incesto con la sorellastra Augusta e sulle sue amicizie in ambito omosessuale, a cominciare dalla relazione col giovane Robert Rushton. Così non molti anni dopo, nell'aprile del 1816, per lo scandalo fu costretto a lasciare definitivamente la sua nazione, da lui amata e odiata nello stesso tempo.

Da allora iniziò la sua ultima peregrinazione, che lo vide viaggiare in Belgio, Germania, Svizzera, Italia e Grecia. Nel periodo veneziano, dal 1817, riprese le vecchie, piacevoli usanze. Nelle sue lettere afferma di avere avuto nella città lagunare più di 150 donne, tra cui la celebre "Fornarina" Margherita Cogni. Non è difficile certo credergli, considerato che tutti i salotti bene della città si spalancavano al suo arrivo e le donne facevano a gara per godere della sua conosciuta abilità nel fare l'amore (e non solo di quella visto che, come fu annotato in una ricognizione del suo cadavere, "i suoi organi sessuali mostravano uno sviluppo del tutto anormale"). Ma non si fermò alle donne. Scatenato sul piano sessuale, in particolare durante i fastosissimi carnevali, spese una fortuna - "quello che guadagno col cervello lo spendo per i lombi", disse - per le numerosissime scapatelle con i ragazzini veneziani, estremamente disponibili.


Fu però nel suo secondo viaggio in Grecia, quello effettuato per combattere per l'indipendenza della nazione greca e che si concluderà con la sua morte a Missolungi nel 1824 - fulgido esempio di coraggiosa coerenza in un romanticismo troppe volte eroico solo a parole - che Lord Byron conobbe il più tenero dei suoi amori: lo scudiero Lukas Chalandrutsanos, quindicenne di straordinaria bellezza. Prokosh così ama immaginarlo: "Aveva quindici anni e un viso di Apollo. Occhi azzurri, di un azzurro intenso, che è una rarità tra i greci, e i capelli con una sfumatura ramata: anche questa una rarità tra i greci. Il suo corpo era come una lampada, emanava una luce delicata, quasi che sotto la sua pelle bronzea ardesse una fiamma."

In quei giorni in cui la guerra stremava tutti, l'unico pensiero di Byron era di salvare lui, Lukas. Il suo paggio però non l'abbandonò, rimanendogli accanto fino all'ultimo; ma se probabilmente non negò il suo corpo, non per questo egli ricambiò il perduto amore di Byron. Il disperato sentimento rafforzò la voglia di vivere del poeta in un momento di forte delusione. Gli ultimi, strazianti versi del poeta che morirà pochi giorni dopo, lontano da quell'Inghilterra che non l'aveva mai compreso, sono dunque per il suo Lukas, in due straordinarie poesie piene di disincanto. Nella prima, In questo giorno compio il mio trentaseiesimo anno, disse: "Distruggi le passioni che rinascono, mia indegna natura! Devi essere indifferente al sorriso o al corruccio della bellezza". La seconda, Amore e morte, rinvenuta pochi decenni fa, finisce con questi straordinari, strazianti versi: "Così tanto e più - eppure tu non mi ami, né mi amerai mai, l'amore non sta nel nostro volere. Né posso biasimarti, seppur sia mio destino quello di fortemente - erroneamente - vanamente amarti ancora".


Ancor oggi il mito di Byron non accenna a declinare, anzi. Tanti, io in prima fila, sono sedotti dall'irripetibile fascino di questo personaggio eccezionale. Diceva Christopher Isherwood nel suo Ottobre: "Leggo Byron per evocarlo e stare con lui; essere semplicemente in sua presenza per me è molto più importante di tutto quello che dice. Lo amo come persona perfino più di quanto ami il suo Don Juan, che è tutto dire. Preferirei passare una sera con lui più che con qualsiasi altro grande scrittore del passato (...) Sono certo che andremmo d'accordo. Sono un buon ascoltatore e saprei cone indurlo ad esibire il suo spirito. Lo sottoporrei a una raffica di domande sulle sue dame in modo schietto e moderno, mettendo in chiaro che sono omosessuale. E poi, gradatamente, lo indurrei a parlare del giovane corista John Edleston; lo farei con estrema delicatezza, mostrando tutto il mio rispetto per l'amore romatico. Egli mi direbbe cose mai dette prima ad alcuno. La sua voce tremerebbe per l'emozione. E poi, dopo una doverosa pausa, ci metteremmo a ridere allegramente." Concordo pienamente con Isherwood.
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