Norman Douglas

21 novembre 2005, "Babilonia", n. 117, dicembre 1993, con il titolo "Zio Norman"

Da un po' di tempo sugli scaffali delle librerie, in special modo di quelle gay, non è difficile imbattersi in opere di Norman Douglas. In effetti solo adesso si sta lentamente dissolvendo l'oblio che, dopo la sua morte, ha avvolto questo singolare personaggio, soprannominato "Zio Norman". Ma è facile che il lettore che vi si avvicini rimanga alfine un po' deluso poiché' nelle sue opere non vi troverà che dei rari accenni omosessuali e comunque sempre troppo velati e pudichi.


Chi era dunque Norman Douglas? La sua vita "pressapoco rispettabile" è una storia esemplare di uno dei tanti intellettuali anglosassoni innamoratosi dell' Italia. Nel Bel Paese egli mise finalmente a nudo le sue vere inclinazioni, trovando un nuovo modo di essere, evidentemente impossibile in quell'Inghilterra vittoriana dove proprio in quegli anni si processava Oscar Wilde: una visione apertamente epicureista, intesa al pieno soddisfacimento di tutti i sensi, scalzò la sua cultura fondata su un radicato estetismo, che però non andava oltre un culto del bello fine a se stesso. Douglas si prodigò moltissimo per comprendere intimamente quella cultura così nuova ed autentica: imparò i dialetti locali, trattando tutti con semplicità, anche le classi più basse, ed apprendendo con curiosità ogni risvolto del loro modo di pensare. Quella realtà mediterranea, consumata dal sole e dal mare, stimolò in lui ogni piacere, da quello del palato - imparò a gustare prelibatamente i cibi italici e il vino - a quello di una sensualità goduta fino in fondo, rivolta a ragazzi dalla solare fisicità. In questi figli del sole egli vedeva riposto ogni pregio: "Un uomo che ha cercato di restare un semplice cittadino del mondo troverà nei ragazzi un'inconscia corrispondenza ai suoi molteplici interessi. Essi non sono standardizzati. Sono più generosi nel valutare, più sensibili alle idee pure e semplici, più obiettivi. La loro curiosità è disinteressata. Può darsi che la materia prima sia grezza, ma la visione delle cose è ampia: è la spassionata visione dei saggi. Un ragazzo è pronto per abbracciare l'universo. E, al contrario degli adulti, non ha paura di confrontarsi con i proprio limiti".


Douglas era approdato per la prima volta in Italia, a Napoli, nel 1888. Fino ad allora la sua vita si era consumata su altri palcoscenici: nato nel 1868 in Austria, a Tilquhillie, in una famiglia di origine scozzese, e vissuto in seguito in Inghilterra e in Germania, si era impegnato soprattutto nello studio; la sua inappagabile curiosità verso ogni campo dello scibile umano in breve gli aveva permesso di impadronirsi di una cultura non comune, in particolare sul versante scientifico: geologia, zoologia, botanica, mineralogia. Ma dopo l'esperienza napoletana, l'Italia fu per lui un richiamo irresistibile finché si decise finalmente a trasferirvisi nel 1897. Risale a quegli anni la sua prima relazione con un ragazzo, Michele ("Il ragazzo si innamorò di me disperatamente, come solo può farlo un ragazzo meridionale di quell'età; così ciecamente, che ad un mio cenno avrebbe abbandonato lavoro, famiglia e tutto il resto. Fu come un fulmine a ciel sereno, e non gli importava che la gente se ne accorgesse. E la cosa più strana [strana, cioè, per la nostra mentalità inglese] è che la cosa non sorprese minimamente né sua madre né sua sorella; la giudicarono la cosa più naturale del mondo"); ma proprio allora, a riprova di dubbi irrisolti e a mo' di paravento sociale, si sposò con una cugina, Elsa, da cui avrà due figli.


Fu nel 1903 che si sbarazzò una volta per tutte di ogni remora sociale. Disse addio al matrimonio e andò a vivere a Capri di cui - sbarcatovi casualmente qualche anno prima alla fortunata ricerca della rara lucertola azzurra - si era innamorato perdutamente. L'isola rimase per tutto il resto della vita il suo punto di riferimento privilegiato, un luogo di sicuro approdo dopo gli innumerevoli viaggi compiuti in Italia e nel mondo. A convincerlo ancor più della bontà della sua scelta concorse uno sgradevole episodio accadutogli in Inghilterra: un arresto e strascichi giudiziari non indifferenti sotto l'accusa di aver adescato un ragazzo di 16 anni al Museo di Storia Naturale di Kensington. In Italia - dove pure ebbe dei problemi giudiziari, tanto da fargli dire: "Non ho fatto altro che passare le frontiere per evitare arresti a ripetizione" - Douglas potette invece vivere a proprio agio, circondandosi di ragazzi, sempre di classi umili, che aiutava finanziariamente con generosità: Amitrano, un pescatore di Nerano, il francese René Mari - che gli rimarrà accanto fino alla sua morte di tubercolosi nel 1933 - ed Ettore, uno scugnizzo caprese, con cui trascorse gli ultimi anni di vita (al riguardo, quando la madre pretese che Ettore tornasse presso di lei, Douglas trovò una soluzione salomonica, ancorché fonte di scandalo per molti: vivere tutti e tre assieme, offrendo alla donna il cospicuo appannaggio di 400 sterline). Nell'isola che amò più di ogni altra cosa e che gli dette, primo straniero, la soddisfazione della cittadinanza onoraria, visse il resto della sua vita, salvo un'uggiosa parentesi inglese durante la guerra; quando vi ritornò, all'addetto dell'ambasciata italiana che gli negava un permesso così lungo disse: "Ma io non ci vado a vivere, ci vado a morire". Ed infatti vi morì nel 1952.


Questa vita così ambigua ma, nello stesso tempo, decisa in alcuni risvolti, non sempre si rispecchia nelle opere. Sicuramente non nei romanzi, che più di tutto gli dettero grande fama. Il più celebre fu Vento del Sud che mandò in visibilio i soldati in trincea nella grande guerra per i suoi richiami a terre assolate e a mari limpidi. L'opera - riassunta così dall'autore: "Come l'assassinio può diventare una prospettiva praticabile per un vescovo" - ha come teatro l'isola di Nepente, al largo dell'Africa (dietro cui non è difficile intravedere Capri) e il cui caldo indolente condiziona gli eventi e i comportamenti. La contrapposizione, poi, delle due diverse culture degli indigeni e degli anglosassoni là residenti permette a Douglas di evidenziare la puritana grettezza di quella nordica. Ai romanzi, forse datati, sono preferibili i suoi diari di viaggio, in cui più è avvertibile un attraente impasto di "modelli spartani di disciplina intellettuale e modelli babilonesi di tolleranza morale". Nel descrivere le sue sensazioni, le idee e le innumerevoli idiosincrasie a contatto con realtà tanto diverse, Douglas, attento sia agli uomini che alla natura, dà vita a scritti eleganti, eruditi e con un sottile, irresistibile humour. Opere di sciolta leggibilità, in cui però - nonostante un suo biografo abbia detto: "Egli ha portato alle estreme conseguenze sia la franchezza che la reticenza" - solo dietro le righe traspaiono messaggi omoerotici. Non che non ne abbia scritti: Some limericks, distribuita privatamente ad amici, fu da egli stesso definita: "estremamente oscena e blasfema oltre ogni misura, una delle più indecenti in lingua inglese". E come se non bastasse, prima delle morte compilò un'antologia di graffiti collezionati dai muri dei gabinetti di tutta Europa. Ma sono opere, allora come oggi, introvabili, significative di una doppia vita che all'epoca era tutt'altro che rara: la vita andava più veloce della cultura, più che mai obbligata ad una parvenza esteriore di accettabilità sociale. Gli scrittori, a meno di non dare alla luce opere ardite ma anonime come Teleny, non avevano neanche gli alibi dei pittori, che potevano ritrarre il nudo in nome dell'accademismo. Pur interessante come personaggio, Douglas si contentò così di opere - peraltro non eccelse qualitativamente - integrate al sistema. Ma senza farsene un dramma; per lui dopotutto era importante "scrivere un buon libro, una buona cena per sei e viaggiare nel Sud insieme con il proprio amore".
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