Pierre Seel

Nato e cresciuto in Alsazia (Francia) in una famiglia molto cattolica, nel 1939, a 16 anni, venne derubato dell'orologio in un parco noto come luogo d'incontro omosessuale. Quando denunciò il fatto al commissariato, il suo nome fu schedato a sua insaputa nell'elenco degli omosessuali tenuto dal commissariato. Con l'invasione tedesca della Francia, Seel aderì alla Resistenza contro il nazismo.

Qualche mese dopo l'invasione tedesca, nel 1940, a 17 anni Seel fu convocato (assieme ad altri omosessuali) dalla Gestapo, che aveva messo le mani sugli schedari del commissariato. Venne arrestato, interrogato e torturato per due settimane.

Il 13 maggio 1941, fu deportato dai tedeschi e internato nel campo di concentramento di Schirmeck, a 30 chilometri da Strasburgo, dove subì violenze e torture a causa del suo orientamento sessuale.

Dopo parecchi mesi passati in vari campi di concentramento, Seel fu arruolato a forza nell'esercito tedesco (come alsaziano, parlava sia tedesco sia francese) e mandato a combattere sul fronte russo.

Alla Liberazione, come la maggior parte dei deportati, non potè parlare dell'inferno che aveva vissuto. Seel tornò in Francia, si sposò e mise al mondo quattro figli, ma a lungo tenne solo per sé il dramma della sua deportazione.


Dopo quasi trent'anni di silenzio, nel 1982, indignato dagli attacchi omofobi del vescovo di Strasburgo, decise infine di parlare e di rivelare perché fosse stato arrestato e incarcerato. Nonostante l'ostilità della famiglia (dopo la pubblicazione della biografia, non ha più potuto vedere i suoi nipoti), contribuì a fare luce su un dramma dimenticato, un tabù nascosto persino dalle democrazie europee del dopoguerra. E raccontò anche i momenti più drammatici della sua prigionia, come l'esecuzione del ragazzo che amava.

Cominciò da lì una battaglia lunga decenni per ottenere il riconoscimento di deportato omosessuale dallo stato francese. Come vittima dell'Olocausto era stato risarcito dall'Organizzazione internazionale per l'immigrazione, ma - ripeteva - finché non fosse stato riconosciuto come "vittima omosessuale" si sarebbe sentito sempre un "senza-permesso di soggiorno" (sans-papier).

La testimonianza di Seel è stata particolarmente preziosa in Francia, dove le associazioni di ex-deportati e di partigiani hanno rifiutato a lungo di ammettere gli esponenti del movimento di liberazione omosessuale alle cerimonie in memoria delle vittime del nazismo. Ci furono perfino episodi di distruzione delle corone di fiori portate dagli omosessuali in tali occasioni. Seel, con la sua testimonianza, stimolata in parte proprio da tali episodi d'intolleranza, contribuì notevolemente al processo che ha portato all'attuale dialogo fra movimento gay e associazioni di ex deportati e partigiani.

A partire dal 2001 anche le autorità hanno cominciato a invitarlo per celebrare la Giornata della memoria e alla fine anche il presidente francese Chirac ammise l'esistenza della deportazione omosessuale, in occasione della "Giornata nazionale del ricordo delle vittime e degli eroi della deportazione": "In Germania, ma anche sul nostro territorio, coloro che la loro vita personale rendeva diversi, io penso qui agli omosesusali, erano perseguitati, arrestati e deportati".

Pierre Seel è sepolto nel cimitero di Bram (Aude).
La sua storia è raccontata nell'autobiografia Io, Pierre Seel. Deportato omosessuale, tradotta anche in tedesco e in inglese (con il significativo titolo: "La Liberazione era per gli altri").
La sua testimonianza appare inoltre nel filmato Paragraph 175.


Nonostante la sua testimonianza, molto ancora rimane da scrivere sulla persecuzione dei gay durante il nazismo e il fascismo, anche perché moltissime delle vittime hanno preferito tacere e nascondersi o sono state obbligate a farlo da società grette o da leggi repressive. Ridare voce a quelle vittime dimenticate è il modo migliore di onorare la memoria di Pierre Seel e difendere la sua eredità.

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