Quasi coetaneo di Almodovar, Eloy De la Iglesia iniziò a fare film molto prima e fu uno dei pochi a sfidare la moralità repressiva della Spagna franchista con film provocatori nei quali l'omosessualità era trattata esplicitamente e con una vena realistica che infrangeva ogni tabù. Omosessuale dichiarato, basco, comunista, negli anni del regime De la Iglesia non era certo un personaggio comodo.
Gli inizi sotto il regime
Nato a Zarautz (Guipúzcoa) nel 1944, Eloy de la Iglesia si trasferisce a Madrid negli anni dell'università per studiare lettere e filosofia. Appassionatosi al teatro e al cinema, abbandona l'università e si trasferisce a Parigi per frequentare l'Institut des Hautes Etudes Cinématographiques. Tornato in Spagna, nel 1963 lavora per il Teatro Popular Infantil e quindi per la televisione, per la quale scrive, produce e dirige in pochi anni decine di lavori.
Nel 1966 gira il primo dei suoi ventidue film, Fantasía... 3, composto di tre brevi lavori per bambini precedentemente realizzati per la televisione (tra i quali un adattamento de Il mago di Oz). Negli anni successivi frequenta soprattutto i generi popolari (allora molto in voga anche in Italia) del thriller e dell'horror. Non si tratta di semplici film di genere, ma di opere già molto personali nelle quali De la Iglesia inserisce critiche al regime e temi scabrosi che sfidano apertamente la soffocante censura dell'epoca e gli attirano qualche critica di sensazionalismo.
Se la critica per lo più storce il naso, De la Iglesia si guadagna un certo seguito di cultori, anche all'estero, in particolare con I vizi morbosi di una giovane infermiera (Una gota de sangre para morir amando, 1973), forse anche per la sua somiglianza con Arancia meccanica (A Clockwork Orange, 1971), e con L'appartamento del 13° piano (La semana del asesino, 1972), un film cruento segnato da inconsuete ambizioni di approfondimento psicologico dei personaggi, collocati sul preciso sfondo socio-economico di una Spagna oppressa dal regime ma lentamente avviata sulla strada di una modernità che, tra le altre cose, accentua il divario tra le classi sociali.
La censura si accanisce su questi primi film di De la Iglesia, nei quali tra l'altro il regista spesso inserisce personaggi omosessuali, in anni in cui in Spagna l'omosessualità era un reato punibile con il carcere ed era un tema tabù al cinema. A irritare i censori sono anche i toni espliciti con cui De la Iglesia rappresenta la sessualità: già nel suo secondo film, Algo amargo en la boca (1969), la censura ordina ad esempio la soppressione «del primer plano de la tetilla de Cèsar», cioè il dettaglio del capezzolo di Juan Diego, l'attore che interpreta il giovane che le tre donne, per conservare l'equilibrio su cui hanno costruito la loro vita, finiscono col divorare. Ma il film più vessato dai censori, a detta del regista stesso, è Juego de amor prohibido (1975), metafora politica piuttosto trasparente incentrata su un ricco e maturo professore che, con la complicità dell'ex alunno Jaime (il rapporto fra di loro, complice probabilmente proprio la censura, risulta piuttosto ambiguo), rapisce due suoi allievi e li sottopone a trattamenti sadici cercando di soggiogarli e di ridurli alla cieca obbedienza, finché i due, con l'aiuto di Jaime, si ribellano, lo rinchiudono in cantina e prendono possesso della sua villa, ma solo per finire con l'assomigliargli.
I melodrammi della transizione
In tutti questi film emerge già quella vena melodrammatica che diventa dominante nelle opere della cosiddetta transizione (il periodo tra la morte di Franco, avvenuta nel 1975, e l'approvazione della nuova costituzione, tre anni dopo), che ripensano l'eredità di repressione culturale, politica, umana, sessuale del regime, esercitata tramite istituzioni quali la polizia, la famiglia e soprattutto la chiesa cattolica. Basti pensare a come El sacerdote (1978) attacchi apertamente la chiesa cattolica e la sua connivenza con il regime, tramite la crescente ossessione per la carne che porta il prete protagonista a una sorta di tragicomica polimorfia sessuale, che gli causa stati improvvisi di eccitamento sempre più imbarazzanti.
Al centro dei melodrammi di questi anni vi sono vicende d'amore complicate da ogni genere di contrasti sociali che portano al collasso convenzioni e perbenismo e costringono a rimettere tutto in discussione. A differenza di quanto accade nei coevi melodrammi di Fassbinder, non si tratta di asimmetrie inevitabili che minano la realizzabilità del rapporto amoroso, ma di esperienze magari dolorose ma infine liberatorie che, tramite l'irrazionalità dell'eros, contrastano le ragioni della rispettabilità borghese, ne fanno saltare le inibizioni e spingono verso la trasgressione di regole e convenzioni. Amare, anche quando è palesemente controproducente, è per l'eroe di De la Iglesia l'unico modo di sfuggire al grigiore di una vita magari agiata ma vuota di significato, che solo nel brivido dell'imprevisto scaturito dall'incontro con l'altro (l'adolescente, lo straniero, il criminale, il povero, l'omosessuale o anche l'eterosessuale, a secondo di quale sia l'orientamento del protagonista) può rianimarsi di passione, anche quando non corrisposta. Solo così è possibile reinventare i rapporti personali, ad esempio sperimentando nuove forme di unione familiare. Spesso, infatti, il culmine del dramma, persino quando sembri irreversibile (come nel caso dell'evirazione in El sacerdote), rende più liberatorio il finale, che solitamente concede un tocco di costruttivo ottimismo progressista.
Quelli della transizione sono anni in cui si possono finalmente affrontare temi prima proibiti, soprattutto quando, nel 1977, viene almeno nominalmente abolita la censura. Così, sebbene dopo la caduta del regime l'omosessualità continui a rimanere un tema tabù, si manifesta la possibilità di trattarne non solo in modo più esplicito, ma anche con accenti apertamente militanti, in parallelo con la nascita delle prime organizzazioni gay spagnole. Il primo a farlo è proprio De la Iglesia con Los placeres ocultos (1976), incentrato su un maturo e agiato borghese omosessuale che cerca di "mettere su una sorta di famiglia" (parole sue) insieme a un adolescente proletario eterosessuale, di cui si è perdutamente innamorato, e alla di lui fidanzatina. Los placeres ocultos è seguito a ruota da film come A un dio sconosciuto (A un dios desconocido, 1977) di Jaime Chávarri, Cambio di sesso (Cambio de sexo, 1977) di Vincente Aranda e Un hombre llamado Flor de Otoño (1978) di Pedro Olea, e soprattutto El diputado (1978), dello stesso De la Iglesia, nel quale un politico socialista tenta faticosamente di conciliare matrimonio, carriera e un'omosessualità prima repressa, poi riscoperta nell'amore per una marchetta adolescente, la quale a sua volta scopre l'impegno politico. El diputado rappresenta la quintessenza del cinema di De la Iglesia e rimane una delle sue opere più complesse e impegnate (oltre che una delle più impegnative per lo spettatore odierno, ricco com'è di riferimenti puntuali alla realtà e alla cronaca della Spagna di quegli anni).
De la Iglesia sfrutta con intelligenza anche il fenomeno cosiddetto destape, cioè la tendenza a ricorrere con abbondanza crescente a scene più o meno gratuite di nudo per attirare il pubblico, che si era diffusa nel cinema spagnolo in quegli stessi anni. De la Iglesia, che aveva sempre cercato di essere il più esplicito possibile in materia sessuale, non perde l'occasione per rendere la rappresentazione del sesso ancora più esplicita, che può essere anche calcolata ma non è mai gratuita poiché, nelle parole del regista stesso, poggia sulla convinzione che «la perversione sessuale sia forse l'unica forma di ribellione a nostra disposizione contro la società oppressiva nella quale viviamo». Continua il regista:
Io credo che un individuo nel ribellarsi contro la società in cui vive, debba [...] ribellarsi in primo luogo in nome delle sue proprie frustrazioni, in nome delle limitazioni che gli impone la società. [...] Per me, la difesa della individualità e delle piccole libertà individuali sono la base di tutte le rivoluzioni, che sono l'unione di individui che in un momento dato sacrificano la loro individualità per il bene comune, ma il motore iniziale perché un uomo esca dalla alienazione e si unisca alla rivoluzione è la presa di coscienza attraverso i suoi propri problemi, attraverso le sue proprie frustrazioni. [1]
La rappresentazione della sessualità non serve solo a epater le burgois, ma è sempre una forma di ribellione all'oppressione, di presa di coscienza politica e di affermazione della propria identità, soprattutto degli elementi emarginati della società, come omosessuali, proletari, donne: basta pensare alla moglie dell'industriale de La otra alcoba (1976), che seduce un benzinaio per soddisfare il suo desiderio di gravidanza, o a quella di La criatura (1977) che preferisce amare un cane invece del marito quando questi si associa alla destra per interessi di carriera.
Con Los placeres ocultos e El diputado, dunque, De la Iglesia offre il suo contributo storicamente fondamentale per l'apertura del cinema spagnolo nei confronti dell'omosessualità. Certo il fatto che la censura vietasse negli anni precedenti l'argomento, a meno che fosse accompagnato da una chiara condanna o fosse oggetto di derisione (come nel caso del personaggio della "loca", cioè dell'effeminato stupidotto), non aveva mai impedito a De la Iglesia di inserire personaggi omosessuali nei suoi film. Tuttavia aveva dovuto farlo sempre in modi indiretti e sufficientemente ambigui da superare le diffidenze dei censori, che probabilmente avevano lasciato correre sul giovane omosessuale di Una gota de sangre perché viene ucciso, anche se dietro l'evento cruento c'era una chiara presa di posizione a favore della libertà individuale anche in materia sessuale, senza contare che l'intero film faceva ricorso alla sessualità come forma di opposizione alla società fascista rappresentata nel film e che era inevitabile legare a filo doppio al regime franchista. Eppure, questo ruolo pionieristico non gli evita delle critiche, come ricorda il regista sottolineando che El diputado
curiosamente è stato criticato da alcuni settori della comunità omosessuale, che avrebbero preferito che mi concentrassi su un altro tipo di personaggi per i quali l'omosessualità potesse rappresentare un problema maggiore, come per esempio nel caso di un operaio. Però questo sarebbe stato un altro film, e Fassbinder lo ha fatto molto bene, per esempio, in La legge del più forte. Per quanto sia sempre stato comunista, nei miei film la classe operai nel senso classico del termine non appare quasi mai. [...] Quello che emerge è un mondo marginale, basso. Però parlo di quello che conosco personalmente: la verità è che la classe operaia classica non l'ho mai conosciuta che in forma tangenziale. [2]
I film "quinqui"
Sebbene giri anche film molto diversi, come Otra vuelta de tuerca (1985), una interessante rilettura gay del classico di Henry James Giro di vite, o La mujer del ministro (1981), dove si cimenta con una storia lesbica, gli anni '80 sono segnati dal successo raggiunto grazie ai film sulla criminalità giovanile (che nel cinema spagnolo avevano dato vita a un intero filone [3]), da Navajeros (1981) a Colegas (1982), Overdose (El pico, 1983), El pico II (1984) e La estanquera de Vallecas (1987).
Il ruolo di protagonista di tutti questi film è affidato a José Luis Manzano, detto "el rubio", un ragazzo di strada orfano di padre e cresciuto alla meno peggio da una madre alcolizzata. La sua vicenda, e quella del suo legame con De La Iglesia, pare il soggetto perfetto di un suo tipico melodramma. De La Iglesia lo conosce durante le sue perlustrazioni dei bassifondi urbani alla ricerca di interpreti per i suoi film, lo aiuta in momenti di difficoltà, lo fa recitare, poi se ne era innamora e tra i due era nasce un sodalizio sentimentale e professionale piuttosto complicato, segnato da crisi, gelosie, separazioni e riavvicinamenti. La carriera dell'attore, del resto, è tanto folgorante quanto breve: i film di De la Iglesia lo trasformano in una star nazionale, soprattutto tra i giovani, ma i crescenti problemi con la droga (sia lui che il regista avevano iniziato a fare uso di eroina sul set di Colegas) gli impediscono di approfittare del suo successo (perde ad esempio l'occasione di andare a studiare recitazione negli Stati Uniti). Manzano si ritrova presto squattrinato e solo, dopo aver lasciato De la Iglesia per una spacciatrice, e tocca il fondo lavorando nella serie tv Los pazos de Ulloa (1985), nella quale non riesce nemmeno a doppiarsi da solo. In seguito riallaccia i rapporti con De la Iglesia e i due girano ancora un film insieme, La estanquera de Vallecas, ma anche in questo caso non può doppiarsi, perché finisce in ospedale in seguito a una prima overdose; una seconda, nel 1992, gli è fatale.
La morte di Manzano prostra il regista, ancora alle prese con la tossicodipendenza. Solo nel 1996, in occasione di una retrospettiva al Festival di San Sebastian, accompagnata dalla pubblicazione di un volume monografico, vede riaccendersi l'interesse per il suo cinema e inizia a pensare di tornare al lavoro. Dopo aver girato, nel 2001, un Caligola (da Camus) per la televisione, e dopo aver debuttato l'anno dopo come attore in Mi último silencio, del giovane J.A. Durán, nella parte del padre di un criminale che cerca di lasciare il mondo della malavita, torna finalmente dietro la macchina da presa con Los novios búlgaros (2002), molto vicino ai melodrammi degli anni '70 per temi e personalità di stile, ma segnato da un maggiore ricorso all'umorismo nel disegnare lo sfondo sociale della Spagna democratica. De la Iglesia mostra di essere ancora innamorato dei suoi romantici perdenti, rassegnati a seguire le irrazionali ragioni del cuore, che non conoscono barriere di ceto, legalità, nazionalità, età.
Proprio quando è tornato in forma e anche in Italia si inizia a conoscerlo un po' (grazie alla distribuzione di Los novios búlgaros e a una retrospettiva dedicatagli dal festival gay di Torino) un cancro ce l'ha rapidamente portato via, e in un panorama qualitativamente desolante e povero di carattere quale è quello del cinema gay degli ultimi vent'anni, una personalità come la sua, che prometteva di tornare a lasciare un segno, lascia un vuoto difficile da colmare.