Enrico Barzaghi

19 settembre 2004, Killer Aids, Kaos ed., Milano 1993

A Milano muore appena 29enne la vittima più illustre della militanza italiana, il vice-presidente dell’Asa (Associazione Solidarietà Aids), Enrico Barzaghi.

Nel 1989, alla Conferenza internazionale sull’Aids di Montréal, in Canada, aveva sconvolto i giornalisti italiani riuniti nella sala stampa con il suo coraggio, la sua irruenza, la conoscenza che aveva della sindrome e la rapidità nelle risposte sempre intelligenti, sempre pertinenti.

Sentendo avvicinare la fine, si preoccupò di avvertire gli amici che non voleva niente di funereo come bottoni neri, paramenti a lutto o campane a morto, ma solo gente allegra con tanti fiori e colori.

 

Un mese prima di morire, al corso per volontari dell’Asa del 20 dicembre, dirà: “I volontari [che assistono le persone malate, nda] hanno quasi sempre l’atteggiamento di aiutarti a superare l’aspetto morte, mentre le persone direttamente coinvolte a volte ci fanno sopra battutacce mostruose. Facciamole, fatele. Hanno un effetto più benefico e rilassante di tanti discorsi alla fine dei quali, dopo due ore di discussione, la si pensa come all’inizio. All’Asa, ci siamo sempre fatti tante risate insieme”.

Un militante di prestigio nella lotta all’aids, lo psichiatra Mattia Morretta, lo ribattezzerà “Enrico il Grande”, ricordando che era stata “la prima persona ad aver dato un volto umano all’aids”, nel nostro Paese.

Per Barzaghi bisogna “fare in modo che la malattia non diventi protagonista della tua vita, ma che tu diventi protagonista della tua malattia.

Puoi farlo anche giocando con la malattia, facendola diventare una vittima di te stesso.

Divertirsi della propria malattia è un modo di scongiurarla o esorcizzarla, ma ti aiuta a convivere con essa, ti aiuta a vedere e prevenire, quasi a saggiare, gli aspetti molto negativi della malattia, che magari non hai ancora vissuto ma che possono far parte del tuo futuro. Quando poi li vivi, ti viene in mente la battuta e riesci a passarci attraverso anche in modo scherzoso.

Accade davvero, non sono solo parole. L’ho verificato con molte persone in ospedale. Quando si scherza su queste cose, vengono poi davvero vissute con più spirito”.

 

Barzaghi rappresenta un tipo di approccio alla malattia completamente inedito in un paese come il nostro. In un’intervista pubblicata su “Società Civile” e su “Avvenimenti” si apriva con la giornalista Laura Maragnani: “Io sono fortunato. Fortunatissimo. [1] Non ho avuto problemi con i medici, i dentisti, gli amici, i vicini di casa, i terapeuti. E tantomeno con mio padre e con mia madre, che erano al corrente della mia omosessualità già da prima, poi della sieropositività, poi dell’aids”.

 

Importante resta il suo discorso del 20 dicembre per l’insolito invito alla tolleranza che contiene e che è diretto ai pazienti stessi nei confronti dei medici e degli infermieri: “Entrando in una struttura che ha delle regole, necessarie, è importante capire quali siano e cercare di seguirle... ma è fondamentale una grande volontà di stabilire un rapporto con gli infermieri perché è il rapporto più continuativo in un soggiorno ospedaliero, e posso garantire che se ne hanno veramente dei grossi vantaggi. Ricevere tutte le mattine l’infermiera con un sorriso, anche se ti sveglia alle 6 aprendo le finestre di colpo e accendendo la luce, è un’altra cosa. Anche solo lo sforzo di alzarsi e dire 'le faccio un sorriso', ti ha già messo a posto la giornata”.

 

Coraggiosa come il figlio, la madre Ursula [2] esprime un lamento destinato a scuotere parecchie coscienze: “Credo che quello che ha fatto Enrico, il modo in cui l’ha fatto, sempre con il volto sorridente, con civiltà, meritasse più attenzione da parte della stampa e del mondo laico, della cosiddetta sinistra a cui noi facciamo riferimento. Mi sembra invece che non ci sia stato nessuno spazio. Forse bisognava scendere in piazza a fare gesti clamorosi, per essere considerati con più attenzione. Questo permette al mondo cattolico di farsi avanti e appropriarsi anche di queste lotte in modo spesso strumentale”.

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