Copi

26 settembre 2004, Killer Aids, Kaos ed., Milano 1993

Spesso giocava sull’interpretazione da assegnare al nomignolo che si era dato, “Copi”, all’occasione spiegando che voleva significare “pollastrello”, e allora la sua identificazione con il pollo-stupido-eterno sconfitto-interlocutore della donna seduta, il fumetto pubblicato da "Linus" che lo rese celebre, diventa più comprensibile.

Altre volte raccontava che “vuol dire uno che copia e io sono un plagiario, come tutti”.

 

Il suo vero nome era Raul Damonte Taborda, e ci teneva a ricordare che “D’Amonte è un nome italiano, un nome di Diano Marina (in provincia di Imperia), dove c’è ancora oggi un parrucchiere che si chiama D’Amonte e c’è della gente che mi assomiglia fisicamente. Il padre del padre di mio padre era italiano. Ma ho tre bisnonne indiane e una ebrea. Sono nato a Buenos Aires nel 1939. Però a 6 anni ero a Montevideo e poi a Parigi perché i miei erano esiliati politici”.

Una di queste antenate scriveva anche lei commedie di un certo successo che venivano rappresentate nella capitale negli anni Venti-Quaranta. Uno dei nonni era stato proprietario del più grande giornale di Baires, mentre il padre, dapprima anarchico e poi deputato, venne deposto da Perón.

 

Dopo la caduta di Frondizi, nel 1962, Copi tornerà nuovamente a Parigi, per stabilirvisi. Aveva 22 anni, tante idee per la testa e tanti fogli di carta da riempire di disegni e di testi teatrali.

La fortuna arriva quasi subito, nel ‘65, quando la rivista americana “Twenty”, gli compra un disegno che aveva schizzato al “Café Deux Magots”, e glielo pubblica. A 28 anni avrà il suo primo successo teatrale con La journée d’une rêveuse

Nel giugno del ‘67 anche gli italiani cominciano a conoscerlo grazie a “Linus”, e ad amare la sua improbabile donna seduta con un nasone da “guinness dei primati”, ed il nevrotico pollastro con il quale si perdeva in dialoghi da Teatro dell’Assurdo, intervallati da silenzi insoliti, pesanti e pieni di attese e/o minacce.

La donna (la società?) e il pollo (lo stesso Copi?) rappresentano gli sconfitti che, come tutti i perdenti, al di là dei pregiudizi morali e delle buone intenzioni che parlano di solidarietà e di comunanza di ideali, si odiano profondamente e cercano di farsi del male, di ferirsi, di aggredirsi con ferocia.

 

Copi faceva parte del gruppo “Tse” di artisti argentini emigrati a Parigi negli anni ‘60 e ‘70, ma più che a loro è a Wolinski, a Reiser, a Topor, che bisogna avvicinarlo, ed agli altrettanto feroci graffitisti del “Canard Enchainé”, di “Harakiri”, di “Charlie Hebdo”, mentre il suo teatro ha preso molto da Jonesco, Adamov e Beckett, soprattutto per l’incomunicabilità che lui, comunque, faceva risalire a Cecov perché “aveva introdotto sulla scena un tempo teatrale di silenzi”.

 

Tra i suoi primi scritti non bisogna dimenticare le “biografie” di Santa Genoveffa (1966) e di Evita Perón (creata insieme al gruppo “Tse” nel 1969, e dove lui stesso recitò nel ruolo travestito della protagonista), e poi L’homosexuel ou la difficulté de s’exprimer ("L'omosessuale, o: La difficoltà di esprimersi”, 1971), Les quatre jumelles (1973), Frigo, Les escalier du Sacré-Coeur; La femme assise.

Quest’ultima commedia, ovviamente ispirata dalla stessa “donna seduta” delle sue strisce, vive tra una sedia nella quale non riesce a star comoda per quanto è piccola, ed una vasca da bagno da dove gestisce la propria esistenza dialogando con l’immancabile pollo e, all’occasione, con lumache e topi (visto che “gli animali non tradiscono mai”), e con bambini e suorine uscite da chissà dove.

 

Aveva pubblicato anche dei libri. Il ballo delle checche è la sua opera più “allucinante”, mentre Il fantastico mondo dei gay è stato il suo ultimo albo a fumetti, scritto proprio mentre il sarcoma di Kàposi lo stava divorando.

Recitava volentieri nei suoi stessi spettacoli, travestendosi in maniera altamente improbabile come quando, nel ‘79, venne in Italia per recitare nel suo Loretta Strong, storia di una donna che vive su uno dei tre anelli di Saturno ed alla quale succede di tutto (o quasi!), a cominciare dal topo che partorisce da una lattuga e che all’inizio non riconosce, ma che poi si rassegna ad allevare con la speranza che diventi ingegnere e la possa così ripagare dei sacrifici fatti.

Aveva recitato anche nelle Serve di Genet, nel ruolo di Madame, sotto la regia di Missiroli.

 

Nel 1985 torna ancora in Italia, a Venezia, per presentare La nuit de Madame Lucienne, complicata riedizione del più banale cliché di commedia nella commedia che lui, ovviamente, risolve in maniera brillante, pirandelliana, con esplosioni di raptus erotici esistenziali che vivacizzano un intreccio abbastanza complicato e surreale, dove, come sempre, le donne sono tutte castratrici, e gli uomini tutti travestiti.

 

La sua ultima opera è Una visita inopportuna, presentata postuma al “Théâtre de la Colline” di Parigi, dal suo regista preferito e amico carissimo, Jorge Lavelli.

La visita inopportuna, è quella dell’aids che, insalutato ospite, si presenta a sconvolgere la vita di un vecchio attore di teatro nelle vesti di una sua appassionata ammiratrice, la cantante lirica italiana Regina Morti.

Cyrille, questo è il nome dell’attore, è finanziariamente disastrato ma mantiene intatta la sua dignità e le sue pretese aristocratiche nei rapporti che è costretto a mantenere con un amico, Hubert, che preferirebbe non vedere, e poi con Madame Bongo, un’infermiera drogata, erotomane e con manie omicide che continuamente s’intromette nella sua vita privata, lo tiranneggia e lo offende: “Spero che oggi venga la sua domestica. Non mi va più di dover pulire la camera dopo i suoi picnic mondani. Lei è la Sarah Bernhardt della mutua!”. E Cyrille: “Sa che lei parla come un omosessuale?”. L’infermiera risponde: “Mi domando se non sarebbe stato meglio nascere omosessuale. Lei se l’è cavata benissimo nella vita”.

Hubert gli ha già preparato un monumento al cimitero del Père Lachaise, di fronte alla tomba di Oscar Wilde e subito dopo quella di Henri de Montherlant, prima ancora di vederlo defunto, tanta è l’ammirazione che prova per il suo “maestro” e per il quale spende qualsiasi somma di denaro.

Ma il più grande dolore di Cyrille-Copi non è tanto di doversene andare, quanto di non fare in tempo a recitare il Riccardo III di Shakespeare, al quale teneva in modo particolare. La morte, infatti, vince sempre ed impone la sua volontà. La stessa morte che una volta Copi aveva disegnato nelle vesti di ballerina delle Folies-Bergère con la didascalia: “La star c’est moi!” e che oggi ripropone come cantante lirica.

 

Nell’ottobre precedente, a Parigi, aveva esposto una cinquantina dei suoi ultimi disegni per “Le Nouvel Observateur”, e li aveva venduti tutti in poche ore.

Tre giorni prima di morire aveva ricevuto il “Gran Premio di Letteratura Drammatica 1987 della Città di Parigi”. Non era andato a ritirarlo perché ormai immobilizzato a letto, ma aveva gradito molto questo riconoscimento della sua attività teatrale. Non aveva potuto più ripetere il gesto, quasi di sfida beffarda, di pochi mesi prima, quando era andato in ambulanza a festeggiare il suo compleanno con gli amici, e in ambulanza era tornato nell’ospedale.

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