7 scialli di seta gialla

11 settembre 2012

Dimenticabile incrocio fra Sei donne per l’assassino (1964) di Mario Bava e Il gatto a nove code (1971) di Dario Argento, con un pizzico (oltremodo truculento) di Psycho (1960) di Hitchcock alla fine, 7 scialli di seta gialla è un film di routine, un giallino italiano sbiadito senza idee originali. L’unica invenzione è l’arma del delitto, ma il fatto che sia un innocuo micetto la dice lunga sulle energie investite nella sceneggiatura.

A essere riciclate sono anche le solite macchiette omosessuali, che nel cinema di genere italiota di quegli anni davano luogo solo a maschi effeminati e lesbiche esibizioniste. Di solito gli uni o le altre, ma qui non ci viene fatto mancare niente.

Abbiamo infatti anzitutto il parrucchiere gay: «Sono proprio un mago: ti ho trasformato in un’altra donna!», e lei: «Perché non cerchi di trasformare te in un altro uomo: uno vero!». Ma ci sia di consolazione il fatto che la fanciulla muore subito dopo, prima vittima del gatto malefico. Ovviamente quando arriva la polizia non manca un primo piano ambiguo sul parrucchiere che dovrebbe includerlo nella lista dei sospettati, ma il personaggio semplicemente viene subito dimenticato.

Le lesbiche sono invece due modelle, una delle quali sufficientemente gelida, malevola e ambiziosa da tentare di ricattare l'assassino, che ha evidentemente identificato. Ovviamente finisce ammazzata, smaciullata sotto il metrò (insieme al micio), ma non prima che si sia sbaciucchiata con una collega sul lettone del suo appartamento. Per quanto il film sia pieno di tette gratuite al vento, qui si sfuma immediatamente con discrezione. Evidentemente per titillare lo spettatore bastava l'idea, che rispetto a visualizzazioni più concrete aveva il vantaggio di evitare noie con la censura.

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