recensione di Mauro Giori
Altri libertini
A venticinque anni di distanza, Altri libertini conserva intatta la sua freschezza e la sua originalità, opera prima di Tondelli e opera nuova nel panorama letterario italiano, benché chiari siano i suoi modelli (non solo italiani: basti pensare alla vicinanza evidente con la letteratura beat).
Portati alla notorietà da uno scandalo e da un processo per oscenità (erano gli anni in cui bastava un po' di burro fuori posto per fare sequestrare Ultimo tango a Parigi), i sei racconti "libertini" di Tondelli sono rimasti una delle sue opere più compiute e convincenti, libere e liberatorie. Ovviamente parliamo dei libertini "liberati", non di quelli "conquistati": il lettore che voglia assaporare l'autenticità della scrittura tondelliana, perdersi nelle sue pagine disinvolte e nella sua prosa leggera (ma colta) e inventiva, eviterà ovviamente la riedizione Bompiani con tutti i tagli inquisitori e le braghe pudiche cui l'imprimatur dell'autore non basta certo a dare autorevolezza, e opterà per l'edizione Feltrinelli.
Nei primi cinque racconti di questa raccolta l'omosessualità è padrona, ed è descritta con una varietà di tipi, di immagini e di linguaggio inedita per la letteratura italiana.
In Postoristoro la Giusy è un drogato che per rimediare qualcosa si vende senza farsi troppi problemi e che alla fine, di fronte alla crisi dell'amico Bibo, in astinenza, non riuscendo a trovargli vene in cui iniettare la dose per farlo riprendere, ha la brillante idea di masturbarlo, per avere qualcosa in cui sparare la siringa.
Mimi e istrioni rievoca le imprese delle Splash, quattro amiche (una, Benny, è un travestito) assatanate, chiassose e iperattive, sempre alla ricerca di maschi. E quando non ci sono, piuttosto che niente si fanno tra loro. E tutte si fanno Benny, "ma bisogna farlo fumare un casino, sei sette spini per metterlo in tiro, a patto naturalmente di tenergli un dito infilato per di là, sennò care mie, nemmeno provarci". Queste quattro amiche almodovariane alla fine si sciolgono, mentre Benny decide che
deve riscoprire la propria eterosessualità, che anzi qualsiasi definizione del comportamento gli sta stretta e che per quanto lo riguarda farebbe a meno degli omo e degli etero, perché esiste soltanto una sessualità contigua e polimorfa e allora bisogna iniziare a superare questi settarismi di merda.
In Viaggio seguiamo invece per quattro anni (dai 18 ai 22) un giovane omosessuale, dalle prime esperienze sessuali durante un viaggio a Bruxelles, dove già si vende in una sauna per rimediare qualche soldo, fino al primo grande amore, di pochi giorni ma giorni intensi cui sono dedicate due pagine romantiche e sognanti e spudoratamente rosa, "come in un film di Lelouch". L'arte di Tondelli si vede anche qui, nella capacità di lavorare, e di giocare divertito, con registri molto diversi, mutuando linguaggi differenti (dal fumetto al cinema, cui Tondelli dedica molti riferimenti) dimostrandosi capace di descrivere con finezza e ironia l'estasi sentimentale come quella erotica, la vertigine di fronte alla morte (nel tentativo di suicidio), la "scoglionatura" elevata allo status di condizione esistenziale, che un tempo si chiamava spleen, e l'impotenza di fronte ai drammi altrui, come il suicidio di Michel:
quando uno ci ha i cazzi suoi, be', sono veramente suoi, non c'è da fare un cazzo, manco gli stoici gli epicurei o i filosofi, niente. Non si può impedire a qualcuno di farsi o disfarsi la propria vita, si tenta, si soffre, si lotta ma le persone non sono di nessuno.
Seguono parecchi altri amori, perché, confessa l'io narrante, "la mia voglia di stare con la gente è davvero voglia e non ci posso fare un cazzo se mi tira con tutti". Ecco quindi il ritorno a Bologna, l'università, e un episodio ilare in cui viene alle mani con la nuova fidanzata dell'amico Gigi:
a marzo è scoppiato con me il grancasino "Tu sei misogino, odi le donne perché le temi", "C'hai l'invidia del pene" fino al fatidico "Sei fermo alla fase anale, bella mia" e allora io non ci ho visto più; ho afferrato il volume più pesante del Testut di Luca che fa medicina e gliel'ho sbattuto in testa alla Tony che s'è messa a sanguinare.
Altro che Mimì e gelide manine da riscaldare, la povertà degli anni giovanili è una realtà che stanca e sfianca: "si sarebbe fatta la fame, bohème, sempre bohème che due maroni".
Ma gli amori non mancano: Sammy, che "c'ha il vizietto di andare anche con le donne", e soprattutto Dilo, con cui il protagonista cresce, discute, acquisisce consapevolezza, coraggio e uno spirito militante (fin da quando i due reagiscono a un insulto omofobo sull'autobus), e poi cresce ancora. E fa tanto sesso, sublime ("il nostro orgasmo, sul tappeto, è proprio un orgasmo") oppure giocoso, come in un rapporto a quattro
davvero divertente perché a un certo momento Dilo e io ci incontriamo vis-à-vis attorno al cazzo dritto di François, uno da una parte e uno dall'altra e ci guardiamo come dire "toh, guarda chi c'è" e allora prendiamo a ridere e scopiamo per nostro conto;
o magari ancora rubacchiato con complice esuberanza:
e io allora gli tocco il cazzo sotto il tavolo e dico "ho voglia di stare con te a scopare tanto ho bevuto" e lui "pazienta un po', mettiti così" e mi prende la gamba passandola fra le sue che più intricati e scomodi di così, però sto bene a sentirglielo duro, col ginocchio.
Finito l'amore, si indebolisce anche lo spirito militante: quando viene licenziato dalla scuola elementare perché omosessuale rifiuta di reagire e alla fine rientra nel paese e nella provincia, rassegnato: "la mia scommessa è persa. Non importa... Sulla mia terra semplicemente ciò che sono mi aiuterà a vivere".
In Senso contrario di nuovo ragazzi che si vendono per la droga, mentre in Altri libertini, il racconto che dà il titolo alla raccolta, l'arrivo di un bellissimo fotografo lombardo mette zizzania in un gruppo di amici che se lo contendono: le voraci Ela e Annacarla, ma anche Miro che, pur bellissimo, deve faticare per cercare di portarsi a letto il fotografo eterosessuale, e finirà beffato più di tutti, anche se come tutti, fotografo compreso.
La descrizione che Tondelli fa dell'omosessualità e della realtà gay, che conosceva benissimo e benissimo descrive, non limita affatto l'universalità della sua rappresentazione, così come la sua Emilia non descrive certo realtà ed esperienze comprensibili solo a chi è cresciuto tra Correggio, Modena e Bologna, nonostante la specificità della realtà generazionale che mette in scena (nella sintesi efficace di Gnerre, "la cultura del Settantasette con i suoi miti e i suoi riti", vale a dire "il viaggio e la fuga, le radiolibere, i gruppi di autocoscienza, i collettivi, i volantinaggi e i ciclostili, lo spinello e lo sballo").
Sicché se davvero Tondelli temeva e rifiutava di dirsi "scrittore gay" perché aspirava a essere "scrittore universale", allora non solo rivelava un disagio maggiore di quello che può trasparire da queste stesse pagine nei confronti della propria sessualità e delle potenzialità della cultura omosessuale, ma soprattutto sottovalutava la riuscita e il respiro della sua stessa opera prima, che infatti in seguito gli creò non pochi imbarazzi.
Certo è che nelle pagine in cui Tondelli rievoca questi episodi si avverte anche un dolore sordo, la voglia di allontanare quegli "anni di rincoglionimento generale", anni di una tarda adolescenza inconcludente. Spesso i racconti chiudono sul vuoto, specie Viaggio ("sento come mi fosse improvvisamente cresciuto dentro un vuoto enorme") e Mimi e istrioni ("c'è quasi nausea per quegli anni sbandati e quel passato che vorremmo anche noi rigettare assieme alla Nanni, quel pomeriggio vuoto di febbraio").
L'insoddisfazione è palpabile. Non a caso questi racconti sono rievocazioni (anche quando sono al presente) di un passato che si vorrebbe più lontano. Anche se non è così facile, perché in quelle esperienze vissute intensamente ma da personaggi talmente fumati, frenetici e strafatti da essere raramente presenti a se stessi, c'è qualcosa che non è solo della gioventù, non è solo della provincia, non è solo della generazione del '77. C'è già molto che è semplicemente della vita, qualcosa che ti si attacca e che sai che tornerà, come la "scoglionatura" dell'ultimo racconto, Autobahn. Così Giusy è sicura: un giorno, dice, "troverò una donna e ci farò dei figli", ma "mi sbatterò coi buchi fin che ho vene e un pezzo di culo da dar via". Cambiare radicalmente non è facile.
Alla fine, anche per questo sforzo di allontanamento, di questi libertini sappiamo ben poco. Sono personaggi vividi, ma che trapassano veloci come le loro giornate. E forse di loro sappiamo poco perché c'è poco da sapere, e il rimpianto è anche inconfessata nostalgia. E infatti erano "anni di rincoglionimento generale", sì, "però belli e vivibili né più né meno degli altri".