recensione di Marco Valchera
Altri libertini
Riguardo a Pier Vittorio Tondelli molto si è detto e scritto, a partire dal suo esordio, nel 1980, con Altri libertini. Che cosa rimane a più di trent’anni dalla sua pubblicazione? La penna dell’allora giovanissimo esordiente (appena venticinquenne) è ancora matura e tagliente, come attualissime sono le storie di giovani maudit, dediti alla droga e al sesso facile, alla ribellione giovanile e alla ricerca di se stessi in una società, quella della fine degli anni Settanta, incapace di dar loro qualche certezza. Più che parlare di racconti, Tondelli preferì definire la sua opera prima un “romanzo a episodi”, accomunati da un quadro sincero e immediato della realtà e dell’Italia dell’epoca, in particolare la natia Correggio e l’Emilia tutta.
Ma la violenza e la carnalità della scrittura tondelliana modellano anche paesaggi stranieri, come nel bellissimo e centrale Viaggio, fulcro di Altri libertini: con una capacità unica di tratteggiare il tema del viaggio, che lo avvicina, a mio parere, alla vena poetica di un autore rivoluzionario del primo Novecento, Dino Campana (incompreso, anch’egli, dalla sua società), lo scrittore plasma un racconto di formazione figlio degli anni Settanta ma di straordinaria attualità. Un giovane neodiplomato, insieme all’amico Gigi, cerca di maturare tra scorribande in Europa (Bruxelles e la sognata Amsterdam, obiettivo di viaggio anche del protagonista del conclusivo Autobahn), droga e sesso occasionale, fino all’amore tormentato per il giovane Dilo, con cui scopre l’orgoglio di essere omosessuale dopo un insulto in autobus e il piacere del sesso (“il nostro orgasmo, sul tappeto, è proprio un orgasmo"). Questo perché Tondelli, come pochissimi altri nella nostra letteratura, è stato in grado di parlare schiettamente di omosessualità, di marchette e di amore: un amore spesso malato, perché malata è la condizione in cui viviamo, tanto che non si esita a prestarsi sessualmente per una dose (come il Giusy di Postoristoro, un autentico pugno in faccia a tutti i salottini letterari borghesi).
Ciò che l’opera sembra suggerire – tranne in pochissimi casi – è l’incapacità di provare sentimenti sinceri che vadano al di là di rapporti occasionali: così si comporta lo squallido Andrea, fotografo lombardo di sosta in Emilia, che decide di far sesso con tutti i membri della combriccola protagonista, donne e uomini indifferentemente. È una spasmodica ricerca di esperire le proprie pulsioni, sessuali ma non solo, di sentirsi vivi, anche solo per un momento: ad esempio la fuga in macchina dalla polizia in Senso contrario, con sesso gay nel finale, dà all’io narrante e allo spericolato Ruby un sentore di immortalità. Perché ciò che è necessario combattere, la “scoglionatura” (Autobahn), la noia, il male di vivere, è sempre dietro l’angolo e pronto a ferire, “come se ti siringassero da dentro le budella e le graffettassero e punzecchiassero”.
L’aspetto che, se possibile, rende ancor più contemporaneo Altri libertini è la lingua, un insieme di parlato, linguaggio colto, anglicismi, citazioni musicali, cinematografiche, letterarie (“gli enzobiagi e i pierochiara” emblemi del successo editoriale) e bestemmie. Ragion per cui, insieme alle “immagini forti”, l’opera fu sequestrata per oscenità, censura che diede a Tondelli ancor più fama. Assolutamente consigliato nell’edizione Feltrinelli – in quella Bompiani è presente una serie di rimaneggiamenti –, Altri libertini è uno strumento chiave per capire il mondo dei giovani del post Sessantotto e degli anni di piombo, un mondo alla ricerca di una libertà irrealizzabile.