Brando a colazione

28 marzo 2023

Edonista complessato, incauto dissipatore del proprio talento e maldestro paladino dei diritti civili: il bilancio dei primi 3/4 della vita di Marlon Brando, tracciato nel memoriale Brando a colazione (pubblicato in Italia nel 1981), ha ben poco di edificante e quasi niente di logico. Il che non sorprende, considerata l'identità dell'autrice, vale a dire la prima moglie dell'artista, l'attrice di origine indiana Anna Kashfi (1934-2015). Quest'ultima ricerca un'equidistanza nel giudizio dell'ex-consorte come uomo e come artista, ma inevitabilmente fallisce, prosciugata com'è da una relazione logorante all'interno della quale il matrimonio in sé (1957-1959) ha avuto un peso minore rispetto a un fidanzamento al cardiopalma e a un'ultradecennale battaglia legale per la custodia del figlio Christian Devi, complicata dalle dipendenze di Kashfi e dalle slealtà di un divo incapace di perdere.

Quella che potrebbe essere una perfida e gustosa "resa dei conti" diventa quasi un saggio, la cui forma incerta è determinata dal legittimo desiderio di Kashfi di decifrare con tutti i possibili strumenti - dalla psicoanalisi alla critica cinematografica - le stravaganze di Brando, idolatrato e viziato dal sistema hollywoodiano, piatto da cui lautamente mangiava e su cui sistematicamente sputava. L'aspetto più inquietante è comunque quello che rimane al di fuori degli estremi temporali della narrazione, vedi il riferimento alla piccola Cheyenne, la figlia di Brando e della polinesiana Tarita, della quale si dice che preferisse rimanere a Tahiti con la madre piuttosto che raggiungere il padre in California. Sarà comunque a Los Angeles, nel 1990, che proprio Christian Devi ucciderà il fidanzato della sorellastra, esacerbando i problemi psichiatrici di Cheyenne, che la porteranno al suicidio in capo a cinque anni.

Pur parlando a più riprese del legame duraturo e più che intimo di Brando col polimorfo "compagno di merende" Christian Marquand, nonché di quello col comico Wally Cox (coinquilino di Brando nel periodo newyorkese, a fine anni Quaranta), Anna Kashfi non scende troppo nei particolari: in riferimento ai tempi del fidanzamento, descrive il divo come un partner poco attento alla soddisfazione dei piaceri altrui, ma più interessato a esplorare la sessualità in tutte le sue sfumature più indicibili, persino quelle ignote al ricercatore Alfred Kinsey! Nell'ultimo capitolo, Kashfi proclama invece con la severità di una madre preoccupata: «Il problema dell'omosessualità, o bisessualità, di Marlon mi riguarda solo nella misura in cui tale aspetto del suo carattere potrebbe esercitare un'influenza su nostro figlio, nel suo desiderio di emulare il padre».

Dopo aver menzionato i casi in cui Brando ha interpretato personaggi omosessuali o supposti tali, come il pionieristico Maggiore Penderton di Riflessi in un occhio d'oro (1967, John Huston) o l'ambiguo cacciatore di taglie Clayton di Missouri (1976, Arthur Penn), Kasfhi sembra liquidare le dichiarazioni del 1976 di Brando sul fatto di non aver disdegnato le esperienze same sex («L'omosessualità è così di moda che non fa più notizia») come l'ennesimo tentativo di épater le bourgeois, seguendo l'unica regola che l'attore abbia mai rispettato: attirare l'attenzione fingendo di voler conservare la propria privacy a ogni costo.

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