recensione diVincenzo Patanè
Addio mia concubina
E' il primo film cinese in cui si parli esplicitamente di omosessualità, tuttora un tabù in quella società. Vi si rivivono le gesta del teatro tradizionale cinese, basato su un rituale di rigide norme (un teatro, così come le sue canzoni, forse lontano dai gusti occidentali). Ogni cosa è definita nei minimi particolari: i gesti stilizzati, i movimenti, i modi di ridere, i colori dal forte simbolismo, i ruoli dei personaggi (solo quattro: il maschile, il femminile, i buffoni e i cattivi). Un mondo in cui era prassi che chi interpretava i ruoli femminili dovesse spesso sottostare alle voglie sessuali di impresari e notabili, proprio come il piccolo Dieyi costretto a soddisfare un vecchio notabile.
Il film, dai tratti apparentemente melodrammatici ma densamente tragico e dalla forte capacità visiva, ha una lunghezza insolita e presenta una struttura elaborata, divisa in tre distinti momenti: la formazione, lo sviluppo dei rapporti e il loro scioglimento attraverso il tradimento e i suicidi. La storia della concubina e del re (che racconta di Yu Ji che si uccide per il suo re, da cui è amata e di cui ha provocato involontariamente la rovina) ripetutamente mostrata, ne è un punto fermo; nel contempo, è l'inamovibile argine contro cui si frangono le vicende drammatiche dei protagonisti e della Cina stessa, i cui radicali cambiamenti, dagli ultimi anni dell'Impero alla Rivoluzione culturale, sconvolgono la sfera privata di tutti. Le vite dei due protagonisti si sviluppano sin dall'inizio in funzione di ciò che accade sulla scena: mentre l'efebico Dieyi, a cui la madre recide un sesto dito della mano per farlo accettare nell'Opera (evidente rimando alla castrazione), è destinato a ruoli femminili, il rodomontesco Xiaolou si accaparra ruoli maschili.
Incentrato su una struggente storia d'amore che non dà nessuna concessione all'erotismo, il film si interroga però anche profondamente sul rapporto tra la vita e la scena, su quello tra il destino personale e la Storia, sulla labilità dei ruoli e delle identità sessuali. Come si evince dal suicidio finale di Dieyi che, dopo aver dichiarato a Xiaolou il suo infinito amore, ribadisce sì il gesto di Yu Ji ma con la voce propria e non nei panni della concubina, togliendosi finalmente quella maschera sopportata per tutta una vita.