Analphabètes

23 giugno 2014

Rachid O. ritorna alla narrativa dopo dieci anni di silenzio: il suo ultimo romanzo era stato pubblicato nel 2003, e questo è uscito l’anno scorso; e siccome, al pari dei libri precedenti, anche Analphabètes è di natura prettamente autobiografica, non può che trovarvisi rievocato anche questo lungo silenzio.
Io sospettavo in realtà che i motivi di esso fossero soprattutto letterarî: man mano che Rachid O. scriveva, il suo stile diventava sempre più ossessivo, e la scrittura pareva sempre più avvitarsi su sé stessa; ora si capisce che il travaglio stilistico, la fissità ipnotica che riconduceva costantemente l’autore verso l’adorata figura paterna e il Marocco dell’infanzia e dell’adolescenza, e si riverberava in una prosa sinuosa e adescante, ma dal fortissimo rischio di ripetitività, nasceva da un rapporto irrisolto con la propria cultura e con le proprie radici.
Qui i nodi cominciano a venire al pettine. Le prime pagine ricordano ancora la figura del padre: un uomo semplice, analfabeta, che non parla il francese e capisce male anche l’arabo classico; un uomo, però, d’infinita pazienza, saggezza e tenerezza, che ha dovuto fare anche da madre ai suoi figli. Il padre non possiede la cultura che viene dai libri, bensì una cultura diversa: al contrario del fratello di Rachid, che lo vorrebbe sposato “come tutti”, pur sapendo che in realtà Rachid è gay, il padre lo accetta com’è.
C’è un analfabetismo che impedisce di leggere i libri, ma anche uno che impedisce di leggere i cuori, ed uno che impedisce di leggere la cultura altrui. Rievocando fatti, persone conosciute e amici scomparsi, Rachid O. ne dipana numerosi esempî: dalla cecità dei francesi che passano anni o lustri in Marocco e s’illudono di conoscerne gli uomini, eppure non parlano ancora una parola di arabo, alla storia del povero Slimane, che dopo una lunga storia d’amore col francese Gérard finisce per ucciderlo dopo essere uscito di senno a causa delle pressioni della famiglia e della società che non riescono a capire e a considerare ammissibile l’amore tra due uomini. In parallelo, assistiamo all’autore che scopre e legge sé stesso, confrontandosi con gente del popolo nella sua patria e con gli amici francesi Mathieu e Gaël (il quale poi altri non è che il regista e attore Gaël Morel): Rachid O. continua ad amare il suo Marocco, a sentirselo dentro anche quand’è a Parigi, ma nello stesso tempo vede ormai chiaramente che il Marocco non è più il luogo incantato in cui egli passava la sua infanzia; il padre muore, e dentro di lui muore o si offusca l’immagine della terra natale.
Rachid O. in questo libro non è ancora arrivato a una nuova sintesi o a un nuovo equilibrio tra Marocco e Francia: per questo dovremo attendere nuovi libri e nuove esperienze. La scrittura invece si presenta come sempre accattivante e maliosa: è come se l’autore stesse in mezzo a un gruppo di amici a narrare loro storie senza fine; e noi vorremmo sempre star lì ad ascoltarlo.
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