recensione diAndrea Meroni
Certo, certissimo, anzi... probabile
Lo spirito di sintesi non è un bene voluttuario e infatti è la sua totale assenza ad affossare Certo, certissimo, anzi... probabile, che pure di frecce al suo arco ne avrebbe molte, moltissime, anzi... qualcuna. È per l'appunto la lunghezza ingiustificata a far sì che la gran parte di queste frecce manchi il bersaglio: il binomio Spaak/Cardinale potrebbe essere la ragione di vita del film, e invece no: perde la sua attrattiva dopo poco; allo stesso modo anche l'amicizia/rivalità tra i loro personaggi, Nanda e Marta, diventa di minuto in minuto meno suggestiva.
Mentre Nanda (Catherine Spaak), con la sua clamorosa faccia di bronzo, conosce tutte le malizie per circuire un uomo e non si lascia ostacolare dalle norme del fair-play, Marta (Claudia Cardinale) è lenta di riflessi, disponibile e incapace di preveggenza e di calcolo. C'è solo una cosa ad unirle ed è la volontà di accaparrarsi l'uomo giusto; tra le due si crea una malaugurata sinergia: Marta identifica una preda, se la lavora, ma poi è Nanda a spolparla, anche se alla fine entrambe, per una ragione o per l'altra, rimangono a bocca asciutta.
Il contrasto tra i caratteri delle due potrebbe – con una sceneggiatura più birichina e con meno ambizioni di suonare “naturale” – dare il la a un gustoso ping-pong sadomasochista; con gli insipidi dialoghi di Marcello Fondato si assiste invece a una partituccia a badminton a rallentatore, con un volano spiumato e senza nessun colpo veramente subdolo e crudele.
Allo stesso modo l'ambientazione alienante degli uffici della SIP (con il sempre bravo Alberto Lionello che fa il caporeparto paternalista) potrebbe sposarsi bene a qualche nota di colore briosa, magari a qualche pennellata nello stile di L'appartamento di Billy Wilder. Ma questa forse è una richiesta esagerata, se già le promesse più basiche non vengono onorate.
Un'altra delle frecce che si perdono per strada è proprio quella che dovrebbe dare più pepe alla pellicola, la scabrosa rivelazione che dovrebbe dare il pizzico decisivo allo spettatore sempre più infossato sulla poltrona: quando Marta si è sistemata con un tappezziere di buon cuore e ragionevolmente fedele (Nino Castelnuovo), un americano corpulento e dalla folta barba bionda (Lars Bloch) bussa alla sua porta e si stabilisce in pianta stabile nella casa dei neo-sposi, vantando una strettissima amicizia col tappezziere. Marta non è molto contenta dell'intrusione di questo straniero così espansivo che crea un sentimento di sudditanza in suo marito; il suo fastidio si trasforma in panico quando scopre che i due uomini sono uniti da un legame sentimentale che non riescono più a far passare sotto silenzio. Marta estorce una pudica confessione al marito, il quale – con candido understatement – le spiega che gli esseri umani prima si innamorano e poi riflettono su chi è l'oggetto dell'amore. Il tappezziere si profonde poi in grandi assicurazioni che la storia tra di lui e l'americano (una figura ricorrente: quella dell'intruso esotico che stravolge le abitudini dei padroni di casa) è acqua passata. Così non è: lui e il suo bear ante litteram partono per un viaggio intorno al mondo su una gracile barchetta a vela di fronte agli occhi sgomenti di Claudia Cardinale (e qui Fondato si gioca un minuto di primissimi piani del suo sguardo da cerbiatta) e quelli perplessi di Catherine Spaak, che aveva covato una mezza idea di circuire lo straniero.
La sceneggiatura spinge – con molte precauzioni – il pedale del progressismo mettendo in bocca a uno sprovveduto imbianchino (John Phillip Law) alcune frasi molto carucce che esaltano l'amicizia virile e derivati. Ma la partenza della coppietta su quella barchetta così malferma è fin troppo eloquente: l'amore tra uomini può anche essere una bella cosa, ma è pericolante e pericoloso... e che gusto c'è a correre rischi se a casa c'è una mogliettina come Claudia Cardinale, guadagnata – tutto sommato – a buon mercato?
Per un film del 1969 tutto ciò potrebbe non essere poco, eppure la confezione soporifera messa in piedi da Marcello Fondato vende quel “non poco” molto male, per quanto abbia buone ragioni per lasciar da parte lacrime e sceneggiate (il volto triste/indispettito di Claudia Cardinale, che non riesce a piangere al momento della partenza del marito è una delle cose migliori del film); Fondato non sensazionalizza ciò che non è sensazionale, ma riesce a far sembrare insignificante qualcosa che per il pubblico italiano dell'epoca certissimamente non lo era.
P.S.: Verso l'inizio, preceduto dalla sua (non ancora celeberrima) cadenza canosina in fuori campo, appare per qualche secondo Lino Banfi; questi interpreta un molliccio e nasale regista di fotoromanzi che fa il bullo con Claudia Cardinale, secondo una collaudata tradizione di checche misogine.