recensione diAndrea Meroni
Vacanze di Natale
Il Natale è il giorno dell'incontro per antonomasia: persone di provenienze, generazioni e magari anche estrazioni diverse si ritrovano per inscenare la più imperdibile delle abbuffate. Proprio su questo principio si fonda il primigenio Vacanze di Natale, i cui figli sono stati definiti col soprannome più famigerato della storia del cinema italiano, “cinepanettoni”.
L'abbuffata che viene consumata in Casa Vanzina è a base di avanzi che ancora riescono a dare l'idea di essere abbastanza freschi: equivoci sentimentali, muggiti in romanesco e ululati in veneto, capitomboli su superfici scivolose (neve in questo caso) e i tradizionali giochi a rimpiattino nell'armadio che partono appena nell'aria si ode vibrare la topica frase «Cielo, mio marito!».
Lo spirito dei natali passati continua a presentarsi assumendo le sembianze di Mario Brega, Franca Scagnetti e Clara Colosimo, quei caratteristi che sono stati l'humus del cinema popolare nostrano e che i Vanzina riciclano per piantare su un suolo confortevole i totem del Natale presente del 1983: Christian De Sica, maschera di eterno debosciamento, e Jerry Calà, il volto auto-celebrativo degli anni Ottanta.
Mentre il dittico che ha preparato il terreno per Vacanze di Natale, cioè Sapore di mare e Sapore di mare 2, era ambientato in un aureo passato (gli anni Sessanta) da guardare con commossa benevolenza, il film in questione potrebbe essere definito con un'espressione che è un po' un controsenso: instant nostalgy, una pellicola che gioca su una nostalgia rivolta verso il presente.
Le ferie a Cortina vissute dai personaggi del film nell'anno 1983 sono descritte con un affetto che, in qualche misura, si trasmette persino allo spettatore contemporaneo: il vituperato edonismo degli anni Ottanta conserva pur sempre una certa attrattiva...
Questa attrattiva si riflette in un prodotto un po' patinato e autoreferenziale come quello in esame, in cui gli ammiccamenti nel più puro stile televisivo si sprecano e le canzoni discotecare più dozzinali e rappresentative del periodo vengono vendute un tanto al chilo.
La simpatia dei personaggi è nulla di per se stessa, ma gli infidi Vanzina sono dei pubblicitari eccezionali e riescono, con le loro arti, a persuadere lo spettatore non troppo prevenuto del fatto che ci sia qualcosa di realmente cool nelle pose di Jerry Calà o di ameno nelle boccacce di Christian De Sica.
A quest'ultimo viene affidato il colpo di scena del pre-finale: durante la notte di Capodanno il suo personaggio, Roberto Covelli, viene sorpreso a letto con un istruttore di sci dai suoi genitori ubriachi (Rossella Como e Riccardo Garrone). La situazione offre a De Sica, su d'un piatto d'argento, l'occasione per fare un bel numero da giocoliere a base di scuse inverosimili («lui s'è sentito poco bene […] e per combinazione pure io me so' sentito poco bene»), accuse ai genitori («M'avete fatto viaggiare? M'avete mandato nei collegi svizzeri?» perché l'omosessualità si contrae sempre all'estero) e infine mezze ammissioni colme di eufemismi. Quando la madre bercia «È colpa mia se abbiamo un figlio FROCIO?», De Sica prontamente minimizza in modo non troppo convincente: «Ehhh, frocio! Bisex. Moderno, mamma, ecco: moderno».
Ma per quanto questa vezzosa velata possa ostinarsi a non chiamare le cose col loro nome, la voce narrante ci dirà – nell'epilogo – che l'estate successiva De Sica in vacanza ci andrà con «Sylvester, di professione stallone».
L'aspetto interessante di Vacanze di Natale è la sua abilità di barcamenarsi tra vecchio e nuovo: è come un patriarca (reso nobile dall'inettitudine dei suoi eredi) che mostra orgogliosamente i ritratti della dinastia da cui afferma di discendere, ovverosia la commedia popolare verace. In una scena fulminea il caratterista Paolo Baroni – qui chiamato Collosecco – si esibisce nel gioco in cui si mimano i titoli dei film ed evoca un decamerotico dal nome proverbiale come Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno, del 1972. Questo carezzevole (e relativo) passatismo può servire a dimenticare per un attimo che questo film dei Vanzina ha dato la stura a un'interminabile sequela di vacanze forzate, per le quali sono appropriate le parole accompagnano il brindisi di Riccardo Garrone in questo primitivo “cinepanettone”: «E anche questo Natale ce lo siamo levato dalle balle».