La poliziotta fa carriera

26 giugno 2016

«Se c'è una cosa che io schifo sono gli uomini: quelle bestie pelose, piene di mani...». Così parlò Jack Lemmon, calato nei panni della bionda violoncellista Daphne in A qualcuno piace caldo.

Questa frase, resa grottesca dal fatto che Daphne sia in realtà un uomo, riassume la “morale” de La poliziotta di Steno, una piacevole commedia – scritta naturalmente da due uomini, Luciano Vincenzoni e Sergio Donati – che mette alla gogna il maschilismo (e annesso manomortismo) della società italiana. Gli sceneggiatori però privilegiano in modo sfacciato lo sberleffo rispetto alla denuncia, mentre sarebbe lecito aspettarsi (anche da un cinema iper-popolare) che tematiche così pregnanti siano trattate con un minimo di ambizione, laddove il film non fa altro che palleggiare un bersaglio succosissimo senza mai impallinarlo con la debita mira.

Il primo pseudo-sequel (o, volendo, lo pseudo-reboot) de La Poliziotta si intitola La poliziotta fa carriera e parte con un netto vantaggio rispetto al film di Steno: innesta infatti il tema del maschilismo in una dimensione del tutto barzellettiera, annullando così – nel Far West antecedente allo svilupparsi della sensibilità del politically correct – l'esigenza di un rigore satirico.

Coerentemente con la virata verso il disimpegno totale, la divisa che ne La poliziotta era appartenuta a Mariangela Melato viene adattata alle grazie di Edwige Fenech, alla quale il femminismo si addice ben poco, almeno sul grande schermo: il momento forse più indegno della sua carriera lo si avrà ne L'insegnante viene a casa (1978) di Michele Massimo Tarantini, film in cui viene percossa da un Marco Gelardini in odor di femminicidio; basta però che entrambi finiscano sotto il getto della mitica doccia di Edwige per riconciliarsi in un umido amplesso.

La poliziotta fa carriera (in cui un tentato stupro si risolve con una rissa burlesca) è diretto proprio da Michele Massimo Tarantini, regista un po' naif e un po' fauve appartenente alla scuderia della Dania Film di suo cugino Luciano Martino; quest'ultimo produrrà anche La poliziotta della squadra del buon costume e La poliziotta a New York, che non possono vantare l'efficace elementarità del film in analisi. O meglio, per essere elementari lo sono, ma falliscono pietosamente nel mascherare il clamoroso riciclaggio di gag, mentre La poliziotta fa carriera ci riesce con spigliatezza: gli sketch, orgogliosamente appartenenti alla categoria estetica del pecoreccio, non hanno nulla di innovativo, ma vengono intrecciati con abilità (la "caccia all'uccello" – uno sfuggente parrocchetto – è praticamente un leit-motiv).

Ne La poliziotta fa carriera si registra un pienone di grandi caratteristi: Mario Carotenuto, Gigi Ballista, Gastone Pescucci, Riccardo Garrone, Francesco “Yoghi” Mulè e Alvaro Vitali; la gran parte di loro è stata usata e abusata dal cinema degli anni Settanta, eppure in questa pellicola esibiscono intatta la loro capacità di “fare colore”.

Edwige Fenech, fumetto tra i fumetti, sta al passo col ritmo allegro del film: sostiene la scena anche vestita... anzi, si spoglia solo se “interrogata” dalle pur labili esigenze della trama; la sua nudità – così spesso mostrata senza validi pretesti (c'è chi la considererebbe un pretesto in se stessa) – è inserita in contesti in cui è la componente comica a farla da padrone. Verso metà del film la Poliziotta si finge una prostituta e viene assoldata per “sverginare” Tonino la Mammola, interpretato perfettamente dallo smorfioso Gastone Pescucci (regista checca anche in Taxi Girl, un film di Tarantini assemblato con le situazioni di tutte le pellicole della Dania Film).

Tonino la Mammola è una sorta di eunuco di corte di una congrega di debosciati/drogati radunati in una villa per un party molto “polveroso”; in un momento di fiacca il malavitoso Riccardo Garrone decide di ravvivare la festa buttando Tonino tra le braccia di una prosperosa battona, la quale in realtà è la Poliziotta sotto mentite spoglie, per la salvezza del refrattario Tonino (il quale sulle prime protesta disperato «So' fidanzata!»). Tonino, terrorizzato dalle forme contundenti dell'Edwige, non perde il suo sense of humour e afferma «Eva contro Eva, facciamo...».

La finta prostituta riesce a evitare che lo “stupro” di Tonino sia pubblico, convincendo la folla di tossici guardoni a lasciarli soli in una stanza, utilizzando questo argomento vincente: «Così [in pubblico] non ce la farebbe neanche uno normale, figuriamoci poi questo!». Comincia quindi lo spogliarello di Edwige, intercalato – anziché dai singulti di piacere di un Montagnani o di un Vitali – dai «Che schifo!» di Tonino.

Questa situazione è tutt'altro che educativa: l'utilizzo di un gay a mo' di giullare comunitario è il non plus ultra della degradazione, ma per fortuna la bravura di Gastone Pescucci, dispensatore di sapidi commenti, fa digerire il tutto senza che la rabbia blocchi lo stomaco dello spettatore irritabile.

Più tardi Tonino viene rincorso, nel corso di una retata, da Alvaro Vitali; questi, nell'inseguimento, inciampa finendo per sodomizzare manualmente la checca famelica, la quale ovviamente gioisce dell'avvenimento e prende di mira il malcapitato («Bel bassetto!»). Vitali inorridisce, ignaro del fatto che di lì a poco – ne La liceale, il diavolo e l'acquasanta di Nando Cicero – sarà deflorato addirittura dal villoso Salvatore Baccaro, nei panni di un troglodita gay.

Insomma, ancora una volta omosessualità e cattivo gusto (in fatto di uomini) vengono messi in stretta relazione dagli sceneggiatori italiani; perlomeno La poliziotta fa carriera si fa guardare senza che lo spettatore sia costretto a cercare rifugio in deprimenti riflessioni socio-culturali.

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