recensione di Marco Valchera
Less
Povero Arthur Less: alla soglia dei cinquant’anni, il suo romanzo appena rigettato dalla casa editrice e il giovane Freddy Pelu, figliastro del suo nemico storico Carlos, dopo nove anni di convivenza, che gli confessa che sta per sposarsi con un altro. Per evitare di partecipare al matrimonio decide di accettare qualsiasi invito a festival letterari gli sia rivolto o qualsiasi offerta di lavoro gli sia fatta e inizia così il suo giro del mondo: ma non riesce a dimenticare quel terribile bacio d’addio dato a Freddy o la sua incapacità di mostrargli ciò che realmente provava. In più, a peggiorare il tutto, riemergono continui ricordi della sua lunga precedente relazione con il poeta, vincitore del Pulitzer, Robert Brownburn, di venticinque anni più vecchio di lui. Arthur, il biondo piacente americano, lo scrittore di un unico grande successo, il Peter Pan nel suo completo dall’indefinibile blu, si butta a capofitto in qualsiasi tipo di rocambolesca avventura: dalla cerimonia per un premio letterario a Torino a un ciclo di lezioni a Berlino (dove sperimenta di nuovo una relazione e fa sfoggio del suo pessimo tedesco), da un pericoloso safari nel deserto del Marocco a una cena a Parigi, in cui gli arriva un’amara illuminazione. Un suo collega scrittore, ubriaco, gli rivela la ragione del fallimento dei suoi romanzi: Less è un “cattivo gay”, incapace di farsi amare dal pubblico gay a causa delle sue opere troppo liriche (parola di chiusura di una recensione, che ha lasciato un marchio indelebile nella sua vita, al suo primo sforzo letterario, Kalypso, rilettura della storia di Ulisse in salsa omosessuale). Ma che cosa vuol dire essere lirico e che cosa cattivo gay?
Alla stessa cena, però, conosce e flirta con un aitante spagnolo, Javier, che lo spinge a una meditazione sulla propria età, così come le parole dell’amico Lewis, fresco di un divorzio dopo venticinque anni di matrimonio, fanno con l’amore. In cosa consiste l’amore? L’attesa di cogliere l’altro, il genio letterario (Robert), in un atteggiamento positivo, consumando nel frattempo la propria giovinezza, o un sentimento che provoca talmente paura che è preferibile lasciarselo sfuggire per sempre (Freddy)? La paura che Less prova è anche per una vecchiaia che sta bussando alla sua porta, per il tempo che scorre inesorabile: si respira nel romanzo un memento mori costante, incarnato dalle pessime condizioni di salute di Robert, o da Marian, sua prima moglie, impossibilitata a partecipare allo stesso incontro letterario in Messico dell’imbarazzato protagonista perché si è rotta un’anca.
Arthur, tuttavia, continua sempre a muoversi con la sua agilità da ventenne con lo smalto rosso tra tutte le situazioni che gli si presentano: che sia una gamba rotta in India, dove cercherà di rimettere mano al suo pessimo romanzo, Swift, o la vergogna provata di fronte a un gruppo di adolescenti italiani che lo vedono fare addominali nella piscina di un resort. Si ripresenta, qui, come altrove, la paura di invecchiare e della solitudine: timore che sembra colpire tutti i personaggi, da Zohra a Lewis, alla ricerca di una soluzione che permetta loro di affrontare il resto della vita.
Ma, come sostenuto anche da Michael Cunningham in un articolo, Less, vincitore del premio Pulitzer 2018, è un romanzo comico: per cui abbondano scene divertenti, dettate dalla goffaggine del protagonista o, semplicemente, dagli accidenti che la vita ci presenta nel suo corso. Ciò che Andrew Sean Greer sembra dirci, in una prosa in passato mai così scorrevole e piacevole, è che, alla fine, il vero viaggio dell’esistenza è più sopportabile solo grazie all’amore.