"In questi ultimi tempi mi sono dedicato allo Shakespeare. E precisamente ai Sonetti. Per quanto la cosa sia proibita, sia vergognosa. Oltre ai Sonetti ho riletto Sogno di una notte di mezza estate e La Tempesta..."[1]
Nel pamphlet Eros e Priapo, trattato di psicopatologia politico-freudiana, la virulenza di Gadda si galvanizza contro il fascismo inteso come una crisi di psicosi collettiva, e contro il Duce simbolo di chiassosa virilità, che incanta la Massa-femmina e cerca di eliminare gli altri maschi, cioè gli omosessuali e gli scapoli, "portatori o gestori di sistemi di idee meno bambineschi [...] col denigrarli o col toglierli dal novero dei vivi, col seppellirli nelle sue carceri, con render loro impossibile ogni uffizioso travaglio come l'insegnamento pubblico, la docenza universitaria: soprattutto ogni pensata e libera parola. Giunse a far credere a codeste [femmine/folle] osannanti di essere lui il solo genitale-eretto disponibile sulla piazza, il solo cervello pensante capace di ululare dal balcone [...] l'organo generatore dominante, il fallo paterno padronale."[2]
Così tuonava Maggiore, uno dei massimi giuristi del Ventennio mussoliniano:
"Il Fascismo è maschio. Ama il pericolo, rifugge dalle chiacchiere, sdegna, per naturale selvatichezza, i corteggiamenti, mena, ove occorra, le mani; è fatto di pietra dura, invece che della pasta dolce dei frutti canditi [...] Il Fascismo è, in una parola, suscitatore di virilità contro ogni infemminimento e infrollimento, contro [...] il democraticismo e il liberalismo della politica, contro il cicisbeismo del costume e il manicalarghismo nell'educazione. Si può essere più maschi di così?" Glossa Benadusi:
"Questo maschilismo continuamente ostentato dal fascismo è stato interpretato con diverse chiavi di lettura: nella visione psicoanalitica di Wilhelm Reich è considerato espressione della struttura caratteriale irrazionale dell'uomo medio sessualmente represso; nella tradizione letteraria, grottesca e caricaturale, di Carlo Emilio Gadda è visto come emblema di un'era favista[3][...]. L'esaltazione della virilità del fascismo nasceva soprattutto dal progetto di creare un "uomo nuovo" che comportava la trasformazione di ogni aspetto della vita individuale dei cittadini, dai comportamenti pubblici a quelli privati. [...] Conseguentemente diminuiva la tolleranza verso chi non si conformava al modello imposto, come dimostra la campagna antiborghese che pur di creare una morale e uno stile di vita integralmente fascisti, portava a considerare la virilità un requisito così indispensabile da iniziare una vera battaglia, non priva di chiare allusioni all'impotenza e alla pederastia, contro i celibi, i sedentari e i rammolliti."[4]
Nella redazione A) dei "Miti del somaro", Gadda così sbeffeggerà il machismo della dittatura:
"Il somaro [Mussolini] principiò a un certo punto della sua somaresca «evoluzione» politica a inventar la cabala e a piantar la grana della maschilità e della virilità. [...] L'obbligo della virilità era divenuto generale. «Alle 11,14 minuti e 27 secondi la maschia soneria della sveglia virile mi fece balzare da maschio letto dove avevo virilmente non dirò poltrito, ma affrontato con fascistica dedizione la dura disciplina del necessario riposo: afferrai il virile tubetto (di dentrificio G.V.M.) e spalmatone il maschio spazzolino da denti me lo introdussi virilmente nella bocca e principiai a sfruconare con tutta la fascistica maschilità di cui ero capace, ecc. ecc.» (dal diario di un virile ginnasta italiano 1936)."[5]Gadda incalzerà la chiassosa virilità del regime fascista nei deliri misogini di Eros e Priapo e del Pasticciaccio:
"Dacché tutto era, allora, maschio e Mavorte: e insino le femine e le balie: e le poppe della tu' balia, e l'ovario e le trombe di Falloppio e la vagina e la vulva. La virile vulva della donna italiana."[6]
"Dopo alcuni altri giri dell'arcolaio impestato di sua zucca, che non gli frulla pel capo la rara idea della prolificazione coûte que coûte ? del dovere dèmico, della maschilità obbligatoria? Tutto divenne maschio cioè dunque virile in quegli anni: perfino la sora Sorca. Le virili poppe delle maschie balie conferivano alli pupi un latte guerriero, potenziato dalle verghe:(littorie). Lui, il Giuda imbombettato, fu allora proprio che disfrenò quella santa crociata addosso ai celibi! Escludendoli dalle carriere statali e magari anche dalle rimanenti, scorbacchiandoli e vituperandoli e titolandoli di «foglie secche» sulla rinverdita pianta della spermatoforica nazione dei 44 gloriosi nonché imperiali milioni [...]."[7]
Gadda coglie a più riprese le connessioni tra questa militarizzazione della virilità, l'enfasi sul cameratismo e l'omoerotismo mascherato e represso: "Questo inspirarsi alle cosce, ai calzoncini corti, a' bei deretani mantegneschi degli òmini e de' cavalli, è Eros ginnico e pittorico e se tu vuoi mantegnesco, non Logos politico [...], non provocherei una guerra per procurarmi la soddisfazione sadica ed omoerotica di buttarvi a morire i figli di quelle... a cui si è largito il premio nuziale perché facessono figli: figli, figli, figli, tanti figli, infiniti figli, da mandarli a morire nella guerra, guerra, guerra, guerra, contro i «delitti delitti delitti della Inghilterra Inghilterra Inghilterra Inghilterra». Eros arriva al regno di demenza."[8]
La mistica della virilità si sposa con un'omofobia di massa che ferisce profondamente Gadda, già insofferente verso i propagandati modelli dei grandi 'amatori di femmine', tanto da andar giù pesante con personaggi-culto del primo dopoguerra - D'Annunzio «biscaretto invasato dal dio», Eleonora Duse «fica-passa di Asolo...la grande tragica sorca», Wagner «il nano»:
"Ho riletto le ultime cento pagine del «Fuoco»:... perché non un tuo saggio [...] sull' inanità vacua di un simile elenco di gesti inutili? Di inutili enunciati della fica-passa di Asolo e di più inutili del biscaretto invasato dal dio? Psicologicamente, un narcisso di terza classe che porta a spasso pel mondo il pistolino ritto della sua personcina [...] una litania di scemenze. [...] Il nano è «il barbaro enorme». La «grande tragica» è la sorca."[9]
Alla vigilia della seconda guerra mondiale, esplode (incurante della censura sulla corrispondenza) contro le odiose leggi anti-celibi di Mussolini: "il lavoro ingegneresco mi fa perdere un tempo enorme, ma devo pur accettarlo, visto che il porco distributore di cattedre non ha voluto saperne di me, perché son celibe, e chissà che cos'altro."[10] Una battuta autobiografica arriverà a commentare amaramente l'arresto di Angeloni nel Pasticciaccio: "codesto fermo di un ghiottone solitario [...] risponde [...] al clima eroico dell'epoca sitibonda di prole: epoca ove il celibe era schedato a spregio, fosse pure Gesù Cristo, Michelangelo, Beethoven o Mazzini Giuseppe: e pagava una speciale tassa, quasi una multa infamante, come se la condizione di celibato costituisse - dopo che una frode continuata nei riguardi del santo numero (quarantaquattro milioni, allora) - anche una fonte di reddito. In un mondo in cui bisognava «credere» per forza era proibito essere malinconici."[11]
Ecco come tuonava il gerarca Scorza nel 1930: "bisogna inasprire le leggi contro i disertori della buona battaglia della razza: senza pietà, sino a renderle, diremmo quasi, insopportabili; sino a costringere al matrimonio e ai figli, diremmo quasi, per disperazione. [...] Bisogna arrivare al punto che gli scapoli o i disertori del talamo coniugale, debbano vergognarsi e nascondere il loro stato: così come gli impotenti, come una vera e propria minorità fisica [...]. Cacciarli al muro adunque, senza misericordia, sino a tutte le estreme conseguenze, coloro che negano il loro apporto di sangue alla causa della razza."[12]
A proposito della normalità eterosessuale e dei suoi riti, Gadda ribatterà caustico: "Il mio sentimento [...] nei confronti dei fidanzati maschî e delle lesbiche è quello di una viva gratitudine: sia gli uni che le altre, infatti, immobilizzano ciascuno (o ciascuna) una valenza feminina che potrebbe rovesciarsi su di me* (*le lesbicone, anzi, ne immobilizzano DUE: la propria, e quella dell'amata partenaire)."[13]
Nel 1950 Gadda pare alludere alla rimossa omosessualità: "Io sono l'ipocrita principe. È ovvio che dati i tempi, il costume, e mille altre circostanze, non escluse potenti e motivate inibizioni etiche interne, non posso andare in giro con un cartellone sulla schiena con su scritto: «Non prendo moglie».[14]
Confesserà a più riprese d'esser scampato ai tranelli degli amici e del caso che a lungo hanno tramato per 'sistemarlo', combinandogli indesiderati e improbabili accoppiamenti:
"Ho avuto, nel corso del trentennio, 256 proposte di fidanzamento [...] Francamente non ho le forze fisiche e psichiche sufficienti ad andare vispoteresescamente incontro alle gravi responsabilità di una nuova famiglia."[15]Gadda si sente «reo di celibato, di solitudine» come Beethoven, Michelangelo, Caravaggio.[16]
Sulla differenza dei sessi Gadda rielaborerà teorie platonico-freudiane nel Racconto italiano d'ignoto del Novecento: "Forse a noi appare di essere solamente maschi, ma in realtà, nei misteriosi fondi della natura, siamo semplicemente dei «polarizzati» e «potenzialmente» possiamo essere l'uno e l'altro. E di questa potenzialità, precedente il nostro sviluppo, ci siamo dimenticati. «Sed latet in imo.» Perciò abbiamo forse della femminilità qualche cosa di più che una intuizione letteraria della intuizione fisiologica. Dilucidare questo argomento con la lettura di Weininger, che comprerò, e con i Greci: (Nicomachea). Essi hanno chiamato pane il pane e vino il vino."[17] Quanto alla «normalità», eccone una visionaria analisi:
"Il cosidetto «uomo normale» è un groppo, o gomitolo o groviglio o garbuglio di indecifrate nevrosi, talmente incavestrate (enchevêtrées), talmente inscatolate (emboîtées) le une dentro l'altre, da dar coàgulo finalmente d'un ciottolo, d'un cervello infrangibile: sasso-cervello o sasso-idolo: documento probante, il migliore si possa avere, dell'esistenza della normalità: da fornire a' miei babbioni ottimisti, idolatri della norma, tutte le conferme e tutte le consolazioni di cui vanno in cerca, non una tralasciata. Tra queste, l'idea- madre che quel sasso, o cervello normale, sia una formazione cristallina elementare, una testa d'angelo di pittore preraffaelita : mentre è, molto più probabilmente, un testicolo fossilizzato. In realtà, [...] il normale non ha coscienza, non ha nemmeno il sospetto metafisico, de' suoi stati nevrotici o paranevrotici, gli su gli altri così mirabilmente agguainati da essersi inturgiditi a bulbo, a cipolla:[...] le sue bambinesche certezze lo immunizzano dal mortifero pericolo d'ogni incertezza: da ogni conato d'evasione, da ogni tentazione d'apertura di rapporti con la tenebra, con l'ignoto infinito."[18]
Una spia dell'intimo coinvolgimento emotivo del nostro autore si rinviene nell'attenuazione linguistica o nella censura che subiscono diversi riferimenti autobiografici in Eros e Priapo quando si passa dal dattiloscritto alla definitiva edizione a stampa. Nelle due varianti che seguono, è evidente la volontà di eliminare allusioni troppo smaccate alla (propria) omosessualità:
1 - «No, no, no, non c'intendiamo, ottimi educatori e buoni padri di famiglia! Buoni scrittori eterosessuali, non ci intendiamo» ? «buoni scrittori moraloni»
2 - «maiali moralisti, eterosessuali assoluti cioè cretini assoluti» ? «moralisti integrali cioè cretini integrali»[19]
Da Eros e Priapo scompariranno alcuni incisi della prima versione [Il libro delle Furie], freudianamente ortodossi, ma troppo azzardati per l'ormai vecchio Ingegnere:
< dacchè senza una componente omoerotica nella psiche del singolo non è pensabile la vita associata > [20]
Osserva Gnerre in "Carlo Emilio Gadda (1893-1973). Figurazioni di colpe e disarmonie":
«Stando alle testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto e frequentato pare che egli fosse terrorizzato all'idea che gli altri potessero capire i suoi gusti sessuali. [...] La timidezza e la goffaggine dell'Ingegnere in fatto di sesso sono oggetto di tutta una serie di anedotti relativi a continui scherzi dei suoi amici. [...] Impacciato e maldestro nella vita pratica, Gadda esprimeva però su problemi inerenti l'omosessualità giudizi sempre improntati a grande libertà di pensiero. [...] Nei suoi libri non appare mai in primo piano l'omosessualità, se non per allusioni o per una certa disseminazione di motivi riconducibili ad una sessualità in qualche modo ambigua e fuori dalla Norma, dalla violenta misoginia alla difesa del celibato alla precisione maniacale con cui elenca a volte personaggi della storia e della cultura che sono stati omosessuali. [...] Forse leggere La cognizione come la metafora del dramma di un'omosessualità negata significherebbe limitarlo, ma è certo che nel «male invisibile», [...] nella serie ininterrotta di sofferenze irriscattabili e di dolori senza fondo, non può essere estranea l'omosessualità dello scrittore.»[21]
Un rapida passeggiata tra quel che sopravvive (tenuto conto delle perdite dovute ai continui traslochi e agli altri colpi del destino) della biblioteca gaddiana[22] consente di apprezzare il fiuto storico-letterario del grande scrittore lombardo nella scelta dei suoi classici omosessuali: letterati, artisti e personaggi da integrare con analoghi elenchi sparsi in diversi saggi, note e lettere. Tra i numerosi latini, non manca il Satyricon, capolavoro di Petronio: ben tre traduzioni (1920, 1930, 1945), dal che intuiamo come l'Ingegnere non se ne separasse mai nelle sue peregrinazioni, a costo di procurarsene doppioni e triploni. Catullo è presente coi Carmina, e qui le copie diventan cinque - 1927, 1945, 1947, 1949 (Les Belles Lettres), per finire con la magica versione Ceronetti (1969), senz'altro tra i libri da comodino dell'ultimo tratto di vita dell'Ingegnere:
"Direi che l'ideale traduttore di «tutto Catullo» deve scordarsi d'essere una persona ammodo, un buon padre di famiglia: deve attingere dal proprio inconscio e dall' inconscio della propria gente quel tanto di libero linguaggio e di liberata energia che gli basti a riconoscere in sé la libertà làlica del primitivo, del bambino, del dissociato psichico [...] un turpiloquio da carrettiere dentro la voce d'un marmottino di quelli: e un senso di abbandono e di incombente catastrofe (personale e pubblica) e la maliziosa impertinenza veneta, e quella singolare felicità nello sgonfiare ogni vescica con uno spillo, da maestro della beffa inattesa, del gioco proibito: come versare tuttociò nel lingotto della tradizione italiana?"[23]
Non rimangono Le rime di Michelangelo, pur citato in molti luoghi dell'opera gaddiana. Una nota all'elenco di omosessuali illustri, sciorinato nel saggio dedicato da Gadda al Journal du voleur di Genet, porta come pezza d'appoggio per l'inclusione dell'artista fiorentino i sonetti e le lettere a «Tomaso de' Cavalieri, a Gherardo Perini, a Febo (di Poggio a Caiano)». Palazzeschi, altro grande autore dall'omosessualità rimossa di cui Gadda apprezzava Il codice di Perelà e :riflessi/Allegoria di Novembre, in un denso saggio-bozzetto viene tratteggiato come "l'epico [...] della bontà... un po' ... proibita: proibita, dico, dalla truculenta stirpe delle facce-feroci e dei condottieri-carnefici [...], aedo triste d'una labile, d'una momentanea felicità [...] Aldo è un po' un Modigliani della scrittura, un pensoso, un delicato e trepido disegnatore, a cui la magnificenza standard della forma e la bovina opulenza dei «normali» fanno l'effetto che a noi potrebbe fare un inutile studio d'accademia, o un proclama del provveditore dell'annona." [24]
Sandro Penna, maestro dell'eros pederastico nel Novecento italiano, è evocato da Gadda nel '68 in un'intervista con la scrittrice Maraini: il poeta perugino gli presentò a Roma l'amico Saba (suo Ernesto, capolavoro ispirato alla sua iniziazione omosessuale), che divenne anche molto amico di Gadda. Di Penna non troviamo però traccia nella biblioteca dell'Ingegnere: neppure del volume di Poesie (Firenze, Parenti, 1939) che egli contribuì a far premiare: è l'ennesima prova delle perdite o sottrazioni che di certo il suo patrimonio librario patì, specie per la guerra. Fortunatamente ci resta l'allocuzione tenuta nel '48 in occasione del conferimento del premio, che racchiude la poesia di Penna in un'immagine mineralogica, per poi proseguire sull'incanto di quei versi e di quell'eros: "Il raro fiore dell'evento nasce da una molteplicità di tentativi e da un rinnovarsi di prove, come la unicità pura d' un cristallo da... più vasta presenza della sua materia, nella memoria delle rocce. [...] [Penna] disdegna le cortine fumogene dell'atteggiamento. È se stesso, e unicamente se stesso. A volte un gradevole stupore a chi legge, come un réfolo da remota neve nella valle: il racconto si snoda nell'impreveduto, il tema, già obiettivato, si trasfigura in una variazione gnomica; o il motivo si stempera, a volte, in una tonalità dolcemente beffarda, quasi di «raillerie», quasi sempre garbata, motivata dal patire, non così acre e vittoriosa come in Catullo. [...] La µ??sa pa?d??? lo avvicina agli antichi fiori della Grecia [...]. Il dodicesimo libro dell'Antologia Palatina lo accoglierebbe, apocrifo novecentesco, nella raccolta di Stratone di Sardi."[25]Tracce dei monelli penniani - innocenti e talvolta 'canaglia' - son disseminate qua e là nell' opus gaddiano, come in Fuga a Tor di Nona: "Il perdurare d' una imagine si dipana in quel dedalo, mi conduce, mi conduce: come filo di Ariadne... nelle latenze inconfessate ... nel laberinto sublime delle civiche rinunzie, delle commissariali astinenze. [...] In varie età monellastri mi accerchiano, scaruffati folletti non so donde emersi. Mi hanno letto nell'anima. Con losche zazzere due o tre mi sono innanzi, mi vietano procedere. Simulando il terrore della confisca e dei Doria, denudano contrabbandate vergogne. Aprono a un tratto e poi richiudono, come vèntola, la cenciosa casacca, da palesarne gli interni ripostigli, tumescenze allettanti. Dalle irrequiete gambe discosta qualche altro in un repentino atto il mantello, a discoprir basse le mani e le dita fra cui s'è impigliata la tentazione: un involucro scarlatto del Lifebuoy, gibbuti sigheri incrociati nei diti, come il due di bastoni. Con palpebre abbassate dopo una guardata lesta, suasiva, guidano il mio sguardo più giù, più giù, verso il terrore dell'incesto. [...] Le esibiscono di sotto al cappottaccio con reiterati, con istantanei denudamenti, minaccia e lusinga, quasi un coltello segreto. Come a dire: «Bada a te, il tuo peccato è già fatto.» Recidono, con quel coltello, i deboli tendini della mia sgominata virtù."[26] Nell'incontro cogli scaruffati folletti si materializza anche l'Angeloni del Pasticciaccio, scapolo e gourmand di carciofini e... maschietti, tragicomica controfigura dell'Ingegnere. Quella che dovrebbe essere la vendita sottobanco di saponette, si trasforma in un'allusiva scena erotica, tutta giocata sulla confusione tra il 'panico' omosessuale che le abili manovre dei ragazzini... di vita (non si può far a meno di pensare ai futuri riccetti pasoliniani) provocano nell'uomo, e la loro clandestina gestualità nel vender merce proibita. I monellastri, capaci di leggere nell'anima ovvero nel desiderio dell'adulto, denudano tumescenze allettanti, le loro tentazioni s'impigliano tra gli abiti, il funzionario è stregato dalla loro spavalda virilità, irresistibilmente attratto dal fallico coltello segreto dei folletti, e nutre il terrore dell'incesto ovvero del rapporto pederastico: in questo 'scherzo' freudiano Gadda rinvia al dedalo delle sue latenze inconfessate e disvela la natura squisitamente sessuale della transazione inscenata, minaccia e lusinga («croce e delizia»). L'espressione scaruffati folletti è attinta da La tempesta (e all'aereo Ariel, impreveduto folletto, Gadda dedicherà una poesia del 1915 ispirata a Foglie d'erba di Whitman):
...urchins / Shall, for that vast of night that they may work, /All exercise on thee; thou shalt be pinch'd/ As thick as honeycomb, each pinch more stinging / Than bees that made 'em.[27]
Varie sono le sfumature di urchin: 1 monello, moccioso, ragazzino; 2 (zool.) riccio, porcospino; 3 (ant.) folletto. L'aggettivo scaruffato sta per "spettinato, coi capelli scompigliati", come un porcospino.
I conturbanti "spacciatori" di saponette rinviano ad una tradizione letteraria italiana in cui il sapone allude al pene (per via dell'eiaculazione conseguente allo sfregamento):
Noi abbiamo un buon sapone, / che fa saponata assai: / frega un pezzo, ove si pone; / Se più meni, più n'arai./ Èvv'egli accaduto mai, / donne, aver l'anella strette?/ Col sapon, che cava e mette,/ cuoce un poco: pazienza! (Lorenzo de' Medici, Canzoni carnacialesche, II, 45 e 51)
Che giova, o Tina, andar giù nel fossato/ e starti coccolon su quel pietrone/ a stropicciare e battere il bucato, / se non adopri punto di sapone? (Malatesti, Tina, XLVI, 4)[28]Di Comisso troviamo i manierati Al vento dell'Adriatico (1928) e L'italiano errante per l'Italia (1937): non c'è traccia dei romanzi e delle memorie incentrate sulla tematica omoerotica-panteistica. Sono invece presenti i tenui pastelli delle Poesie (1942) di De Pisis, e Gli occhiali d'oro (1958, con dedica di Bassani), tormentata amicizia tra un medico omosessuale e un giovane ebreo nel Ventennio. Proprio Comisso nel Mio sodalizio con De Pisis, riferisce un saporoso anedotto su Gadda:
"Una sera ci trovammo con lo scrittore Carlo Emilio Gadda e con il filologo Gianfranco Contini [...] Gadda pregò timidamente che egli [De Pisis], reduce da Parigi, volesse essere compiacente di riassumere i vari tipi di irregolari nell'amore [...]: «In primo luogo vi sono le tapettes, che corrispondono a quelli che a Napoli chiamano le femmenelle, poi gli gigolos, che indifferentemente vanno con le vecchie signore, quanto coi monsieurs, purché paghino, poi vi sono le tantes, dal latino amita, per metatesi, come lo sa il nostro filologo». A questo punto Gadda intervenne chiamandolo Maestro per chiedergli se permetteva di prendere appunti, e De Pisis annuì con un sorriso trattenuto."[29]Sul culto intellettuale della Resistenza si accaniva il fondo più reazionario della velenosa farmacopea dell'Ingegnere, come in questa spassosa immagine di una supposta militanza 'bucaiola' a sinistra: "Tutti questi «intellettuali» figuravano aver partecipato più o meno attivamente alla Resistenza ma Gadda non credeva nella loro vita eroica e vedeva piuttosto un esplicito o inconscio invasamento pederastico e accettando la derivazione astratta o suffissazione «buchesimo» da «buco», equivalente fiorentino del romanesco «frocio» (cfr. Montale: «Morte al baffo buco»), si lasciava andare fremente ad una delle sue tirate: «A me non me la danno a bere: cencio rosso al collo, pantalocini, mitra, cosce pelose, orgia tutesca, la Resistenza per loro fu buchesimo...» Gli veniva allora in mente De Pisis che nella sua casa di Venezia aveva dato una festa nell'entusiasmo della Liberazione. Tutti si divertivano moltissimo, vestiti da romani, incoronati di rose e dipinti d'oro, quando arrivò un drappello di partigiani, «pantaloncini, mitra, cosce pelose», attirati dagli schiamazzi, per far cessare l'orgia. De Pisis, coraggiosissimo, li aveva investiti accusandoli di intromissione indebita ma aveva dovuto seguirli al comando continuando a protestare vigorosamente, vestito da romano antico.[30]
A dir il vero, dopo la struggente ondata neorealista che ha uno dei suoi culmini nel Pin-Pollicino de Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, sarà tentata una lettura omoerotica (non in chiave becero-dissacratoria) del cameratismo partigiano e dell'attrazione per i giovani ribelli da parte di generazioni più anziane: dal francese Mario di Perrin (Paris, Gallimard, 1955), sino ai giorni nostri con Carceri d'invenzione di Lorenzo Tornabuoni (Roma, Gremese, 1990), dove l'epica scopata tra Vandalo e Vassili mentre giunge da lontano il rintocco della Martinella - segnale per l'insurrezione di Firenze -, suggella un inno all'amicizia amorosa nella Resistenza, coniugando lotta antifascista e desiderio d'una piena liberazione da tutti gli antichi retaggi, compresa l'omofobia.
Nella biblioteca dell'Ingegnere Pasolini fa la parte del leone con 13 titoli, molti con affettuosi autografi; il nipotino prediletto Arbasino concorre con L'anonimo lombardo (1959), romanzo epistolare su due giovanotti melomani innamorati. L'amico Piero Santi - di cui Gadda conservava Tre storie brevi (1945), Diario 1943-1946 (1950), Ombre rosse (1954) - aveva ospitato un memorabile reading di Eros e Priapo nel 1946.
A Dall'Orto che gli chiede quale atteggiamento nutrivano verso l'omosessualità gli altri scrittori omosessuali da lui conosciuti, Santi confida: "Sandro Penna mi diceva che, seppur in campi diversi (lui la poesia, io la prosa) noi due siamo stati i primi ad affrontare direttamente la questione in Italia. Scrittori che erano omosessuali ce n'erano: Comisso, Palazzeschi, Gadda, per esempio: però non hanno mai affrontato direttamente il tema.[...] Gadda era milanese, nel senso di tutta la compostezza, la dignità di Milano. Dopo essere stato a Milano, venne a Firenze, perché a quel tempo, negli anni Quaranta, era ancora il centro della cultura italiana. Però a nessuno rivelò qualcosa di sé; ne parlava con me solo perché eravamo molto amici. Ma Gadda era più... nevrotico, persino di me... Questa sua nevrosi venne fuori una volta in modo clamoroso, direi in modo poco gaddiano: eravamo al caffè Giubbe Rosse con altri, e parlavamo del Foscolo e delle sue donne. Ad un certo punto Gadda sbottò, battendo il pugno sul tavolo: «Basta! Cosa sono dieci donne di Foscolo, in confronto ai mille ragazzi di Piero Santi!». Io rimasi allibito, gli altri tacquero, pensando: «questo è impazzito», perché Gadda non aveva mai di queste uscite. E non so perché lo fece: io ero ovviamente solo il pretesto per il suo sfogo finalmente omosessuale: in fondo se ne fregava di me, e dei mille ragazzi."[31] Santi riferisce altri anedotti sull'eros di Gadda:
"Gadda era terrorizzato dall'idea di quello che gli altri avrebbero potuto pensare. Una volta mi ha riferito che la moglie di Montale gli aveva detto: «Dove va la sera, Gadda; che fa, va fuori con Piero Santi? Stia attento; non andrà mica alla Fortezza da Basso» (che è un giardino pubblico) «sono postacci, postacci...». «Ma capisci» mi fa Gadda scandalizzato «c'era anche dell'altra gente!». «E naturalmente» dico io «avrai negato, come è giusto, perché tu in questi postacci non ci vai, e avrai anche negato la tua amicizia con me». «No, no, che c'entra» ribatte lui «tu sei una persona che io stimo, e le ho risposto: "Che cosa c'entra Piero Santi, che è uno scrittore che apprezzo molto?"». «Sì,» gli disse lei« però è anche Piero Santi», cioè si sa benissimo quali sono i suoi gusti sessuali... Un altro anedotto per far capire la situazione: alle Giubbe Rosse venne a trovarmi un ragazzo, Sergio, che mi parlò e andò via. Gadda disse: «Ma quel ragazzo... Lo conosci... bene?». «Se vuoi chiedermi se questo ragazzo l'ho "fatto", come si dice in gergo, ebbene sì!» . «È bello...», disse. Al che risposi che se gli interessava non era un ragazzo che a me premesse. E lui: «Ma come si fa? E se poi lo vengono a sapere?». Insomma, per farla breve una sera questo ragazzo andò a casa sua. Il giorno dopo Gadda mi disse (io me ne stavo zitto...): «Sarebbe stato tutto molto bene... ma aveva delle scarpe così pesanti! È uscito la sera tardi, e si sentiva fare tom, tom, tom per le scale, e sotto ci sta un avvocato: chissà cosa avrà pensato!». Ecco, la sua paura che si sapesse arrivava anche a questi eccessi."[32]
È ancora Santi a narrare su «Lengua» un'altra chicca del soggiorno dell'Ingegnere a Firenze. Si tratta d'una burla ordita ai suoi danni con la complicità di un giovane marinaio che, d'accordo col Santi, provoca il maturo ingegnere, tirandosi fuori il pene in un parco: l'imbranato scrittore esita, passa, ripassa, ma poi, spaventato da troppo ardire, rinuncia.[33] Roscioni, il maggior critico e biografo gaddiano, trascura le testimonianze di Santi e di altri, ascrivendo Gadda "come Gogol o come James, alla folta schiera degli scrittori in cui molteplici fattori - non ultimo l'assenza, durante l'intero corso della vita, di amori eterosessuali - lasciano indovinare una latente o potenziale omosessualità."[34] Cattaneo riporta altri ricordi dell'onnivora curiosità gaddiana: "Spiegava anche con gravità: «Nella situazione storica italiana un pederasta non può dirsi un degenerato.» A proposito di un amico pederasta diceva con apprezzamento tecnico: «È bravissimo, è bravissimo. Prima di tutto, con gesto negligente, offre una sigaretta ed è così abile che la sigaretta esce da sola dal pacchetto in modo invitante, cattivante... Ha molto charme... Mi ha raccontato di essere stato alle terme; gli è venuto incontro un bel giovane e con una scusa sono entrati in una cabina. Forse c'è una parola d'ordine... Lui era svogliato e rifiutava stancamente le proposte dell'altro finché quello gli offrì di farsi un serviziuccio guardandolo. <Sì, mi farebbe piacere...> Il giorno dopo lo ha incontrato per caso. <Vado in giro a smarchettare,> ha detto il giovane. È un verbo bellissimo.» Si arrabbiò leggendo un articolo dove si dichiarava che la pederastia era una malattia contagiosa e i suoi praticanti avrebbero dovuto essere isolati in campi di concentramento. «Se ne accorgerebbe dall'aumento delle tasse a tenere sette o otto milioni di persone a non far nulla. Quasi quasi gli mando una letterina: <Ho letto il suo spassoso articolo!>» Ma, informandosi sull'autore del testo e saputo che era monarchico, esplodeva: «Monarchico? Ma i re sono stati spesso buchi, buchissimi!».[35] Chissà cosa avrebbe detto l'Ingegnere di un tal Piero Buscaroli, musicologo, candidato di AN (ex-MSI-ex-nostalgici fascisti) alle elezioni europee del 1995, che si sarebbe presentato sparando a zero: "La destra dovrebbe chiamarli correttamente froci e checche. E andrebbero spediti in un campo di concentramento." Tali deliri omofobici suonano terribili a fronte di un continuum storico di repressione degli omosessuali, condivisa sotto varie latitudini e nei più diversi regimi totalitari; né si può dimenticare, riemersi dalla dolorosa indagine di Consoli sull'Homocaust, che tra i tanti innocenti nei lager tedeschi perirono molti omosessuali (per alcune fonti 50.000 ed oltre).[36] Quanto alla facezia gaddiana, non c'è niente di più imbarazzante per una persona socialmente stigmatizzata per il suo orientamento sessuale - come doveva sentirsi l'Ingegnere - di dover rilanciare sullo stesso terreno di chi lo attacca, in questo caso con un'imperdonabile leggerezza quanto agli effetti economici di un'eventuale deportazione italiana di omosesuali. L'allusione ai re buchi è invece ulteriormente corroborata all'interno della certosina ricerca di Benadusi, che ai dilemmi di cuore dell'ultimo re d'Italia dedica L'omosessualità di Umberto.[37]
Lo scaffale francese dell'Ingegnere era ben nutrito. In piena guerra pregava il cugino di procurargli, tra l'altro, testi di autori omosessuali che non avevano vita facile sotto il regime fascista:
"qualche francese oggi irreperibile; se puoi L'éducation sentimentale di Flaubert, qualche Proust (col barone di Charlus). I russi principali li ho. Portami un Gide, e un Cocteau spiritoso."[38]
Negli anni '50, dalla sua 'plancia di comando' in un piccolo ufficio della RAI, avrà modo di lapidare le sessuofobiche opinioni dei moraloni di turno: "come quando lesse la definizione di «vita obbriobriosa» a proposito del sodalizio Verlaine-Rimbaud nelle pagine di un noto critico di letteratura francese: «Obbrobriosa, imbecille, ma se si divertivano moltissimo!»[39] Di Rimbaud il Gran Lombardo conservava Una stagione all'inferno (tr. O. Nemi, Longanesi, 1951) e i saggi di Coulon Au coeur de Verlaine et de Rimbaud. Avec des documents inédits (1925), di Liuzzi Arturo Rimbaud (Roma, Formìggini, 1926) e di Carré La vie avventureuse de Jean-Arthur Rimbaud (Paris, Plon, 1926). Alla Maraini che lo intervistava nel 1968 confessò di preferire Rimbaud, Baudelaire e «soprattutto Verlaine. Un poeta odiato per ragioni morali. Io qualche volta l'ho citato e non me l'hanno più perdonata.»[40]
In una recensione del 1950 al Journal du voleur di Genet, Gadda dedica una digressione alla burrascosa convivenza more uxorio tra Rimbaud e Verlaine, evocati mentre se ne vanno « leggeri filando nell'aria sottile come spettri gioiosi» (Verlaine, Laeti et errabundi , in Parallèlement):
"In paragone a Paul (Verlaine), Jean (Genet) ha il certo svantaggio di non poterci frinfrinare la «chanson bien douce» in onore della moglie. [...] Non posso astenermi dal richiamare alcune quartine centrali (Gide le ha escluse dalla sua Anthologie, operando indi una saldatura infelice). Sovvengono, àlacri, al mio incarico d'informatore coscienzioso:
«Le roman de vivre à deux hommes / Mieux que non pas d'époux modèles, /Chacun au tas versant des sommes/De sentiments forts et fidèles./L'envie aux yeux de basilic/ Censurait ce mot d'écot;/ Nous dînions du blâme public/ Et soupions du même fricot./ La misère aussi faisait rage/ Par des fois dans le phalanstère:/ On ripostait par le courage,/ La joie et les pommes de terre./ Scandaleux sans savoir pourquoi
(Peut-être que c'ètait trop beau)» - Troppo sì, troppo... (bello). Lo dic'anchio, si dice a Firenze." [41]
Si direbbe proprio che qui sia all'opera non un informatore coscienzioso, quanto un uomo intimamente coinvolto in questa utopia di coppia maschile e di condivisione di vita, tanto da mettere a parte le solite prudenze ed esplodere in una gioia solidale col ritratto di Verlaine.
In Socer generque l'ex-ufficiale degli alpini Delacroix (pacioso alter-ego gaddiano) trascorre il suo tempo nella pensione gestita dalla sig.na Eleonora, avida lettrice di Colette, Gide e Proust:
"Con lei si poteva parlare liberamente del duce, del re, del papa, di Oscar Wilde, del generale Caneva, del naso della duchessa d'Aosta madre o delle idiosincrasie sessuali del primo venuto, senza incorrere nella censura nemmeno d'uno sguardo, d'una parola di sdegno simulato; l'opposto proprio di quell'accademico d'Italia che avendo udito, nel suo studio alla Farnesina, il nome di Freud, sbirciò da sopra gli occhiali in abbandono il pericoloso ospite, sospirò: «Bbe', cambiamo discorso!»[...] Con lei si poteva dirlo «mi pare che stiamo andando a remengo», senza tema e senza rischio di offendere al suo «amor patrio», o a quel qualunque altro chiodo che ne facesse le veci. Gli argomenti mauriacchiano-proustiano-gidiano-freudiani, poi, erano all'ordine del giorno [...]. Ella prestava romanzi francesi per soli uomini, proibitissimi dal duce, alle signore sole: e romanzi con sole donne agli uomini accompagnati."[42]
Di Gide [1869-1951, premio Nobel 1947], oltre ad altri 3 testi, l'Ingegnere conservava Corydon. Quatre dialogues socratiques (1920), coraggiosa apologia dell' omosessualità, già circolata clandestinamente nel 1911. Lo scrittore francese, ricorrendo anche ad un approccio etologico, vi perora il ruolo civilizzatore della pederastia: la differenza d'età dei partner appare come un requisito indispensabile nel suo immaginario. Intriso di cultura matematico-scientifica, Gadda avrebbe senz'altro sottoscritto questo pensiero del laboratorio gidiano (Paludes, 1895):
"L'uomo normale c'interessa poco; amerei dire che è sopprimibile - perché lo si trova dappertutto. E' il massimo comune divisore dell'umanità, quello che in matematica, dati alcuni numeri, è possibile sottrarre a ciascuna cifra senza che perda la sua virtù personale. L'uomo normale (questa parola mi esaspera) è quel resto, quella materia prima che si ritrova nel fondo delle provette dopo il procedimento di fusione che ha assottigliato le specificità. E' il piccione primitivo che si riottiene dall'incrocio di varietà rare - un piccione grigio - le piume colorate sono cadute; non ha più nulla che lo contraddistingua."
Gadda possiede Á la recherche du temps perdu in una preziosa edizione Gallimard (1934-41, in 8 volumi, per un totale di 19 tomi), ma la devozione per Proust è comprovata da una serie d'altri libri. In primis un numero speciale del 1923 della «N.R.F» («Nouvelle Revue Française», fondata da Gide nel 1909), uscito, come s'evince dal titolo, in occasione della sua scomparsa: Hommage à Marcel Proust 1871-1922. Souvenirs - L'Oeuvre - Témoignages étrangers - La Prisonnière (fragments inédits) - Bibliographie. Documents. Portraits. Nella biblioteca di Gadda troviamo poi Proust, arte e conoscenza (Firenze, Novissima Editrice, 1933) di Lorenza Maranini, la Radiorecita su Proust (1952) di Debenedetti, Proust par lui-même (1957) di Claude Mauriac, Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna (1959) di Leo Spitzer, Marcel Proust (1965) di Painter. Tra i testi francesi svettano due classici della narrativa omosessuale, Les amitiès particulières (1944) - storia d'amore tra due ragazzini dell'onnivoro poligrafo Roger Peyrefitte (1907-2000; di lui si conservano altri 4 titoli) - e il ruvido Le Sabbat. Souvenirs d'une jeunesse orageuse (1946) del collaborazionista Maurice Sachs (1906-1944), sul quale Gadda annota: "Per similarità di premesse psicologiche ( di cartelle cliniche) il libro si apparenta al Voleur. Sachs è molto più vicino alla tradizione memorialistica francese: ci offre una galleria di cattivellissimi e vivacissimi ritratti, di «uomini di lettere»"[43]
La vera chicca della collezione gaddiana è il Journal du voleur (1948) di Jean Genet (1910-1986), posseduto nella versione censurata Gallimard del 1949 (mutila la prima traduzione Mondadori del 1959, in Italia per una resa integrale esemplata sulla princeps si dovrà attendere il 2002). L'Ingegnere, recensore-lampo nel Bel Paese del sulfureo Journal, era rimasto colpito dal motto sartriano stampato sulla fascetta - «Il faut d'abord être coupable»: ne aveva fatto il titolo di un suo corposo ed erudito saggio, apparso in tempo record su «Paragone» nel giugno 1950, a pochi mesi dalla seconda edizione francese. Lo scritto rivela un profondo coinvolgimento nella problematica, con l'erudito ed inaspettato elenco di omosessuali stilato con l'acribia d'un gran pettegolo e la golosità del fine gourmet:
"Ma il sistema totale degli interessi , degli appetiti, dei pruriti, dei sogni, di tutti gli stati e i moventi psicologici (ed etici) del vagabondo giovinetto si coagula, in realtà, in una bruciante passione: 'a passione sua: nata, forse, dalla «modalità» stessa della vita collettiva tra maschi (orfanotrofio), dalla mancanza di «affetti domestici»¹, da predisposizione malinconica, da scompensi endocrini, che so: confortata dalle condizioni del carcere (dove i moralisti baffoni vorrebbero rinchiudere tutti coloro che. Bel rimedio. E avreste voglia a pagar tasse, da fabbricare penitenziari bastevoli). La passione sua: che è quella, altresì, che fu di ser Brunetto e del Bazzi [...] di Paolo (Verlaine) e di Gide e di Rimbaud e di Cocteau e di Proust e di Sachs: di Melville e di Walt Whitman [...]. Adde: Michelangelo, Virgilio, Socrate, Platone, Catullo, Shakespeare (Sonnets), Moreau...Platen...Goethe..."[44]
1Le ricerche de' pedagogisti e psichiatri hanno dimolto annaspato sulla correlazione tra i mancati affetti familiari e le deviazioni omoaffettive. Con più lena, e speriamo con più sagacia, avranno a lavorare in futuro.
Alla Maraini che gli chiede nel '68 quali libri legga più volentieri, risponde:
"In questi ultimi tempi mi sono dedicato allo Shakespeare. E precisamente ai Sonetti. Per quanto la cosa sia proibita, sia vergognosa. Oltre ai Sonetti ho riletto Sogno di una notte di mezza estate e La Tempesta."[45]
Del grande drammaturgo Gadda possiede ben 15 volumi, tra i quali spiccano tre edizioni dei Sonnets:
Sul finire del X capitolo di Eros e Priapo, in polemica col vecchio Duce che s'appropria della "moltiplicata bellezza delle «giovani generazioni», veduta ed esibita come propria", Gadda cita il bardo inglese:
"Ten times thyself were happier than thou art,
If ten of thine ten times refigur'd thee.
Dice all'amato lo Shakespeare, nei Sonnets, n.6
(Dove la tecnica barocca della allitterazione in t ha motivo orchestrante profondo: e simula, col riprendersi e reiterarsi della dentale nel fugato, il riplasmarsi dell'uno nei rifigliati dieci.)"[46]
Nello scaffale angloamericano spiccano The Picture of Dorian Gray di Wilde, The Turn of the Screw di James, Pierre o delle ambiguità e La storia di Billy Budd (tr. E. Montale, 1942) di H. Melville, l' Autobiografia di Alice Toklas di G. Stein, Foglie di erba di Whitman.
Dall'Orto riporta un articolo del 7 novembre 1926 apparso su «Il Popolo d'Italia» (fondato da Mussolini e diretto da suo fratello Arnaldo), la Madre di tutte le veline di regime: vi si attacca un altro quotidiano che ha stigmatizzato la condanna inflitta dall'Inghilterra al grande genio di Wilde. L'anonimo si scaglia senza mezzi termini (sin dal titolo: Perversioni) contro le prese di posizione in favore dello scrittore irlandese:
"Curiamo di mantenere pura e vigile la fortunata sanità del nostro popolo, e se ascoltiamo con piacere a teatro Il ventaglio di Lady Windermere, o ci compiaciamo per La casa del melograno o La ballata del prigioniero [ndr.:The Ballad of Reading Goal, 1898], dove questo mediocre poeta e scrittore di derivazione pur tocca certe note umane profonde, nei giornali italiani - che vanno per le mani di tutti - si faccia il silenzio intorno alle documentazioni epistolari di vergognose malattie, abbandonate al pubblico sotto pretesti vagamente letterarii. Il silenzio è l'unica forma di rispettosa pietà per il morto e di preservazione dal contagio per i vivi."[47]Altri autori inglesi, entrambi in odore di omosessualità, vengono evocati da Gadda in una lambiccata e matematizzante riflessione sul potenziale maschile:
"Ingravallo poi aveva letto Norman Douglas, oltre che Lawrence: e ne aveva stillato Calabria, Sardegna (ringhiando) come da fiale d'un iperofficiante elisire. Gli sovvenne che uno dei due grandi erotologi, ma non realizzava quale, un bel giorno, s'era tramutato in geodeta, e aveva considerato l'opportunità di redigere una mappa delle isoipse maschili, estendendola a tutta la superficie della terra. Aveva dunque triangolato, in una sua geodesia, anche il territorio circèo, cavandone documentata certezza che la Circe non si fosse piazzata poi tanto male a esercitare l'arte sua, ch'era quella d'ammammolare i giovanotti. Codesto territorio di più profittevole ammammolamento, cioè di più eccelso livello del potenziale maschile, era, secondo Norman Douglas o secondo Lawrence, un triangolo sferico, o meglio geodetico. E i vertici [...] li riconosceva emergere dalle tre città di reggio (Calabria), Sassari e Civitavecchia, con grande dispetto dei palermitani."[48]
Infine non mancano Kavafis (1863-1933) con Cinquantacinque poesie (Einaudi, 1968), e Garcia Lorca (1898-1936), fucilato dai franchisti durante la guerra civile spagnola perché omosessuale e repubblicano, con un volume di Poesie curato da Bo (Guanda, 1940). Completano lo scaffale 'gay' della biblioteca gaddiana alcune monografie dedicate ad illustri personaggi: Alessandro il Grande (Einaudi, 1942) di Georges Radet; L'assassinio di Winckelmann. Gli atti del processo criminale 1768 [Longanesi, 1971: Gadda ne parla nei Viaggi e la morte - «e il Winckelmann araldo de l'arti e de la gloria assassinato da un cameriere a Trieste (Tergestum)»;[49]sull' omocidio del propugnatore dell'arte neoclassica, cfr. Signor Giovanni di Fernandez]; infine, di Aldo Oberdorfer Il re folle Luigi II di Baviera (Mondadori, 1935), un personaggio che avrebbe ispirato anche il Ludwig di Visconti.