Vade retro Sodoma

26 gennaio 2006, "Pride", gennaio 2006

Con un grande battage pubblicitario su tutti i giornali, la Chiesa cattolica ha pubblicato una Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali, che esclude dal sacerdozio le persone omosessuali. In realtà il testo era rimasto nel cassetto per molti anni, ed è stato pubblicato solo a seguito d'intrighi e manovre. Eccone la storia, oltre a un'analisi degli errori "preteschi" che esso compie nell'analizzare la condizione omosessuale.

Il 4 novembre del 2002 Marco Politi, il vaticanista di "Repubblica", ha pubblicato un lungo articolo, Sacerdozio vietato ai gay, che sembrava il frutto di una vera e propria "soffiata" giunta dai sacri palazzi. Si parlava di un documento ufficiale di tre pagine, in fase di avanzata elaborazione, che escludeva l'ammissione al sacerdozio di candidati omosessuali.
L'impressione che si ricavava dalla lettura dell'articolo di Politi era che l'autore della "soffiata" volesse provocare una reazione negativa da parte degli ambienti ecclesiali esterni alla Santa Sede (Conferenze episcopali, seminari, congregazioni religiose) in maniera da bloccare il documento.

Il 5 dicembre dello stesso anno tutta la stampa riprendeva un lancio dell'agenzia Sir (di proprietà, guarda caso, della Conferenza Episcopale Italiana) in cui si proponeva, con grande risalto, il testo di una lettera scritta a un vescovo dal cardinal Medina Estévez, prefetto della "Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti", in cui si affermava che: "L'ordinazione al diaconato o al presbiterato di uomini omosessuali o con tendenza omosessuale è assolutamente sconsigliabile e imprudente e, dal punto di vista pastorale, molto rischiosa", e si arrivava alla seguente conclusione: "Una persona omosessuale o con tendenza omosessuale non è, pertanto,idonea a ricevere il sacramento dell'Ordine sacro".

La cosa strana era che la lettera, diffusa come se fosse una novità degna di uno scoop, era stata protocollata in data 16 maggio 2002 (numero di protocollo 886/02/0), ovvero sei mesi prima della sua pubblicazione.

A questo punto viene da chiedersi: perché la Santa Sede ha deciso, contro la prassi corrente, di rendere pubblica la risposta riservata di una Congregazione a un vescovo? E perché l'ha fatto con sei mesi di ritardo?
Molto probabilmente la "soffiata" fatta a "Repubblica" aveva sortito il suo effetto, e aveva effettivamente bloccato il documento. Allora gli ambienti della Curia romana che l'avevano sostenuto non si sono rassegnati, e hanno reso pubblica una lettera che, opportunamente presentata, poteva passare per quel documento ufficiale che non aveva visto la luce.
Sembrava quasi che la preoccupazione di questi ambienti non fosse tanto fissare regole nuove, ma far passare, sulla stampa internazionale, l'idea che le persone omosessuali non potessero accedere al sacerdozio.


Quale fosse, nel 2002, la posizione di Benedetto XVI sull'argomento, non lo si poteva sapere: il confronto che ha portato agli eventi che ho appena descritto è avenuto nel più assoluto riserbo.

A distanza di tre anni però, ecco la pubblicazione di questa Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri, che ci dà una risposta: se durante il pontificato di Giovanni Paolo II la pressione dei gruppi che considerano l'omosessualità "incompatibile con una solida maturità affettiva" era bilanciata da quanti (basandosi magari sull'esperienza dei tanti consacrati omosessuali che vivono con responsabilità il loro ministero) erano contrari a un documento specifico che escludesse i gay dall'ordinazione sacerdotale, la sua elezione ha modificato questi equilibri, ed ha confortato le posizioni di chi considera l'omosessualità sempre e comunque qualcosa di "oggettivamente disordinato" e ha portato alla pubblicazione di quello stesso documento che, nel 2002, era stato accantonato.

La parte che, quasi sicuramente, aveva suscitato le perplessità di quanti erano riusciti a rimandare la pubblicazione di questo documento è contenuto nella seconda sezione, quella che parla di Omosessualità e ministero ordinato. Le altre due sezioni, infatti, non presentano nessuna novità significativa: la prima richiama la necessità, già ribadita più volte in passato, di una solida maturità affettiva dei candidati al sacerdozio; la terza traduce in raccomandazioni pratiche le indicazioni date nella sezione precedente.

In questa seconda sezione c'è innanzi tutto un richiamo esplicito al Catechismo della Chiesa Cattolica, anche se la distinzione tra atti e tendenza omosessuali che veniva ripresa dalla dichiarazione Persona Humana del 1975, viene poi immediatamente smentita quando persone che praticano l'omosessualità, persone che presentano tendenze omosessuali profondamente radicate e persone che sostengono una non meglio specificata "cultura gay" vengono tutte escluse, senza distinzione, dal sacerdozio.
C'è poi un richiamo sommario ai contenuti dello stesso Catechismo e, più ancora dei passi citati, colpisce l'assenza dell'unico brano dello stesso Catechismo in cui il Magistero della chiesa assegna alla condizione omosessuale una sua specifica "progettualità", quello cioè in cui si afferma che le persone omosessuali: "Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana" (cfr. CCC 2359).
Viene invece rivolto agli omosessuali l'invito a "unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare".

è chiaro che l'idea di omosessualità che c'è dietro alle due impostazioni è diametralmente opposta: nel Catechismo le persone omosessuali venivano incoraggiate a prendere in mano la loro vita e a viverla responsabilmente alla luce della rivelazione cristiana; in questa istruzione, invece, gli omosessuali vengono trattati come poveri disgraziati che debbono, per forza di cose, soffrire per la loro disgrazia e che possono trovare un senso alla loro sofferenza nella croce di Gesù.

La frase più significativa è però quella in cui si afferma "chiaramente" che la Chiesa "non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay".
Si tratta, come si vede, di una presa di posizione molto decisa, che si scontra con la prassi (che si era affermata soprattutto negli Stati Uniti) d'incoraggiare la consacrazione delle persone omosessuali.Come spiega molto bene il teologo Eugen Drewermann, autore di un poderoso saggio dedicato al clero cattolico e alle sue nevrosi (Funzionari di Dio, Raetia, Bolzano 1996), si poteva parlare di una vera e propria "omosessualità clericale" alimentata, durante la pubertà, da quel sistema di prescrizioni e divieti che tendono a reprimere il contatto del giovane adolescente con le donne. In questo sistema il giovane omosessuale riconosce una risposta al suo scarso interesse per il mondo femminile, qualcosa che lo giustifica e lo tranquillizza nel momento in cui si accorge di essere "diverso" dai suoi coetanei eterosessuali.All'interno di questo percorso, sempre secondo Drewermann, la Chiesa "farà l'impossibile per proteggere e corteggiare l'omosessualità latente e caratteriale", tranquillizzando i seminaristi che si spaventano per le loro fantasie omosessuali e proteggendo in ogni modo quanti, tra i membri del clero, pur vivendo in maniera attiva la propria omosessualità, lo fanno in modo discreto, che non desta "scandalo".

Una conferma di questa spietata analisi di Drewermann, d'altra parte, emerge in un passo della stessa Istruzione appena pubblicata, quando si sostiene che: "qualora, invece, si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo l'espressione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un'adolescenza non ancora compiuta, esse devono comunque essere chiaramente superate almeno tre anni prima dell'Ordinazione diaconale". Pur di coniugare la condanna dell'omosessualità con la prassi di proporre l'Ordinazione sacerdotale alle persone omosessuali che non si accettano in quanto tali, si inventa qui il concetto di "omosessualità reversibile", attingendo a piene mani alla paccottiglia pseudoscientifica che sta affermandosi negli ambienti clericali.

Fatte queste premesse, è facile capire le parole di un cattolico come Luigi de Paoli, coordinatore nazionale del movimento "Noi siamo Chiesa", che ha bollato l'Istruzione vaticana come: "Un doppio imbroglio, sia rispetto al Vangelo, sia sul versante delle scienze umane".
Da un lato infatti l'equiparazione tra orientamento omosessuale e immaturità afffettiva non trova nessun riscontro nell'esperienza concreta delle migliaia di omosessuali che vivono serenamente e in maniera responsabile la loro affettività.

Dall'altro l'idea di ammettere al sacerdozio i tanti omosessuali repressi che, pur di non riconoscere la propria omosessualità, raccontano a se stessi, ai loro educatori e alle loro coscienze, di aver vissuto esperienze omoerotiche transitorie, significa aggravare l'oggettiva condizione d'immaturità affettiva in cui versa la stragrande maggioranza del clero cattolico.

Dopo questa Istruzione, in Vaticano potranno anche dire di aver risolto il problema dei seminaristi omosessuali, ma di certo prenderebbero in giro se stessi e il mondo se dicessero di aver finalmente fissato regole in grado di dare alla Chiesa i sacerdoti capaci di vivere serenamente la promessa di celibato che la Chiesa impone.

(Il testo del documento è online sul sito ufficiale del Vaticano)

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