Paranoia e omosessualità

23 luglio 2006

Freud utilizza le memorie di un paziente paranoide per elaborare in termini generali una teoria clinica della paranoia, tirando le somme di un lavoro sistematico condotto in collaborazione con Jung e altri. Il paziente in questione è un uomo colto che, all'apice di una brillante carriera pubblica, subisce un crollo psichico, viene internato e curato, quindi torna al lavoro. Ma solo per subire un secondo crollo e un secondo internamento, nel corso del quale manifesta paranoie nei confronti del primo medico curante, che ritiene lo perseguiti, e poi fantasie misticheggianti che lo portano a elaborare una complessa teoria religiosa nel cui quadro ha una grande importanza l'eros (con cui coincide la sua idea di beatitudine) ed egli ricopre il ruolo dell'eletto destinato a salvare il mondo, cosa che però potrà fare solo quando si vedrà trasformato in donna.

Ricollegandosi alla storia famigliare del paziente e lavorando in particolare su una fantasia di alcuni anni prima (nella quale Schreber sentiva il desiderio di provare a ricoprire il ruolo della donna in un rapporto sessuale), Freud spiega la malattia di Schreber come la conseguenza dell'improvviso ritorno in superficie di una tendenza omosessuale rimossa.


Ma questa non è solo l'interpretazione che Freud offre di questo caso: la generalizza infatti ritenendola la causa profonda della paranoia in sé. Per motivarla Freud offre una nuova eziologia dell'omosessualità, che riprende ma semplifica quella già esposta nei Tre saggi sulla teoria sessuale. Senza bisogno di passare per la complessa introiezione della madre, secondo Freud l'omosessualità sarebbe più semplicemente la conseguenza della fissazione sulla fase autoerotica-narcisista, che nello sviluppo "normale" dovrebbe costituire solo un momento di passaggio: prima di cercare altrove un oggetto per la soddisfazione delle nostre pulsioni libidiche, lo troviamo in noi stessi, ed eventualmente già in questa fase infantile identifichiamo la fonte di massima soddisfazione nei nostri genitali.

In parole povere, chi si attarda troppo in questa fase diventa omosessuale, poiché si fissa sui propri genitali e in seguito non può pensare di ottenere soddisfazione da chi ne sia sprovvisto.

Ma siccome la fase è in sé normale, in realtà tutti avrebbero un elemento omosessuale in se stessi, solo che nel passaggio alla fase successiva questo elemento viene sublimato, sacrificato cioè a scopi più nobili rispetto alla volgare consumazione carnale. Questo elemento omosessuale viene reinvestito nella capacità di relazionarsi saldamente con gli altri: nel cameratismo, nella solidarietà, nel generale amore per l'umanità, vi sono sempre elementi erotici. Freud offre così anche una spiegazione dell'"amicizia virile" e delle sue eterne ambiguità.

Anche gli omosessuali possono reinvestire almeno in parte la loro libido in questi processi di sublimazione. In una frase dalle potenzialità spaventosamente reazionarie risulta chiaro come, nella sua forma ideale e così come la intende Freud, la sublimazione sia una sorta di versione psicanalitica della castità cattolica: «è interessante notare come siano proprio gli individui manifestamente omosessuali, e tra questi proprio coloro che si dichiarano contrari ad indulgere alle attività sessuali, che si distinguono per un particolare dinamismo nell'ambito degli interessi collettivi dell'umanità, che si originano dalla sublimazione delle pulsioni erotiche». Insomma, le cose migliori sembrano infine derivare all'omosessualità, sia per gli omosessuali sia per gli eterosessuali, purché e nella misura in cui entrambi siano disposti a rinunciare alla consumazione (in un altro saggio, Freud utilizza Leonardo da Vinci come modello di questa sua teoria).


E non rimuovano. Qualora infatti, anziché sublimati, questi istinti omoerotici vengano rimossi, si creano le premesse per la formazione della paranoia, che altro non sarebbe che la trasformazione di un'attrazione omoerotica (riassumibile nella proposizione "io (uomo) amo lui (uomo)") dapprima nel suo contrario ("io (uomo) odio lui (uomo)") - ciò che Schreber fece con il suo primo medico - e quindi nel reindirizzamento di questo odio verso se stessi ("lui (uomo) odia me (uomo)"): ecco appunto la mania di persecuzione paranoide. Freud ribadirà a più riprese l'idea che la paranoia sia sempre legata a filo doppio all'omosessualità, ad esempio nello scritto Comunicazione di un caso di paranoia in contrasto con la teoria psicoanalitica (1915).

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