Nudo di donna

19 dicembre 2017

Nudo di donna, il secondo lungometraggio diretto da Nino Manfredi, non gode di una grande reputazione. Lungo la sua durata di 110 minuti circa viene talvolta il sospetto che si tratti di un film sottovalutato, perché il Manfredi regista ha un tocco delicato e un gran talento per le sfumature agrodolci, distinguendosi – per esempio – da un altro mattatore prestato alla regia come Alberto Sordi, molto più prolifico ma anche molto più sgraziato. Ciononostante, dopo un lungo tira e molla interiore che va di pari passo con quello del personaggio di Manfredi, è probabile che pure lo spettatore più ben disposto si stufi di lungaggini e ridondanze e concluda che Nudo di donna non è affatto sottovalutato. L'abbondanza di personaggi caricaturali (tanto cari al team di sceneggiatori che include i mitici Age & Scarpelli e Ruggero Maccari) è un'arma a doppio taglio: per quanto essi risultino sempre piacevoli in virtù del mestiere degli autori, finiscono per far risaltare i vuoti e la fiacchezza complessiva del film, accentuando il contrasto rispetto al periodo aureo della commedia all'italiana, le cui lezioni in materia di ritmo erano state quasi del tutto dimenticate entro l'inizio degli anni Ottanta persino dai suoi alfieri.

La finezza del Manfredi regista comunque riesce a rendere meno muffiti i cliché, soprattutto quelli inevitabili sull'ambientazione veneziano-carnevalesca, usata con qualche tentazione simbolista. La mano leggera di Manfredi si fa notare anche nella caratterizzazione di un personaggio gay, piuttosto rilevante all'interno della trama e trattato in modo insolitamente mondano e civile. La particolarità di questa figura sta però solo nel modo del tutto naturale con cui viene messa in relazione con gli altri personaggi; per il resto puzza un pochino di dejà-vu: si tratta di un architetto distinto, un tantino logorroico e decisamente beone, sensibile ma un po' maligno e lesto a riempirsi la bocca di frasi vagamente anti-borghesi, specie contro il matrimonio («Queste cerimonie che impongono a due esseri di sesso diverso di vivere insieme per tutta la vita mi deprimono!» «Lei è sposato, architetto?» «Non ho potuto: non ho mai deciso se dovevo essere lo sposo o la sposa»). A interpretarlo è il misurato e dignitoso attore francese Georges Wilson.

Il personaggio di Manfredi non fa un plissé quando scopre le tendenze dell'architetto, incontrandolo nottetempo mentre parlotta con dei ragazzi segaligni, dall'abbigliamento gotico/dark wave; inoltre Manfredi – con insolita maturità per un personaggio da commedia all'italiana – è abbastanza intelligente da non illudersi che l'architetto stia facendo dei “turpi” progetti su di lui, che non è né ragazzo, né segaligno, né gotico. Ciononostante, forse per dissipare ogni dubbio circa la sua frequentazione di questo rispettabile omosessuale, Manfredi ci tiene a rendere nota la propria appartenenza all'altra parrocchia, quella con più fedeli. Del resto, pur avendo dato alla luce la proto-transgender Ornella di Vedo nudo (1969), non poteva schivare del tutto le trappole del machismo* in cui il nostro cinema sguazza(va).


*Dobbiamo comunque dare atto a Manfredi di essere stato in prima linea per contrastarlo fin da tempi non sospetti: giusto un anno dopo Nudo di donna avrebbe recitato ne Il figlio del Beduino, episodio rozzamente didattico di Testa o croce, in cui vengono irrise le paranoie omofobe di un operaio che vede nella virilità il suo unico patrimonio e che viene sconvolto dal sospetto che il figlio sia gay.

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