Il
romanzo di Fruttero e Lucentini dal quale questo film è tratto è stato il caso editoriale degli anni '70: tanto noto che Comencini rinuncia ad apportarvi modifiche di rilievo (né la censura mette mano: non scompare l'assassina scultura fallica, né la coppia di gay sottratta per una volta ai cliché della commediola all'italiana, anche se non servono ad altro che a dare una nota ulteriore di colore in una girandola corale di personaggi volutamente vacui). Così il regista si limita in sostanza a illustrare diligentemente l'opera di partenza, senza interventi personali di sorta. Il romanzo era costruito con un occhio di riguardo al cinema, e ne imitava in diversi punti la tecnica, ma Comencini non sembra sfruttare queste potenzialità, se non nella prima parte, dove preserva quella sorta di montaggio alternato che Fruttero e Lucentini mutuavano dalla tecnica cinematografica, ma che sulla pagina scritta aveva tutto un altro effetto: trasferito pari pari sullo schermo il romanzo si appiattisce e perde di vera tensione. Rimane lo sguardo a 360 gradi sulla mediocrità esibizionista della borghesia urbana, ma nulla che sappia lasciare il segno. Mastroianni recita sopra le righe, la Bisset è tanto bella quanto pietrificata.