American Beauty: un "falso" del "politicamente corretto"

7 marzo 2004

Lo sbandierato successo della stagione delude alquanto alla resa dei conti: si tratta di un film sovraccarico, ingolfato di temi abbozzati senza cura, o viceversa trascinati per le lunghe senza la capacità di fermarsi al punto giusto. Ma soprattutto si tratta di un film disonesto, pensato apposta per sedurre il pubblico con la sua parvenza irregolare e il suo passo flemmatico da film d’arte (nei limiti di una narratività distesa tutta americana). E’ un capolavoro del kitsch, del finto impegno, del finto stile: sotto un aspetto di film complesso e articolato si nasconde un’operina esile esile, fragilissima, e sotto la parvenza di un film coraggioso e politicamente scorretto si nasconde invece un film reazionario e spento, dove gli irregolari (per altro molto convenzionali, tutti già visti) sono talmente tanti e di talmente tanti tipi da smorzare completamente l’impatto straniante sullo spettatore. Sembra un Altman ripassato dal Rider’s Digest, con punte di ridicolo involontario da manuale (il marines gay che bacia Spacey, per non parlare della masturbazione di quest'ultimo), dove il vero orrore non sta nei personaggi che vorrebbero essere dei morti viventi, ma in quelli che dovrebbero rappresentare la sana provincia integrata (come la coppietta gay della casa accanto, pulita, educata, innocua). Calcolato al millimetro per sembrare disturbante senza esserlo mai.
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