recensione di Mauro Giori
I racconti del cuscino
Greenaway rimane prigioniero di se stesso e del suo universo enciclopedico, modellato su un impasto grottesco di raffinatezze pittoriche deturpate da un rabeleisiano "basso-materiale-corporeo". Il gioco questa volta riesce male, e la complessità strutturale e formale gira a vuoto, soprattutto nella prima mezz'ora, e ricicla intuizioni delle opere precedenti senza la capacità di reinventare nulla. Tutto si riduce a un'esibizione laccata e soffocante di ciò che altrove aveva saputo sedurre con il suo fascino complesso, ambizioso e stimolante. Ritroviamo così, accastonati fianco a fianco, il sesso a contratto di I misteri del giardino di Compton House, i cromatismi violenti di Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante, e ovviamente i libri, la scrittura e le sovrapposizioni di schermo di L’ultima tempesta, nonché l'accostamento ossessivo di eros e thanatos, corpi nudi e necrofilia, che discende da un complesso di castrazione misogino che percorre tutto il cinema del regista inglese, e particolarmente evidente nei Misteri, in Giochi nell'acqua e in Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante. Il corpo nudo maschile, costante visiva del cinema di Greenaway, non ha mai nulla di realmente sensuale ed è piuttosto rivelazione della vulnerabilità del maschio, solo apparentemente forte e dominatore, ma in realtà già morituro e pedina inconsapevole di giochi diabolici concepiti da femme fatales rese diaboliche dalla loro aria dimessa. L'opzione omosessuale non basta a mettere i maschi al riparo dalla voracità femminile, e il sesso finisce sempre con l'essere l'esca irresistibile che attrae l'uomo, ingenuo e sciocco anche quando malvagio, nella trappola mortale.